Zelanti, generosi, virili: quel che Sarah vuol dire ai preti

 


di Andrea Zambrano

Non delega ai social la sua formazione, non ozia a letto fino alle 11; fa buone letture; accresce la sua fede; ha interesse per il destino eterno dei suoi figli; difende con virilità la sua sposa, la Chiesa, dagli attacchi; non si fa usare come un burattino nei talk show; custodisce la liturgia e non la inventa perché sa che il suo compito è riprodurre la liturgia che c'è in Cielo e si fa chiamare "don" perché esercita una responsabilità. E ogni tanto svuota il suo conto corrente per sperimentare la Provvidenza, aiutare i poveri e sentirsi come le famiglie ogni 27 del mese. 

L'identikit del vero prete secondo il cardinal Sarah. Esce oggi il suo ultimo libro "A servizio della verità". Che cosa deve avere un prete per essere veramente un uomo di Dio? La domanda non è peregrina perché viviamo tempi di profonda crisi del sacerdozio, stretto com’è tra il rischio del funzionarismo e le tentazioni del mondo. Secondo il cardinal Robert Sarah in un consacrato non può mai mancare lo zelo per le anime. Che cos’è lo zelo? È lo stesso Prefetto emerito del culto divino a spiegarlo nel corso degli esercizi spirituali dell’Amicizia sacerdotale Summorum Pontificum svoltisi nel febbraio 2020 poco prima che il lockdown sconvolgesse anche la vita dei preti: «Lo zelo è l’interesse. Una persona è zelante quanto qualcuno o qualcosa le interessa davvero. Lo zelo per le anime è dunque l’interesse che il pastore deve nutrire verso la salvezza eterna delle pecorelle affidate alle sue cure».

Con un criterio di questo tipo basterà fare l’identikit al proprio parroco o al proprio confessore: quest’uomo ha davvero interesse per me e per la mia salvezza eterna?

Le parole di Sarah ai sacerdoti dell’amicizia SP sono diventate un libro che esce proprio oggi per Fede & Cultura. A servizio della verità. Sacerdozio e vita ascetica, questo il titolo del libro che raccoglie le meditazioni svolte dall’allora prefetto al sodalizio sacerdotale che ha curato, tramite padre Vincenzo Nuara, l’introduzione.

Quello di Sarah è un libro sul sacerdozio, o meglio, una guida sul sacerdozio. Rivolto ai preti, ma adatto anche ai laici perché sappiano riconoscere se qualcosa cosa manca ai loro preti, o quale aspetto vorrebero vedere in loro meglio sviluppato. O anche aiutarli a farsi largo in quelle che possono essere le tentazioni moderne dei parroci 2.0.

Sarah ne elenca alcune con acume e conoscenza della materia: anzitutto c’è l’educazione ricevuta perché «spesso i sacerdoti non hanno ricevuto una solida educazione umana, affettiva e religiosa in famiglia, non sono stati educati nella fede o al valore della rinuncia e del sacrificio e questo si riverbera spesso in molti aspetti del ministero».

La seconda tentazione è l’organizzazione: «Ci sono preti che si alzano alle 11 e tengono la chiesa chiusa al mattino, altri che fanno tardi la notte e altri ancora che buttano via il loro tempo. La terza è l’uso disordinato di internet: «Se permettiamo a internet di sostituirsi alla nostra riflessione e alla nostra responsabilità di discernere, allora diventiamo automi in mano altrui». Il pericolo, secondo Sarah «è che la rete distrugga il nostro cervello e ci faccia diventare burattini di qualcun altro».

Una quarta tentazione di peccato per il prete è la sua scarsa o malsana preparazione teologica e dottrinale: «La sana dottrina è necessaria e aiuta molto il sacerdote a evitare le occasioni di peccato. Il sacerdote ha il dovere di leggere e studiare, ma di leggere e studiare libri buoni, libri che lo aiutano».

Si arriva così allo zelo, che appunto è quell’interesse per l’anima che gli è affidata. Sarah lo chiede ai partecipanti il corso di esercizi spirituali: «Noi abbiamo zelo per le anime? Ci interessa il loro destino eterno? Com’è triste vedere che tante anime forse si perdono per la freddezza, per l’indifferenza di coloro che erano stati deputati a cooperare con Dio per la loro salvezza! A noi magari le anime non interessano, ma a Cristo sì! A noi, infatti, le anime non sono costate nulla, ma Cristo le ha pagate a caro prezzo!».

