Futuro antico

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“Il Cristianesimo per natura sua è vita, è intensità, è passione, è bellezza, e lì dove entra porta meraviglie. Trasformando anche il fango in acqua pura, la nostra società in società redenta”. 

Di questo è convinto don Giancarlo Musicò, autore del libro: “Futuro Antico, la bellezza della sintesi tra antico e nuovo” (Ed. Fede & Cultura, 2011). 

Basterebbe tale asserzione del sacerdote calabrese per restituire quella consapevolezza necessaria ad ogni cristiano affinché porti avanti, anche a livello culturale, la bellezza di una fede vissuta. 

La domanda è: se tale affermazione è vera e condivisibile, perché oggi non siamo capaci di gustare appieno la bellezza ereditata? Perché anziché poggiare su un passato di gloria ci avventuriamo verso un futuro che pretende di sganciarsi dalla fede cristiana? 

La provocazione suona così: siamo già un passo avanti verso un laicismo spinto che ha voluto rinnegare le radici cristiane e che oggi vuole seppellirle definitivamente cercando di ancorarsi ad un modello nuovo, magari post-umano? 

Forse il disinteresse verso la bellezza classica è un segno del progressivo eclissarsi della fede, che ci priva della possibilità di gustare la sublime bellezza dell’arte cristiana e di comprendere come essa sia non solo arte pura ma “biblia pauperum”? 

Ho l’impressione che oggi si voglia – consapevolmente – ricommettere lo stesso errore che l’umanesimo italiano ha imposto a suo tempo, pretendendo di rinnegare circa mille anni di storia, etichettandoli come dei “secoli bui”. Un periodo che è passato alla storia come “Medioevo”. Un periodo di grandi scoperte, di grandi edificazioni, di spiccata spiritualità, di notevoli progressi sociali. 

Basti pensare che in una situazione di schiavismo universale, grazie al cristianesimo che ha fortemente respinto la schiavitù (e avvenne per opera di intelligenti leader della Chiesa che cominciarono ad estendere i sacramenti anche agli schiavi per poi chiederne la liberazione come atto infinitamente lodevole), la stessa è stata allontanata dalla mentalità delle persone.

Eppure, tale periodo è stato additato dalla retorica letteraria come poco “umano”, facendo leva sulle criticità che ogni epoca ha prodotto e continua a produrre. Perché rinnegare oggi, come allora, duemila anni di bellezza, di sapienza e di consapevolezza? 

A ben vedere, nella volontà di trasformare dei periodi luminosi in bui, la luce in oscurità, la verità in menzogna, percepire la legge come prigione, la tradizione come limite… serpeggia una visione luciferina. Guardando fuori possiamo capire ciò che abbiamo dentro. Non c’è nessuna rivoluzione spirituale che non abbia una ricaduta sociale, e non ci può essere nessun cambiamento sociale che non parta dal cuore dell’uomo. 

Cosa notiamo attorno a noi? Cosa ci ha preceduto? Solo per parlare dell’ultimo secolo, pur non negando le grandi guerre, lo stesso verrà ricordato come il secolo dei Papi santi, delle apparizioni mariane, delle scoperte in ambito medico e tecnologico, ecc. 

“Futuro antico” non è una provocazione, è una speranza. Affinché, invece di avanzare verso il baratro dell’inconsistenza, ci si fermi e si recuperi la solidità di un passato che insegna ancora molto. I grandi santi, che hanno inciso nella storia, lo dimostrano. 

La verità dev’essere posta a servizio del bene, e la Verità è Via e Vita. Accostarsi al passato non è un passo indietro ma uno in avanti, ogni slancio necessita di un appoggio sicuro. Un passato che è eredità. Una eredità che genera vita. Una vita che trascende sé stessa per aprirsi all’Altro e agli altri. 

Don Giancarlo Musicò, ponendo al centro l’originalità dell’origine, dona ai lettori quel miele che solo una Parola vissuta può produrre. Quel sapore che solo i veri cristiani sanno rendere, quel gusto che trova significato nell’ascolto fecondo. Quella fecondità che solo la Chiesa sa offrire con la sua storia piena di esempi luminosi, di santi, beati, martiri e veri cristiani che hanno irradiato di luce cristiana la società. Riflesso di un amore donato che quotidianamente si rinnova, in modo incruento e reale, sull’altare delle nostre chiese. 

Che futuro ci spetta? Non lo so. Forse nuovo, forse antico, sicuramente interessante e da vivere appieno nella consapevolezza che quanto è già stato può ancora ripresentarsi. 

Che fare del passato, quindi? Attingere a piene mani, ringraziare e lodare per la ricchezza che ci restituisce, guardando con gratitudine verso chi ha indicato una via sicura verso la fonte della vita. 

Perché farlo? Perché ci è stata consegnata una dimora da conservare dignitosamente pulita, restando in attesa di Colui che verrà. 

Attenzione però, perché il tempo dell’attesa non è il tempo di un’assenza. Siamo noi ad essere chiamati a render presente Colui che deve venire, perché lo si è incontrato e conosciuto, conservando quanto ci ha affidato. Partendo da una ricca eredità da conservare e far risplendere. 

Avevo riflettuto sulla possibilità di recensire il libro in modo “classico” parlando dei capitoli, degli argomenti, dello stile, ho preferito invece fermarmi per una considerazione attorno ad una singola affermazione. Dalla lettura del testo emerge chiaramente una consapevolezza: quella di esser parte di una grande storia, di una immensa eredità e di una urgente necessità: saper valorizzare quanto ci è stato donato dal passato. 

Il suggerimento è leggere il libro con calma, senza fretta, per scoprirne la passione, il trasporto, l’entusiasmo e le illuminanti riflessioni che propone l’Autore. Per assaporare che l’antico è il nostro futuro e che il “futuro antico” è una via sicura.

Domenico De Angelis 

 

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