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di Paolo Gulisano
Nel 1707 la Scozia, attraverso l’Atto di Unione approvato dai Parlamenti inglese e scozzese, cessava di essere una nazione libera e indipendente. A partire dal 1° marzo di quell’anno, definito dai patrioti scozzesi annus horribilis, l’intera isola britannica ricadde sotto un unico governo, quello di Londra.
Nel momento più oscuro della storia della nazione, in cui essa stessa, per volontà della maggioranza dei propri rappresentanti politici e dell’aristocrazia, rinunciava alla propria libertà consegnandola agli inglesi in cambio di vantaggi economici – peraltro riservati a una ristretta oligarchia – e della garanzia che sarebbero stati mantenuti gli assetti civili e religiosi determinati dalla Rivoluzione del XVII secolo e dalla Riforma protestante, Fletcher lasciò una dichiarazione che all’epoca poteva sembrare un sentimentale attaccamento alla tradizione e a un glorioso passato ormai tramontato, e che oggi, agli inizi del XXI secolo e alla luce degli avvenimenti che negli ultimi anni hanno visto il ritorno come protagoniste della storia le piccole patrie, tra le quali la stessa Scozia, assume invece una dimensione quasi profetica: “Sono le ballate, e non le leggi, a costruire una nazione”
Paolo Gulisano, Il cardo e la croce
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