Intervista esclusiva a S.E.R. mons. Athanasius Schneider

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Nella prima parte del libro Lei ripercorre le vicende della Sua famiglia in Unione Sovietica: come è stato possibile trasmettere la fede sotto il regime e come era vissuta in casa sua?

              La fede era trasmessa quasi esclusivamente in famiglia, dentro casa. Avevamo il buon vecchio catechismo tedesco, un libro intitolato Storie bibliche, con belle illustrazioni e una breve sintesi degli eventi più importanti della Sacra Scrittura. Avevamo manuali e raccolte di preghiere tradizionali. Mia

madre impartiva regolari lezioni di catechismo a noi bambini (eravamo quattro), è stata per me la prima (e migliore) catechista. Ogni giorno pregavamo tutti quanti insieme: al mattino e alla sera. Erano preghiere brevi, ma recitate sempre insieme. Avevamo il “culto domenicale”, cioè la domenica mattina, chiuse le finestre e la porta della casa, i miei genitori radunavano noi bambini per un’ora di preghiere, un’ora santa, poiché non c’erano sacerdoti. Era una atmosfera catacombale, propria di una vera chiesa domestica. Ci univamo spiritualmente con tutte le Sante Messe che venivano celebrate in quel momento nel mondo e facevamo la Comunione spirituale. Questo “culto domenicale” della chiesa domestica in famiglia è una delle memorie più care e sante della mia vita.

 

2    Torna frequentemente nei suoi ricordi famigliari il Beato Oleksiy (Alessio) Zarytskyj: quando è morto Lei era molto piccolo, ma è una figura molto presente nella Sua storia. Cosa ci può dire?

              Il Beato Alessio Zarytsky è stato presente nella mia vita quando avevo un anno. In quel periodo venne segretamente da Karaganda (nel Kazakhstan) a Tokmok nel Kirghizistan, dove abitavamo, e celebrò una Santa Messa nella nostra casa. Mia madre mi mise nel passeggino ponendolo da un lato della tavola, dove il Beato Alessio celebrava la Messa. Così sono divenuto, per così dire, un chierichetto all’età di un anno. I miei genitori sempre ci parlavano di Padre Alessio e ci dicevano, che non hanno trovato nella loro vita un sacerdote così santo come lui. Mio padre spesso rievocava, quando io ero già sacerdote, l’esempio davvero sacerdotale e apostolico di Padre Alessio. Lui passava notte intere confessando i fedeli, predicava le verità della fede mettendosi in piedi su una piccola sedia per poter essere meglio visto e ascoltato dai fedeli. Quando predicava, il suo viso era pallido e sudava, poiché era esausto dopo tante ore ad ascoltare le confessioni in una piccolissima stanza delle baracche del ghetto tedesco nei Monti Urali. Era un sacerdote  completamente dedito alla salvezza delle anime. Era un vero apostolo e missionario.

 

3    Successivamente vi trasferite in Germania, dove restate colpiti dalle "novità" in corso nel mondo cattolico, tra cui il venir meno della sacralità, dell’abito ecclesiastico e la comunione sulle mani. Erano “aggiornamenti” o sintomi di una crisi di fede?

Senza dubbio, tali fenomeni erano un’espressione chiara di una crisi di fede. Quando c’è meno sacralità e riverenza nella liturgia, l’uomo pone Dio in secondo piano e se stesso in primo piano: così la visione del soprannaturale è indebolita e con essa la fede stessa è indebolita. L’essenza della fede e del cristianesimo è il primato del soprannaturale, il primato di Cristo incarnato, il primato della gloria di Dio, dell’adorazione di Dio, il primato del cielo e dell’eternità. In tutto ciò l’uomo, il temporale, la natura occupano il secondo posto e proprio con il primato di Dio e del soprannaturale vengono purificati ed elevati. 

 

4    In questo periodo di pandemia, spesso abbiamo sentito dire – anche da ecclesiastici – che, in fondo, non è necessario andare a Messa, si può pregare in casa. Ma davvero si può fare a meno dell’Eucaristia?

