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di P. Giovanni Cavalcoli
All’Udienza Generale del 3 aprile scorso il Papa ha pronunciato alcune parole per chiarire in che senso Dio ha voluto una pluralità di religioni. Ecco quanto ha detto Papa Francesco:
All’Udienza Generale del 3 aprile scorso il Papa ha pronunciato alcune parole per chiarire in che senso Dio ha voluto una pluralità di religioni. Ecco quanto ha detto Papa Francesco:
«Qualcuno
può domandarsi: ma perché il Papa va dai musulmani e non solamente dai
cattolici? Perché ci sono tante religioni, e come mai ci sono tante religioni?
Con i musulmani siamo discendenti dello stesso Padre, Abramo: perché Dio
permette che ci siano tante religioni? Dio ha voluto permettere questo: i
teologi della Scolastica facevano riferimento alla voluntas permissiva
di Dio. Egli ha voluto permettere questa realtà: ci sono tante religioni;
alcune nascono
dalla cultura, ma sempre guardano il cielo, guardano Dio.
dalla cultura, ma sempre guardano il cielo, guardano Dio.
Ma quello
che Dio vuole è la fraternità tra noi e in modo speciale – qui sta il motivo di
questo viaggio – con i nostri fratelli figli di Abramo come noi, i musulmani.
Non dobbiamo spaventarci della differenza: Dio ha permesso questo. Dobbiamo
spaventarci se noi non operiamo nella fraternità, per camminare insieme nella
vita».
Osserviamo anzitutto che la risposta alla
domanda iniziale è molto facile: il Papa non va solo dai cattolici, ma anche
dai fedeli di tutte le altre confessioni cristiane e delle altre religioni,
perché Cristo lo manda in primis,
come suo Vicario, ad annunciare il Vangelo e a condurre a Cristo e alla Chiesa
cattolica tutti i popoli e tutte le nazioni, fino alla fine del mondo, perché
si faccia un solo gregge, sotto un solo pastore, Cristo, togliendo da esse
tutti gli ostacoli che si oppongono a questo cammino, affinché tutti gli uomini
siano salvi.
Il Papa risponde brevemente: «perché ci sono
tante religioni», come a dire: perché non esiste solo la religione cattolica,
ma ci sono anche altre religioni cristiane e non cristiane, alle quali Cristo mi
ha mandato. Egli infatti può dire con Cristo: «ho altre pecore, che non sono di
questo ovile. Anche queste io devo condurre» (Gv 10,16).
Francesco si pone poi una domanda più
radicale: «Come mai ci sono tante religioni?». Comincia col notare che comunque
tra le religioni esistono caratteri comuni: il fatto stesso di condividere la
stessa natura di religione, sia pur nelle differenze e nei contrasti. È infatti
insita nella natura umana come tale, quindi in tutti gli uomini, l’esigenza di
render culto a Dio, atto essenziale e fondamentale della virtù di religione,
anche se non tutti, di fatto, purtroppo, adempiono a questo dovere, che è un
bisogno vitale dello spirito.
La pratica della religione naturale, frutto
della dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio, anche a prescindere dalle
religioni rivelate o positive, affratella tutti gli uomini religiosi e li fa
sentire tutti ugualmente figli di un Dio «Padre», anche se non necessariamente nel
senso del dogma trinitario.
Questo affratellamento, sotto la guida del
medesimo Dio creatore e Signore dell’uomo, comporta poi come conseguenza sul
piano morale l’obbedienza di tutti ai medesimi comandi divini, promotori della
dignità dell’uomo. E il Papa porta l’esempio di ciò nel fatto che noi cristiani
e i musulmani ci rifacciamo tutti ad Abramo.
Quindi il Papa si interroga sul motivo dell’esistenza
di tante religioni. Nel documento di Abu Dhabi il Pontefice si era limitato a constatare
il fatto attribuendolo alla volontà di Dio. Adesso il Papa chiarisce come va
intesa questa «volontà di Dio» e dice che è una volontà «permissiva». Che cosai
intende dire?
Il Papa non si riferisce alle diversità esistenti
fra le religioni, ma al fatto che in esse, esclusa la religione cattolica, dove
si dà la pienezza della divina verità rivelata, si dà una mescolanza di verità
e di errori. Infatti la diversità di per sé è un bene tanto più prezioso, quanto
più attiene alla vita dello spirito, come accade nelle diversità spirituali tra le
religioni, diversità o varietà che si manifestano in differenze di linguaggio, di
testi sacri, di miti, di modi di pregare o di adorare, di riti, di sacrifici,
di tradizioni, di leggi, di simboli, di cerimonie, di usanze, di costumi, vesti,
oggetti, tempi o luoghi sacri.
Queste cose, nelle religioni, non sono semplicemente
permesse o concesse da Dio, ma positivamente
e tassativamente ideate, volute, approvate, raccomandate, prescritte, comandate,
protette, lodate e sanzionate da pene, se non vengono osservate. Dio premia chi
le compie e castiga coloro che disobbediscono, quale che sia la religione di
appartenenza.
Parlando di «volontà permissiva» nei
confronti delle religioni diverse dalla cattolica, il Papa si riferisce invece
al fatto che Dio permette il male per
finalità di un bene superiore al bene negato dal male permesso. Dobbiamo
fare molta attenzione, allora, per comprendere che cosa qui si intende per
volontà permissiva divina[1].
Non dobbiamo assolutamente pensare a quell’atto volontario e deliberato, per il
quale l’autorità competente acconsente a che un dato soggetto ottenga ciò che legittimamente
richiede, come per esempio il permesso di soggiorno o il permesso di guida. In
tal caso, l’oggetto del permesso è indubbiamente una cosa buona, un bene.
