Gesù audacemente chiede di essere glorificato. Ma sa bene che questa glorificazione passa attraverso le sofferenze della passione. Anche noi con Lui chiediamo la vita veramente vita sapendo di dover passare (Pasqua) attraverso le sofferenze e la morte
di Mons. Gino Oliosi
Siamo nel venerdì santo, un giorno tenebroso e luminoso. Tutta la Chiesa ricorda la passione, la morte e la sepoltura di Gesù. La liturgia ci offre testi splendidi, che possono nutrire molte ore di meditazione nel silenzio del Venerdì Santo. Li presentiamo attingendo da Albert Vanhoye Letture bibliche delle Domeniche Anno C (pp.104-109).
Siamo nel venerdì santo, un giorno tenebroso e luminoso. Tutta la Chiesa ricorda la passione, la morte e la sepoltura di Gesù. La liturgia ci offre testi splendidi, che possono nutrire molte ore di meditazione nel silenzio del Venerdì Santo. Li presentiamo attingendo da Albert Vanhoye Letture bibliche delle Domeniche Anno C (pp.104-109).
La prima lettura, tratta dal libro del profeta Isaia, è il canto del Servo sofferente, una profezia stupenda. La seconda
lettura, tratta dalla Lettera agli Ebrei, ci ricorda l'offerta di Cristo con grida e lacrime, con dolore e sofferenze del Figlio del Padre che ha assunto un volto umano in tutto uguale a noi, tranne il peccato. Il Vangelo è la passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Giovanni: un racconto glorificante. Infatti, la passione secondo il quarto evangelista non è un racconto triste, ma un racconto che manifesta la gloria di Gesù, la gloria di aver amato nella verità fino al perdono come la perfezione dell'amore del Padre.
La profezia di Isaia è veramente impressionante. E' un testo unico in tutto l'Antico Testamento, che parla di un personaggio innocente che soffre per i peccati degli altri. Egli soffre terribilmente, è umiliato al massimo. Dice il testo: "Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per potercene compiacere. Disprezzato e reietto dagli uomini (…), come uno davanti al quale ci si copre la faccia".
Poi vengono menzionate anche le sofferenze che questo personaggio accetta per i nostri peccati: "Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità".
Così egli ci ottiene la salvezza: Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti".
Questo personaggio soffre per i nostri peccati. Quando vediamo Gesù soffrire durante la passione, non dobbiamo dimenticare che le sue sofferenze sono per i nostri peccati.
Sono sofferenze feconde. Dice infatti il testo di Isaia: "Quando offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo […]. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce". E l'inizio di questa profezia predice la glorificazione straordinaria di questo personaggio; il Signore afferma: "Il mio servo avrà successo, sarà innalzato, onorato, esaltato grandemente".
Attraverso la passione, Gesù va verso la luce di Pasqua e con Lui anche noi.
Il brano della Lettera agli Ebrei ci fa capire che la passione di Gesù è una vera passione umana, un'offerta sacrificale. Essa non è un sacrificio rituale, non avviene in un luogo sacro, ma è un supplizio che avviene fuori della città. Tuttavia esso è il più perfetto dei sacrifici.
Cristo si trova in una situazione umana di angoscia tremenda. La assume nella preghiera e nella docilità totale verso Dio, come ricorda la Lettera agli Ebrei: "Pur essendo Figlio di Dio, imparò l'obbedienza dalla cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono (= per tutti i credenti)".
La passione secondo Giovanni è una passione glorificante. Viene preparata dalla preghiera di Gesù – la cosi detta "preghiera sacerdotale" – alla fine della Cena (Gv 17). Gesù si rivolge al Padre e gli dice: "Padre, è giunta l'ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te" (17,1). Gesù audacemente chiede di essere glorificato. Ma sa bene che questa glorificazione, ogni glorificazione vera, passa attraverso le sofferenze.
Giovanni ci mostra che la glorificazione di Gesù si realizza sin dall'inizio della passione. E in tutti gli episodi di essa c'è sempre un aspetto di glorificazione: una glorificazione sorprendente in circostanze che di per sé sono umilianti.