È con rammarico e stupore che notiamo che l’eresia del materialismo e del naturalismo è già penetrata così profondamente nei pensieri e nelle azioni di molti cattolici e persino di molti sacerdoti e vescovi. La Chiesa deve ripristinare il primato dell’anima e della vita eterna e soprattutto della centralità dell’Eucaristia. L’atteggiamento da Lei menzionato rivela una scarsa fede nella Presenza Reale del Signore nel mistero eucaristico e nel valore infinito del sacrificio Eucaristico. La reazione incomprensibilmente timida e tiepida riguardo la centralità della celebrazione del sacrificio eucaristico da parte di molto chierici e fedeli mette a nudo la vera ferita profonda che si cela dietro l’attuale crisi nella Chiesa: è la “ferita eucaristica”. Alludendo alla domanda di Gesù nel Vangelo: “Chi dite che sia il Figlio dell’uomo?” (Mt 16,13), essa sorge ora per ogni cattolico, ogni sacerdote e ogni vescovo: “Cosa e Chi pensi che sia l’Eucaristia?”. Dobbiamo prendere esempio dai nostri fratelli e sorelle del tempo della persecuzione nei primi secoli e proclamare forte e chiaro: “Senza la Santa Eucaristia, senza la Santa Messa della domenica, non possiamo vivere!” (sine Dominico non possumus). Possa Dio accendere il fuoco di una coraggiosa confessione e testimonianza pubblica dei cattolici, che rivendichino il diritto al culto pubblico eucaristico. Possa questo fuoco bruciare, possibilmente in molti luoghi e paesi, e che risuoni il grido dignitoso e intrepido: “Senza messa domenicale, possiamo non vivere!”.

 

5    Il suo nome di battesimo è Antonio, ma poi entrando nell’ordine dei Canonici Regolari della S. Croce ha assunto il nome di Atanasio: vede in questo nome il segno di una ulteriore vocazione?

Ho cominciato a scoprire il significato personale del mio nome “Athanasius” quando sono divenuto vescovo. La prima cosa che ho fatto come vescovo è stato proporre alla Conferenza episcopale, dalla quale ero membro, un decreto che stabiliva che la Santa Comunione si dovesse ricevere esclusivamente in bocca e possibilmente in ginocchio. In questa mia iniziativa ho trovato resistenza da parte di alcuni responsabili nella gerarchia ecclesiastica. Con mio libro in difesa della Comunione in bocca Dominus Est, tradotto in circa 15 lingue, non mi sono fatto amici tra l’establishment clericale. Però innumerevoli laici, semplici fedeli di tutte età e Paesi e anche semplici sacerdoti e religiosi mi hanno ringraziato per questa difesa del Signore Eucaristico. A partire del pontificato di Papa Francesco sono stato per così dire gettato nell’arena della battaglia riguardo vari aspetti centrali della verità e della vita della fede cattolica. Prima della mia professione religiosa non avrei nemmeno immaginato il nome “Athanasius”. Divenuto sacerdote e vescovo, ancora meno potevo immaginare di dover compiere gesti pubblici in difesa della fede, spesso trovandomi in minoranza con altri miei colleghi vescovi che condividevano la stessa preoccupazione per il bene della Chiesa e delle anime. 

 

6    Lei è uno dei vescovi più impegnati nel promuovere la liturgia tradizionale: quale nutrimento spirituale (sia nella Messa che nel Breviario) vi trova e cosa direbbe ai critici?

Le preghiere e i gesti della liturgia tradizionale della Santa Messa esprimono senza dubbio una maggiore ricchezza dottrinale e spirituale concernente l’ineffabile mistero eucaristico. La Chiesa, la Sposa di Cristo, guidata dallo Spirito Santo, nel corso dei secoli è cresciuta nella comprensione sempre più profonda di questo mistero e come una Sposa amante ha perfezionato le parole e i gesti: infatti, come ha detto Papa Giovanni Paolo II “non c’ è pericolo di esagerare nella cura di questo Mistero, perché in questo Sacramento si riassume tutto il mistero della nostra salvezza” (Enciclica Ecclesia de Eucharistia, 61). Un’ulteriore prova della maggiore oggettiva ricchezza spirituale del rito tradizionale della Santa Messa è la reazione dei bambini e giovani che per la prima volta partecipano a questa forma liturgica. Avendo un’anima pura e uno spirito non ancora macchiato da pregiudizi ideologici, molti di loro istintivamente sono toccati nel più profondo dell’anima, dicendo: “Questo è la verità! Questo è veramente bello! Questo è divino e celeste!” Sentiamo in tali parole la voce del sensus fidelium, che è stata soffocata dai sofismi liturgici di un gruppo di chierici arroganti, chierici intellettuali senza l’ardore della fede e dell’amore soprannaturali, chierici mondanizzati. Però la verità e la bellezza soprannaturali sono più forti. Il rito tradizionale e costante della Santa Madre Chiesa in modo soave e forte sta lentamente conquistando le anime. 

