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di Francesco Agnoli
Dio non esiste è un testo filosofico di Benito Mussolini, del 1904, piuttosto raro, quasi introvabile, nonostante all’epoca gli sia valso la stima e la considerazione di molti rivoluzionari.
Eppure rileggere oggi l’opuscolo mussoliniano è assai utile per comprendere una componente fondamentale del pensiero politico dominante nella prima metà del Novecento.
Infatti, come tanti storici hanno messo in luce, l’assolutizzazione della politica, la trasformazione del Partito in una chiesa, dell’ideologia politica in una dottrina di Salvezza, di alcuni uomini in Profeti (o, hegelianamente parlando, in “uomini cosmico-storici”), ha il suo fondamento proprio nella “morte di Dio”, o, per meglio dire, nella profonda marginalizzazione della visione cristiana del mondo che aveva dominato l’Europa per secoli.
L’epoca in cui Mussolini scrive è segnata dalla sostituzione delle fede in un Dio trascendente, nella Salvezza come prospettiva ultraterrena, con nuove fedi secolari, immanenti, atee o panteiste: la fede nello Stato, nel Partito, nella Razza, nella Classe sociale, nella Nazione, nell’Umanità, nel Progresso, nella Scienza e nella Tecnica…
In nome di queste nuove fedi milioni di uomini sognano, combattono, lottano, e danno persino la vita, certi di edificare un “mondo nuovo”, di realizzare un regnum hominis che appare a portata di mano, che sembra raggiungibile mettendosi alla sequela dei vari Lenin, Mussolini, Hitler, Mao Tse Tung…
Rileggere oggi l’opuscolo di Mussolini è dunque assai utile non solo per comprendere meglio la formazione culturale del fondatore del fascismo, ma anche per mettere a fuoco, anche attraverso le note al testo, le affinità profonde, spesso dimenticate, eppure evidenti, esistenti tra i tre totalitarismi novecenteschi.
L’appendice in calce al testo, infine, permette di valutare quanto le idee del giovane Mussolini siano rimaste vive ed operanti, come fondamenta “teologiche” su cui costruire la “rivoluzione fascista”, anche nel prosieguo della sua esistenza.
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