Se infatti un’autorità umana, facciamo conto
le forze dell’ordine, permettesse per mancanza di prudenza o tempestività una
manifestazione politica pericolosa, certamente non valuteremmo in senso
positivo quel permesso. Invece, quando Dio permette il peccato dell’uomo, che è
disobbedienza alla sua volontà, benché il peccato sia proibito dalla volontà divina,
dobbiamo dire che anche in quel caso Dio, pur avendo avuto il potere di
impedirlo, se avesse voluto, agisce secondo la sua bontà e quindi compie il
bene.
Ora, se la pluralità delle religioni nelle loro
differenti forme mostra la rigogliosa fecondità dello spirito umano ed
indubbiamente viene dalla volontà positiva ed esecutiva divina, la mescolanza
di vero e di falso, di eresie e di dogmi, di superstizioni e di visioni
sublimi, di licenziosità e di rigore morale certamente vengono dalla volontà
permissiva divina e sono conseguenze del peccato originale.
Occorre dunque distinguere in Dio il volere dal permettere. Il volere ha per oggetto il bene in senso assoluto, privo
di male, per esempio la virtù o la santità; il permettere ha per oggetto lo
stesso peccato o la disobbedienza dell’uomo alla volontà divina, in vista o del
castigo o di un bene superiore: un male relativo a un bene.
Il linguaggio biblico non fa questa
distinzione terminologica, per cui a tutta prima sembrerebbe, in alcuni casi, che
Dio voglia il peccato, il che è propriamente una bestemmia, perché Dio è bontà
infinita. Egli può solo volere il male di pena, perché è giusto. Ma il fare il
male suppone una volontà pieghevole al peccato, cosa in Dio assolutamente inconcepibile.
Se quindi la Scrittura a volte ha espressioni che potrebbero far pensare a un Dio
cattivo, occorre interpretare utilizzando un concetto di «permissione» nel senso
che stiamo spiegando. Per questo bisogna dire che Lutero ha gravemente errato
nell’interpretare le forme della volontà divina, quando ha osato affermare che
«Dio ha voluto la conversione di S.Paolo così come ha voluto il peccato di
Davide».
Dobbiamo inoltre considerare che la permissione
divina la si può intendere anche non come atto morale, ma come condizione
ontologica, così come per esempio diciamo che le finestre aperte d’estate permettono
l’ingresso in camera delle zanzare. La
finestra aperta non è la causa, ma semplicemente la condizione esistenziale,
estrinseca ed accidentale perché le zanzare entrino. Così Dio permette
l’esistenza del peccato perché ha creato l’uomo dotato di un libero arbitrio
pieghevole al peccato. Il peccato è colpa dell’uomo. Dio è innocente.
Quello che invece si può dire è che, se Dio
avesse voluto, il peccato avrebbe potuto non entrare nel mondo. Infatti, Egli
avrebbe potuto impedire sia il peccato dell’angelo che il peccato dei
progenitori. Invece Dio ha preferito che il peccato entrasse nel mondo, per mostrare
un’ulteriore grandezza del bene: il bene che vince il male e la possibilità che
il male stesso sia ordinato al bene. Dunque, un aspetto del bene, che non sarebbe
venuto alla luce, se il male non fosse esistito.
Occorre in terzo luogo distinguere nella
volontà divina due aspetti, che non riguardano la volontà divina in se stessa, che è una sola, semplice e
indivisibile, come Dio è uno solo, col quale si identifica la sua volontà, ma
riguardano la sua volontà in rapporto a
noi: abbiamo allora una volontà propositiva o precettiva – che S.Tommaso
chiama «antecedente» -, con la quale Dio comanda o permette all’uomo cose buone,
o proibisce cose cattive. E abbiamo una volontà esecutiva o effettiva, o «conseguente», che può avere per oggetto o l’attuazione del
bene da parte dell’uomo o la permissione del peccato, al quale segue la sua punizione,
o in vista di un bene superiore.
Se Dio vuole o proibisce in forma precettiva
– pensiamo ai comandi divini – l’uomo può frustrare questa volontà o impedire,
peccando, il realizzarsi di questa volontà. L’uomo fa la sua volontà e non
quella divina. In tal caso la volontà divina non si realizza. Dio non fa quello
che avrebbe voluto. Qui la cattiva volontà del peccatore vince e annulla la
buona volontà o proposta divina.
Ma se Dio vuole in maniera effettiva, concreta,
decisiva ed esecutiva, nulla Lo può ostacolare. Sotto l’influsso del suo Amore,
come il fuoco del fonditore, il cuore indurito dell’uomo si scioglie e Dio compie
in lui la sua volontà salvifica giustificandolo. In tal senso la Scrittura dice
che «Dio apre e nessuno chiude» (Is 22,22; Ap 3,7).
Dio vuole la diffusione nel mondo del suo
Vangelo. Nel contempo, permette una pluralità di religioni non solo diverse, ma
contrastanti fra di loro, non senza consentire un insieme di folle immense di
fedeli, che nel contempo, come dice il Papa, «sempre guardano il cielo,
guardano Dio».
Compito decisivo della religione cattolica, nella
quale Dio ha posto la pienezza della verità rivelata, religione scevra, grazie a
Cristo, da ogni errore, macchia o impurità, è quello di condurre a Cristo le altre
religioni, le quali, «guidate in gioia ed esultanza, entrano insieme nel
palazzo del Re».
[1] Cf J.Maritain, Dieu et la permission du mal, Desclée de Brouwer, Paris 1963.
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