 

7    Nel suo libro, emerge che la sacralità della liturgia e la Tradizione toccano il cuore dei più poveri (in Africa, in Brasile, etc.: ma allora non c’è contraddizione tra essere tradizionalisti ed essere missionari?

Il supremo modello del missionario è Nostro Signore Gesù Cristo, che è venuto per glorificare a adorare il Padre (cf. Gv. 17, 4), che ha pregato con massima riverenza come ci dice la Sacra Scrittura (cf. Eb 5, 7; 12, 17). I santi Apostoli, i più grandi missionari della Chiesa, hanno vissuto nella loro vita e nell’opera missionaria questo spirito di riverenza liturgica e di teocentrismo. I grandi missionari nella storia della Chiesa erano allo stesso tempo uomini di preghiera ed eccellenti testimoni del primato del soprannaturale e dello splendore del culto pubblico della Chiesa. Un’ antica tradizione dice che san Vladimiro, sovrano del popolo slavo del principato di Kiev, fu convinto dalla verità del cristianesimo vedendo la celebrazione sublime, dignitosa e bella della liturgia a Costantinopoli. I popoli africani evangelizzati nel secolo XIX erano attratti anche dalla bellezza della liturgia tradizionale latina, loro amavano il latino e se sentivano accolti nella grande famiglia cattolica mondiale, poiché fino al Vaticano II la Santa Messa era celebrata in tutto l’orbe cattolico in latino e con la stessa grande riverenza. 

 

8    Quali sono, a Suo avviso, i principali problemi per la fede cattolica oggi, specie nel mondo occidentale e in Europa?

Il problema principale e più profondo consiste nel fatto che l’uomo e l’establishment ecclesiastico hanno voltato le spalle a Dio, volgendo il loro interesse e la loro attività principalmente verso il temporale e il materiale. Ciò trova la sua espressione rituale nel modo di celebrare il sacrificio della Messa, l’atto più sublime di adorazione, rivolti verso se stessi in un cerchio chiuso, espressione di antropocentrismo e naturalismo. Queste sono appunto le radici più profonde della crisi del mondo e della Chiesa. 

 

9    Come vive personalmente il ministero episcopale in questi tempi di crisi della fede?

In questi tempi un vescovo deve continuamente chiedere a Dio la grazia della fortezza, la grazia del coraggio, la grazia della fedeltà incrollabile alla fede cattolica in tutta la sua integrità e chiarezza. Un vescovo ai nostri giorni deve coltivare lo spirito degli apostoli, dei grandi santi vescovi e di altri vescovo eroici che hanno vissuto in tempi di crisi interna della Chiesa e di persecuzione esterna. Un vescovo deve divenire sempre di più un assiduo cultore della fede cattolica e apostolica, come  dice il Canone della Messa. Unitamente a questo un vescovo deve coltivare sempre di più lo spirito della preghiera e l’amore per la bellezza della casa del Signore (cfr. Sal 26,8). Un vescovo deve essere un uomo della verità e dell’eternità. Ricordando gli uomini la patria celeste egli stesso deve desiderare la patria celeste, come diceva San Gregorio Magno. 

 

10   10 Quali sono le possibili vie d’uscita da una crisi che non riguarda solo la Chiesa ma coinvolge il mondo intero?

La via d’uscita consiste nel rivolgersi di nuovo a Dio con spirito di contrizione, di umiltà, di timore di Dio. Accettare e amare la volontà divina nei Suoi comandamenti (come ci insegna il lungo Salmo 118), compiere la volontà di Dio con l’aiuto della Sua grazia. Dare a Dio e a Gesù Cristo, al Dio Incarnato, il primato. Sforzarsi affinché Cristo torni a regnare con la Sua dottrina e la Sua Persona nella vita pubblica e sociale: nelle scuole, nelle università, nei parlamenti. Non c’è altro cammino per una vera pace e un benessere duraturo. Senza il regno di Cristo e l’osservanza dei comandamenti di Dio la società cadrà in una degradazione morale abissale. Questa è la missione della Chiesa: far sì che Cristo regni nella vita privata e pubblica. “Egli deve regnare!” (1 Cor 15,25). Cristo lo farà attraverso anime ardenti e apostoliche e pure nelle famiglie e nel sacerdozio. 


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