Gesù si trova nel giardino del Getsemani, e vengono a prenderlo. E' una situazione umiliante: Gesù viene considerato come un malfattore. Ma egli si fa innanzi, e dice a chi viene ad arrestarlo: "Che cercate?". Gli rispondono: "Gesù il Nazareno". Gesù dice: "Sono io!".
Queste parole di Gesù hanno l'effetto di glorificarlo, perché appena egli dice: "Sono io!", essi indietreggiano e cadono a terra. Gesù all'inizio della passione si presenta come un trionfatore. E questo mostra tutto il senso della sua passione.
Gesù poi fa in modo che si realizzino le sue parole. Dice a quelli che sono venuti a prenderlo: "Vi ho detto che sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano" Così si adempie la parola che egli stesso aveva detto, durante la sua preghiera sacerdotale: "Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato" (Gv 17,12).
Quando è interrogato dal sommo sacerdote, Gesù risponde con grande dignità: "Io ho parlato al mondo apertamente […] e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro".
Gesù viene schiaffeggiato da una delle guardie. E' una grande umiliazione per lui. Ma egli risponde con grande dignità: "Se ho parlato male, dimostrami dov'è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?".
Dopo l'episodio dell'interrogatorio nella casa del sommo sacerdote, Gesù viene condotto nel pretorio, dal procuratore romano. Con questo lungo episodio, in cui Pilato entra ed esce più volte – sette volte -, parla con gli ebrei e parla con Gesù, si manifesta sempre l'innocenza di Gesù. Pilato dice chiaramente: "Io non trovo in lui nessuna colpa".
D'altra parte, questo interrogatorio offre a Gesù l'occasione di parlare della propria dignità regale. Pilato gli chiede: "Dunque tu sei re?", e Gesù risponde: "Tu lo dici; io sono re". Così egli viene glorificato.
Poi Gesù continua: "Per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità". Egli spiega che il suo regno non è di questo mondo, ma è un regno molto più importante di qualsiasi regno umano.
Pilato di nuovo lo conduce fuori, e dice: "Io non trovo in lui nessuna colpa". E' una nuova dichiarazione dell'innocenza di Gesù.
Pilato poi presenta Gesù alla folla con questa espressione: "Ecco l'uomo!". Gesù, che porta la corona di spine e il mantello di porpora, è l'uomo per eccellenza. E' stato salutato dai soldati come "re dei giudei" – e questa dignità verrà affermata ancora più volte -, ma ora Pilato la qualifica come "l'uomo" cui originariamente tende a divenire ogni uomo.
Gesù rivela chi è l'uomo ideale, l'uomo perfetto. Nella sua passione è l'uomo più perfetto che ci possa essere, lui che va fino all'estrema possibilità dell'amore. Dice infatti Giovanni: "Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine" (Gv 13,1). E Gesù afferma: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Gv 15,13).
Verso la fine del processo, si manifesta un altro aspetto della dignità di Gesù. I giudei dicono: "Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio". Pilato è impressionato da queste parole in cui viene rivelata la dignità filiale di Gesù.
Dopo aver portato Gesù al Golgota, lo crocifiggono assieme a due malfattori. L'evangelista riferisce: "Lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall'altra, e Gesù nel mezzo". Gesù è nel posto d'onore.
Poi c'è l'iscrizione che proclama come autorità pubblica romana in tre lingue che Gesù è re: "Vi era scritto: "Gesù il Nazareno, il re dei giudei" […]. Era scritta in ebraico, in latino e in greco". Tutti possono leggere e capire. I sommi sacerdoti si oppongono e cercano di far togliere questa iscrizione. Ma Pilato si rifiuta, dicendo: "Ciò che ho scritto, ho scritto". Così viene affermata dal potere e ribadita la gloria regale di Gesù.
