di Miguel Cuartero Samperi
L’evento culminante del cristianesimo, la risurrezione di Gesù Cristo, è strettamente collegato all’evento fondante della storia di Israele: la sua liberazione dall’Egitto e il passaggio del Mar Rosso. Si tratta della Pasqua (pessach) che letteralmente significa “passaggio”. Il passaggio degli ebrei dalla schiavitù d’Egitto alla libertà è figura del passaggio dal peccato alla grazia, dalla morte alla vita, operato dalla risurrezione di Gesù Cristo. Durante la celebrazione della Veglia pasquale proclamiamo come terza lettura il brano del passaggio del Mar Rosso (Es 14) come prefigurazione del Battesimo e della Risurrezione di Cristo.
Ogni anno, a Pasqua, il popolo di Israele rivive in prima persona l’evento della liberazione come insegna il rituale del Seder Pasquale. La storia di Mosè è la storia della nascita di un popolo e del compimento delle promesse fatte da Dio ai Patriarchi, Abramo, Isacco e Giacobbe. Questa storia è raccontata nel libro dell’Esodo ma i saggi di Israele hanno saputo approfondire e penetrare il testo biblico per attingere a ciò che, con parole di Levinas, si trova “al di là del versetto.
Nel 1928 lo scrittore e commediografo ebreo Edmond Flegenheimer (detto Fleg) pubblicò una raccolta di racconti (midrashim) tramandati dai saggi di Israele riguardanti la vita di Mosé e la liberazione del popolo ebraico dell’Egitto. Il libro ebbe un grande successo diventando nel tempo un classico che ha affascinato moltissimi lettori in tutto il mondo. Nella sua versione italiana il libro era da tempo esaurito ma una nuova edizione proposta dall’editore Fede&Cultura offre la possibilità di ritornare a leggere quest’opera ricca di insegnamenti spirituali e di curiosità, un’opera frutto dello studio e della passione di molti rabbini e della paziente rilettura e rielaborazione di E. Fleg che si presenta come «umilissimo erede dei narratori del Talmud».
Nella prefazione della nuova edizione italiana don Francesco Voltaggio, biblista esperto di giudaismo antico e professore allo Studium Theologicum Galilaeae, illustra la funzione e l’importanza dei midrashim(plurale di midrash). Si tratta dei racconti tramandati dagli antichi rabbini al fine di approfondire e interpretare il testo biblico. Persuasi dell’aspetto “misterico” dei racconti biblici questi saggi si sono immersi nelle Scritture, scrutandone le profondità per far emergere tutta la ricchezza spirituale dell’insegnamento biblico nascosto oltre il senso letterale della Scritture. L’interpretazione ebraica della scrittura si fonda dunque sulle antiche tradizioni tramandate (per lo più oralmente) negli ambienti vitali in cui essa nasce: «la famiglia e la liturgia domestica, oltre che nella liturgia sinagogale e nella scuola». Una lettura, quella midrashica, volta a parlare esistenzialmente ai fedeli e a suscitare un coinvolgimento personale col testo biblico, affinché non rimanga “lettera morta” ma si incarni in ogni ascoltatore.
Rileggere la storia di Mosè durante il tempo di Quaresima è un esercizio spirituale utile per prepararci a vivere in pienezza la Pasqua. Immergerci personalmente nella storia del popolo eletto, schiavo in Egitto e vittima della ferocia del Faraone, ci renderà spettatori privilegiati della straordinaria opera di salvezza operata da Dio attraverso il suo servo Mosè. Potremmo ritrovare noi stessi nella malizia e nell’idolatria del Faraone, nei peccati e nell’infedeltà di Israele (quel popolo di “dura cervice”), nei tentennamenti e nei dubbi di Mosè (“che cosa sono per salvare i tuoi ebrei? Un semplice pastore…”) ma anche nella fede di chi è stato destinatario dell’Alleanza con Dio, nella gioia di chi ha sperimentato la salvezza, visto i prodigi compiuti da Dio in suo favore, ricevuto in dono la Torah, assaporato la manna nel deserto, sperimentato la vittoria sui popoli nemici e giunto alla soglia della Terra Promessa, cantando di gioia nel vedere compiute le promesse di Dio.
