Una satira amara: “I racconti del piffero”

 

di Luciano Garibaldi

Un mix di ironia, fantasia, amarezza. Questa la definizione del nuovo lavoro di Rino Cammilleri, autore cattolico di libri imperdibili come (citando i più recenti) «Immortale odium», «Ma l’Inquisizione ha fatto anche cose buone?», «Io e il Diavolo. Il romanzo di Sant’Antonio da Padova», «Il Vangelo fa parte del paesaggio?».

Il nuovo libro ha un titolo autoironico, «I racconti del piffero» (176 pagine, 17 euro, edizioni Fede & Cultura). I capitoli (e quindi i racconti) sono sedici. Sintetizzarli tutti è impossibile. Abbiamo preferito soffermarci su uno di essi, quello che ha per titolo «Il segreto del successo». Incominciamo dal protagonista. E’ un personaggio inventato, ma non estraneo a molte realtà. Si chiama Tobia Nicodemi, scrittore fallito, giunto alle soglie della vecchiaia senza aver maturato una pensione e senza aver potuto mettere da parte risparmi peraltro mai realizzati.

Lasciamo la parola all’Autore: «Protraendosi il flop delle sue produzioni, gli editori cominciarono a negarsi al telefono. Eggià: non aveva visibilità, la gente non lo vedeva in tivù, nei talkshow, né i suoi romanzi – figurarsi – avevano goduto di riduzioni cinematografiche o televisive. Così, la gente non sapeva dell’esistenza di quello scrittore né tampoco delle sue opere. Sempre peggio. Che fare? Come uscire dall’angolo?  Come fare per finire finalmente sotto ai riflettori? Fu la disperazione a suggerirgli la gabola. Avrebbe sparato al Papa».

E qui ha inizio la seconda vita di Tobia Nicodemi. Ancora il microfono, pardon la penna, a Rino Cammilleri: «Sua Santità Celestino VI (nome di fantasia e personaggio inventato, ovviamente) aveva impostato tutto il suo programma all’insegna del perdono. Amava stare in mezzo alla gente comune, perciò girava senza scorta. Tutto stava a non ucciderlo. Solo ferirlo, possibilmente. Sì, si sarebbe preso qualche ammaccatura quando i gendarmi gli fossero saltati addosso per disarmarlo, ma lui li avrebbe prevenuti gettando subito l’arma e alzando le mani. Se la sarebbe cavata con una lussazione, al massimo un occhio nero se qualche guardia avesse voluto fare l’eroe. Ma poi il Papa avrebbe dovuto per forza perdonarlo. E, ovviamente, nemmeno si sarebbe costituito parte civile. Lui si sarebbe fatto un po’ di galera, certo, ma non tanta, dal momento che gli mancava poco a raggiungere l’età in cui avrebbe avuto diritto ai domiciliari. Poi, condotta integerrima, in sei mesi sarebbe stato fuori, riabilitato, a casa sua. E poi sarebbe venuto il bello. Interviste innanzitutto, e comparsate televisive. Scavando nel suo passato, i giornalisti avrebbero tirato fuori il suo mestiere e la sua produzione. E anche i librai. Sarebbe diventato un personaggio che non avrebbe mancato di citarsi: “Come ho scritto nel mio libro tal dei tali…”. E l’editore di quel libro lo avrebbe di corsa ristampato con tanto di fascetta esaltatoria sopra. Infine, avrebbe completato il libro di memorie, titolo: “Ho sparato al Papa”. Sicurissimo bestseller. Internazionale».

Tutto vero. Successo, interviste, inviti ai talk show televisivi, sino alla proposta di un film sulla sua vita, per concludere con una udienza particolare concessagli dal Sommo Pontefice, durante la quale fu platealmente perdonato, con tanto di abbraccio paterno.

Un anno dopo, terminò di scrivere, e pubblicò, un romanzo con tanto di fascetta sopra la copertina, nella quale si poteva leggere: «Il nuovo libro dell’attentatore del Papa». Come era facile prevedere, incominciò ad essere assediato dalle richieste di aiuto e di appoggio da parte di aspiranti scrittori alla ricerca del successo.

La penna a Rino Cammilleri: «Finché un bel giorno, in una libreria che aveva organizzato la presentazione del suo ultimo libro, un autore incompreso, cui lui aveva negato anche il conforto dell’esame dei di lui lavori, si mise in fila per la firma ma, giunto al suo cospetto, disse chi era e aggiunse: “Si ricorda di me?” Poi gli sparò. Non alla spalla ma in faccia, stecchendolo sul colpo. Quando gli chiesero perché l’avesse fatto, candidamente rispose: “Ero nessuno, ora sono famoso”».

ilnuovoarengario.it

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