Gesù poi manifesta il suo potere profondo, intimo. Quando vede sua madre e il discepolo amato, fissa il destino di Maria, dicendole: "Donna, ecco il tuo figlio!". Per questa parola di Gesù Maria diventa la madre del discepolo, cioè la madre di ogni discepolo. E al discepolo amato Gesù dice: "Ecco la tua madre!". Questo è il dono meraviglioso che Gesù crocefisso fa ai suoi discepoli, figli del Padre in Lui Figlio per opera dello Spirito Santo e della Madre.
Alla fine egli può dire: "Tutto è compiuto!". Cioè, Gesù è andato sino all'estrema possibilità dell'amore fecondo, e ora tutte le Scritture sono compiute. Questa è la gloria filiale di Gesù: la gloria di amare, la gloria di fare la volontà del Padre, la gloria di salvare gli uomini.
Dopo la morte, la glorificazione di Gesù si manifesta in modo particolarmente significativo nell'episodio del costato trafitto. Era usanza che i soldati spezzassero le gambe ai crocifissi. Si tratta di un atto che deforma il corpo umano e lo rende disumano. Ma a Gesù questo atto viene risparmiato. Invece di spezzare le gambe, un soldato gli colpisce con la lancia il costato. E dal costato di Gesù esce sangue e acqua. L'evangelista insiste molto su questo fatto: "Chi ha visto rende testimonianza e la sua testimonianza è vera ed egli sa che dice il vero …".
In effetti, questo fatto singolare manifesta la fecondità della passione di Gesù. Possiamo dire che con questo evento significativo il Padre glorifica per l'ultima volta suo Figlio alla fine della sua passione.
Infatti, il sangue mostra che Gesù, dando la propria vita, può comunicare la vita divina filiale. Nell'Eucaristia, che attualizza il sacrificio della Croce, il sangue ci comunica la vita divina di Gesù.
L'acqua significa il dono dello Spirito che nell'unico essere divino è l'Amore in persona. Gesù aveva detto: "Chi ha sete (di verità e amore) venga a me e beva, chi crede in me" (Gv 7,37-38). E l'evangelista aveva commentato: "Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui; infatti non c'era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato" (Gv 7,39).
La passione di Gesù ci ottiene il dono dello Spirito Santo. Giovanni non aspetta la Pentecoste per parlare di questo dono, ma capisce che esso proviene proprio dalla passione e dalla morte di Gesù. Lo Spirito che purifica, che ricrea ciò che il peccato rovina, Lo Spirito che vivifica l'essere filiale e fraterno, lo Spirito che santifica nel tentare e ritentare l'osservanza della legge, tutto questo proviene dalla passione di Gesù per noi.
Infine, la sepoltura di Gesù è un onore che viene reso a lui con una generosità straordinaria. Infatti, Giovanni riferisce che Nicodemo porta una mistura di mirra e aloe di circa cento libbre: una quantità enorme!
Dopo aver preso il corpo di Gesù, lo avvolgono in teli insieme con oli aromatici; e il corpo viene deposto in un sepolcro nuovo, nel quale nessuno è stato ancora deposto. Questo è un ultimo onore a Gesù.
Al termine del racconto della passione, possiamo riconoscere la visione di fede che l'evangelista ci offre: una visione commovente, perché la gloria di Gesù si manifesta anzitutto con un amore spinto all'estremo attraverso sofferenze e umiliazioni.
Ma c'è una prospettiva anche molto positiva: la passione di Gesù è sempre guidata dalla Provvidenza; nessun dettaglio è senza significato. La Provvidenza glorifica Gesù attraverso la sua passione accolta. Chi sa discernere il senso profondo degli eventi nell'annuncio liturgico, prova la fecondità del bacio del crocefisso.
La glorificazione di Gesù diventerà poi molto più evidente con la sua risurrezione e ascensione e con il dono dello Spirito santo nella prima Pentecoste. Ma tutto questo della cinquantena pasquale proviene sempre dalla passione, cuore del Triduo. Perciò possiamo dire con grande gioia e con tanta gratitudine che la passione di Gesù, con il dono della maternità divina, è glorificante.
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