Il ritratto di Mosè che emerge da questa raccolta di antichi detti e racconti è quello di un uomo estremamente mite ed umile, sempre disponibile a fare la volontà di Colui che lo ha chiamato e scelto, nonostante le fragilità, i dubbi e i timori personali.
Entrato a corte come un figlio del Faraone, Mosè crebbe nel lusso, educato dai più saggi maestri d’Egitto, ma portava nel cuore i canti con cui sua madre Iozabet lo aveva cullato durante l’allattamento. Il ricordo della sua vera identità lo portò a commuoversi nel vedere la schiavitù dei suoi fratelli e ad abbandonare i privilegi della corona per mettersi dalla parte delle vittime. Un gesto che commosse profondamente lo stesso Dio. Raccontano infatti i saggi che quando Mosè rinunciò alla corona per unirsi al suo popolo, Dio disse: «Visto che, per il mio popolo, lasci la tua regalità e per lui scendi nella schiavitù, io per te lascerò il mio cielo e scenderò sulla terra». La personale kenosis di Mosè preannuncia, e in qualche modo sollecita, l’intervento di Dio che entra nella storia per salvare Israele. È in Cristo che la “discesa” di Dio verso l’uomo giungerà al suo culmine e compimento (cf. Fil 2,6-11).
È grazie alla generosità e alla disponibilità di Mosè a servire i più deboli, che Dio lo scelse per portare a termine la sua opera di salvezza. Quando Mosè pascolava il gregge di Ietro a Madian si trovò a rincorrere su un luogo scosceso un capretto fuggito per abbeverarsi. Lo prese sulle spalle e lo ricondusse al gregge. Allora, raccontano i saggi, Dio disse: «Poiché ha avuto pietà di un povero capretto e l’ha portato sulle spalle per alleviarne la stanchezza, avrà pieta del mio povero popolo e lo custodirà nel suo cuore per portarne il peccato».
La missione di Mosè non si esaurisce con la fuga dall’Egitto e il passaggio del Mare Rosso. Certamente dovrà condurre il popolo fino alle porte della Terra Promessa, ma a Mosè è affidato un compito ancora più importante: quello di fare da ponte, da mediatore, tra Dio e il suo popolo. Più volte Mosè si troverà ad intercede presso il Signore affinché perdoni il peccato e l’infedeltà di Israele e dia ancora una possibilità ai suoi connazionali. Il compito più grande affidato a Mosè fu quello di donare al suo popolo (e con esso al mondo intero) la Torah, la legge di Dio, e inculcarla e spiegarla agli israeliti. Un compito arduo nel quale sperimenterà l’aiuto e il sostegno di colui che l’ha scelto. Il racconto della morte del profeta e il suo intimo dialogo col Dio è uno dei momenti più drammatici e commoventi del testo. Qui ognuno di noi potrà ritrovare il proprio combattimento spirituale nella figura di questo uomo che, di fronte alla morte, implora al Signore di usare misericordia e di introdurlo nella Terra Promessa, affidando a Lui con sincerità tutto il bene e il male compiuto in vita.
Post scriptum. Molti sono i libri che possono aiutare ad avvicinarsi alla storia di Mosè, tra questi segnaliamo di Jan Dobraczyński (l’autore di “L’Ombra del Padre”) “Deserto. Il romanzo di Mosè”, lettura consigliata in questo mese da Comunione e Liberazione e il recente testo “Mosè tra storia e midrash”, un testo del biblista Frédéric Manns edito da Chirico, che torna sul tema dei midrashim su Mosè e l’Esodo.
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