Gesù per risvegliare in tutti la capacità di conversione è attento a loro, vuole tutti salvi anche il pubblicano, il peccatore Zaccheo disonesto e a servizio di una potenza pagana
di Mons. Gino Oliosi
Oggi la liturgia presenta alla nostra meditazione il noto episodio evangelico dell'incontro, dello sguardo di Gesù con Zaccheo su di un albero nella città di Gerico. Chi era Zaccheo? Un uomo ricco che di mestiere faceva il "pubblicano", cioè l'esattore delle tasse per conto dell'autorità romana pagana, e proprio per questo, come pure per la disonestà, veniva considerato pubblico peccatore, da evitare. Avendo saputo che Gesù, noto perché non si fermava a
Oggi la liturgia presenta alla nostra meditazione il noto episodio evangelico dell'incontro, dello sguardo di Gesù con Zaccheo su di un albero nella città di Gerico. Chi era Zaccheo? Un uomo ricco che di mestiere faceva il "pubblicano", cioè l'esattore delle tasse per conto dell'autorità romana pagana, e proprio per questo, come pure per la disonestà, veniva considerato pubblico peccatore, da evitare. Avendo saputo che Gesù, noto perché non si fermava a
come venivano valutate le persone, passava per Gerico, quell'uomo fu preso nel dinamismo interiore da un grande desiderio di vederlo, ma, essendo basso di statura, salì su un albero. Gesù si fermò proprio sotto quell'albero e senza disprezzo ma con amore si rivolse a lui chiamandolo addirittura per nome: "Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua" (Lc 19,5). Quale messaggio in questa semplice frase di evangelizzazione! "Zaccheo": Gesù, il Figlio del Padre che verginalmente per opera dello Spirito santo ha assunto un volto umano, chiama personalmente per nome un uomo disprezzato da tutti per disonestà e perché a servizio di una potenza pagana. "Oggi": sì, proprio adesso nella tua situazione attuale è il momento della salvezza. "Devo fermarmi": perché "devo"? Perché il Padre, ricco di un amore sempre più grande di ogni peccato e quindi ricco di misericordia, vuole che Gesù, il Figlio suo, vada a "cercare e salvare ciò che era perduto" (Lc 19,10). La grazia, l'avvenimento di quell'incontro imprevedibile fu tale da cambiare completamente Zaccheo facendo accadere la possibilità di un cambiamento di vita, di una conversione: "Ecco – confessò a Gesù – io do la metà dei miei beni ai poveri e, se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto" (Lc 19,8). Ancora una volta il Vangelo cioè con l'annuncio della presenza del Figlio di Dio e la testimonianza ci dice che le risorse interiori di ogni persona comunque ridotta cogliendo l'amore che parte dal cuore di Dio e operando attraverso il cuore di un volto umano, è anche oggi in un mondo secolarizzato la forza, l'unica forza che rinnova il mondo.
Questa verità risplende concretamente in modo singolare nella testimonianza del Santo di cui martedì 4 novembre ricorre la memoria: Carlo Borromeo Arcivescovo di Milano. La sua figura si staglia nel difficile secolo XVI come modello di giovane Pastore esemplare per carità pastorale, dottrina, zelo apostolico e soprattutto per la preghiera: "le anime – egli diceva anche di fronte alla situazione più prodiga -si conquistano in ginocchio". Consacrato vescovo a soli 25 anni, mise in pratica il dettato del Concilio di Trento, che imponeva ai pastori di risiedere nelle rispettive Diocesi, e si dedicò interamente alla Chiesa ambrosiana: la visitò in lungo e in largo per tre volte; indisse sei sinodi provinciali e undici diocesani; fondò seminari per formare una nuova generazione di sacerdoti capaci di amare senza mai motivo sesso cioè celibi, senza motivo di possesso cioè poveri, senza motivo di successo cioè obbedienti; costruì ospedali non solo per l'aspetto sanitario ma perché ogni vita sia sostenuta fino alla sua fine naturale. Destinò le ricchezze di famiglia, come Zaccheo, al servizio dei poveri; difese i diritti del Corpo della presenza e azione del Risorto cioè la Chiesa contro i potenti; rinnovò la vita religiosa e istituì una nuova Congregazione di preti secolari, gli Oblati che testimoniassero che il sacramento dell'Ordine rende possibile una fraternità sacramentale tra sacerdoti. Nel 1576, quando a Milano infuriò la peste, visitò, confortò e spese per i malati tutti i beni che gli restavano. Il suo motto consisteva in una parola sola "Humilitas" poiché da superbi non si gode la Luce di fede che illumina il candore della vita. L'umiltà, cuore dei Seminari da lui fondati, lo spinse, come il Signore Gesù, a rinunciare a incentrarsi in sé stesso per farsi servo di tutti.
In questo momento ecclesiale così difficile affidiamo all'intercessione di san Carlo il Vescovo di Roma, il Papa, e tutti i Vescovi del mondo, per i quali invochiamo la celeste protezione di Maria Santissima, madre della Chiesa come nella prima Pentecoste del Cenacolo.
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