Il sacerdote zelante deve mettersi in prima linea per difendere il gregge e si «preoccupa se le correnti culturali e ideologiche del nostro tempo possano inquinare le anime delle sue pecorelle: soprattutto le anime dei più̀ giovani».

Ma lo zelo non nasce spontaneamente, ma solo dalla fede. Ad esso è ricondotto. Il libro affronta per molte pagine l’aspetto della fede e che cosa accade quando manca al sacerdote.

C’è un passaggio che rende bene l’idea di fede e di Provvidenza che un sacerdote, secondo Sarah, dovrebbe avere. È una fede di abbandono totale, che spesso pensiamo scontata in un uomo di Chiesa ma che invece non lo è. Per scuoterli, Sarah arriva anche a un’iperbole significativa, che non ha nulla del pauperismo, ma è proprio un esercizio di affidamento, prendendo a prestito le parole sentite da un vescovo ai suoi preti: «Ogni tanto, azzerate il vostro conto bancario. Prendete tutto quello che c’è e datelo ai poveri o per aggiustare la chiesa o per acquistare dei paramenti e dei vasi sacri degni. Azzerate il conto bancario. Farete così l’esperienza di tante persone che vivono sperando che arrivi presto il 27 del mese, quando cioè verrà loro versato lo stipendio o la pensione. Molte migliaia di famiglie vivono così e, magari, hanno un senso della Provvidenza più vivo di tanti sacerdoti che se ne stanno tranquilli solo perché hanno tanti quattrini da parte».

Sarah denuncia la «spiritualità protestante che è penetrata in molti sacerdoti», e «l’emozionalismo» di cui in molti hanno bisogno per «sentire qualcosa» e questo li porta a stravolgere e impossessarsi della liturgia. «È una deriva sentimentale, mentre invece la santità non è uno stato d’animo, ma un fatto oggettivo» perché «la liturgia è questo: ridare a Dio il primato e in ginocchio adorarlo. Una liturgia antropocentrica sarebbe una lituriga decentrata, compito del culto divino è riprodurre in terra la liturgia celeste degli angeli e dei santi».

Ricorda poi, che un prete deve avere «virilità». «La psicologia virile – dice citando a esempio San Giuseppe - consiste nel farsi carico di una famiglia e di provvedere a essa».

Il prete «deve essere padre dei suoi fedeli, mai amico. Una familiarità eccessiva del sacerdote con i fedeli è sempre dannosa» e oltre a difendere i suoi figli, i fedeli, deve difendere anche la sua sposa, la Chiesa, «dagli attacchi che riceve», aggiunge mettendo in guardia i preti invitati nei talk show che «sono burattini utili nelle mani di chi guida lo show business».

Autorevole, mai autoritario.  A cominciare dal nome. Sarah condanna l’abitudine di molti preti di non farsi chiamare “don” o “padre” ma solo con il nome di battesimo: «In mezzo al gregge di Cristo, una volta ordinati, noi non rappresentiamo più noi stessi, ma Lui. Premettere “padre” o “don” al nome non è un onore mondano, ma vuole indicare concretamente questo aspetto fondamentale. Così i fedeli si ricorderanno implicitamente chi siamo: i ministri di Dio e della Chiesa. Ma non solo loro: anche noi ce ne ricorderemo! Sentirci chiamare “padre” o “don”, persino esigere gentilmente che ci chiamino così, non rappresenta vanità o ricerca di onore mondano. Al contrario, è un richiamo alla responsabilità̀».

Stesso discorso per l’abitudine di spogliarsi degli abiti da prete per vestire i più comodi abiti borghesi: «Il sacerdote che non veste l’abito, cosa si propone nell’avvicinare le persone? Di evangelizzarle per portarle a Cristo, oppure di confondersi nella massa? Al di là di casi particolari, dovremmo sempre essere riconoscibili come padri ai nostri figli e come ministri di Dio e della Chiesa cattolica per i non cattolici. Non è formalismo, è questione di sostanza».

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