Il vecchio Holden e il mistero della malattia mentale

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di Stefano Parenti
Decine di scrittori hanno tentato di svelare il mistero della malattia mentale, senza (quasi) mai raggiungere un risultato soddisfacente. Ma John Bottle, ne Il giovane blogger (Fede & Cultura), compie l’impresa di narrare l’esperienza della degenza in una struttura terapeutica riuscendo laddove molti hanno fallito: discopre il cuore del disturbo psichico, che descrive con mirabile lucidità. Perché lo fa lasciando inalterato il mistero e legandolo al rapporto con Dio.

La malattia mentale ha sempre esercitato un certo fascino. Decine di scrittori hanno tentato di svelarne i misteri, senza (quasi) mai raggiungere un risultato soddisfacente, in particolar modo gli specialisti. Consapevoli dei limiti (e degli errori) di questi ultimi, talvolta gli stessi pazienti si sono cimentati nell’impresa.

John Bottle, “pseudonimo di un noto caso clinico”, è uno di questi e ne rappresenta un esemplare particolare. Innanzitutto perché il suo Il giovane blogger (Fede & Cultura, 2019, 14 €) compie l’impresa di narrare l’esperienza della degenza in una struttura terapeutica – il “nido nascosto” – in poco meno di ottanta pagine. Poi perché riesce laddove molti hanno fallito: discopre il cuore del disturbo psichico, che descrive con mirabile lucidità. Infine perché lo fa lasciando inalterato il mistero. E come è possibile “rivelare l’assassino” senza togliere l’arcano che avvolge lo svolgersi della trama? Semplice (e geniale): facendo ciò che ogni buon ipnotista impara sin da piccolo, ovvero moltiplicando gli elementi salienti. In modo tale che la sua “claudicante e goffa” storia “nessuno potrà mai tradurre così da poterla ridire”. Noi tenteremo di contraddire l’autore. Ma procediamo con ordine.

Il primo dei racconti che compongono il libretto - il più significativo dei quattro - si apre in forma interattiva: il protagonista scrive un diario al suo terapeuta. Si fa chiamare “il vecchio Holden” poiché sta tentando di redigere un seguito al celebre romanzo di Salinger, immaginandosi l’evoluzione di quel personaggio. Mentre “il giovane Holden fu concepito come un adolescente alienato a causa di un vuoto di valori che Salinger profeticamente denunciava nella società americana del tempo” egli riconosce di far parte di una schiera di adulti del terzo millennio in cui “l’alienazione e la malattia psichica sono anche una conseguenza della percezione errata del nostro posto nel mondo e del nostro rifiuto di mantenere un contatto vivo con Dio”. In altre parole: la diagnosi del paziente individua la causa del malessere (e la via di guarigione) nel rapporto con Dio. Salute mentale e religione, che notoriamente fanno a pugni dai tempi di Freud, vengono così mirabilmente collegate. “Fortino della follia” di un uomo “in cura con Rivotril”? Può essere. Ad ognuno la sua interpretazione. Certamente, il cattolico incline a tali tematiche avrà colto un’eco dell’opera di Rudolf Allers.

Per quanto mi riguarda i passaggi che descrivono la “depressione tripolare” - come la chiama il vecchio Holden – sono così didascalici da imporsi come evidenza. Vediamoli brevemente. Il giovane blogger si racconta come un uomo impegnato da sempre in un “vano, inutile, sterile, inane sforzo di assomigliare agli altri, ai cosiddetti altri!”. “In prima media era un introverso ben educato e dalla bella calligrafia”; “un damerino inglese di vittoriana memoria”: sensibile, morbido e intellettuale. I rapporti coi compagni erano tutt’altro che virtuosi: “Holden arrossiva e arrossiva”.

E il padre? Che tipo di esempio forniva? “Mio babbo è quasi sempre triste”; “Mio babbo non mi parla mai”. Non c’è da stupirsi, dunque, se divenuto grande: “il maturo Holden non combinò nulla di buono”; “disegnò una parentesi all’interno di se stesso, una parentesi-grotta, e in essa prese dimora”. Assunto come dipendente in un magazzino e diventato orgogliosamente “il carrellista errante”, fu sufficiente l’incontro con un collega forte ed altruista, “il Fosco”, generoso e sincero (tremendamente sincero, in grado di svelare con pochi sguardi la fragilità di Holden) per metterlo in crisi, tanto da “incarnare il Maligno – il nemico per eccellenza – agli occhi del carrellista errante”.

Come lui stesso racconta, il perché è facile da intuire: “Fosco potrebbe rappresentare l’alter ego di Holden, o meglio: ciò che Holden, inconsapevolmente, avrebbe voluto essere” (p. 33). Dopo aver tentato d’investirlo “per sbaglio”, il giovane blogger subì un trattamento sanitario obbligatorio. Da allora sono passati dieci anni, ma la “depressione tripolare” non è migliorata: “‘Il filo che unisce tutti i destini’, e con esso la continuità della vita, si è spezzato per sempre, almeno per me”. Eccolo dunque ritornare spontaneamente al “nido nascosto”.

Qual è il senso di tutta questa vicenda? Senza dubbio “far diventare problema la psichiatria stessa”: “dal giovane Holden in poi il ‘mercato del malessere’ con psicoterapie di ogni tipo accomunate tutte da microscopici errori in prospettiva antropologica è cresciuto a ritmi esponenziali”. Tanto da ritenere non così irrealistico che “sia urgente riaprire i veri manicomi chiudendo quelli finti, per esempio i manicomi mascherati da lussuosi convegni psichiatrici sponsorizzati da case farmaceutiche”. Quale la via di uscita?

Nel romanzo trova spazio anche una proposta, che vale tanto per il mondo liberale e disumano, ben abbozzato negli ultimi racconti (“il mondo è un produttificio!”) quanto per la psichiatria. È la riscoperta della nostra tradizione ed in particolare della proposta cristiana che è in grado di dare senso alla vita. Per ovviare all’enorme “emergenza educativa” divenuta ormai cultura mondiale, che come effetto produce malessere e alienazione, è necessario “proporre adeguatamente il passato”.

“Senza questa proposta del passato – diceva don Giussani citato in fondo al libro – della conoscenza del passato, il giovane cresce cervellotico o scettico”. C’è bisogno di una fede vissuta e concreta, incarnata, che passi attraverso la testimonianza dei genitori e degli amici, della cultura e dei giornali. È un appello che l’autore, in uno dei racconti, lancia una domenica dal microfono dell’Esselunga: “Razza di idioti, nemmeno vipere, oggi è il giorno del Signore: non vi sono sei giorni per fare la spesa? Il settimo non vi riposate, non pregate, non leggete, non contemplate? Neanche io, da cinque notti, ma io non so sorprendere e ascolto Dio-in-me, mentre voi siete sordi e vi auto-sorprendete con delle stupide uova di cioccolato di una Pasqua che ignorate! Dalla prossima settimana l’Esselunga rimarrà chiusa la domenica e le feste comandate: convertitevi o andate alla Coop”.

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