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di Giuseppe Tires
È in libreria “Le Chiavi della Questione sociale. Bene comune e sussidiarietà: storia di un equivoco” (Fede & Cultura, Verona 2018) curato da Stefano Fontana e con contributi di Danilo Castellano, Samuele Cecotti, Giampaolo Crepaldi, Stefano Fontana, Arturo Ruiz, Giovanni Turco. Si tratta di un testo importante per chiarire due principi che fanno parte dell’ABC della Dottrina sociale della Chiesa ma che sono solitamente equivocati e riempiti di contenuti che con essi non hanno niente a che fare. Il bello del libro sta proprio qui, nella precisazione, ricostruzione, riconfigurazione dei due principi secondo la loro vera natura.
Il principio di sussidiarietà c’è anche nel trattato di Maastricht o nel riformato titolo V della Costituzione italiana, ma non si
tratta di vero principio di sussidiarietà. Il bene comune si tira continuamente in ballo per esempio per il dovere di pagare le tasse, ma spesso è proprio il bene comune a richiedere il dovere di non pagarle. C’è tutta una retorica del bene comune, in bocca anche a uomini di Chiesa, che lo fa consistere nella partecipazione democratica, nel dialogo o nell’accoglienza senza mai riempire tutto ciò di contenuti. Il bene comune infatti è un ordine finalistico e non solo un insieme di atteggiamenti.
Come vanno vissuti i principi del bene comune e della sussidiarietà nelle politiche migratorie o in quelle scolastiche? A domande di questo tipo risponde il libro, cominciando però col dire che ambedue i principi fanno riferimento all’impegno della politica perché ogni organismo sociale possa raggiungere la propria finalità naturale. Ma il concetto di finalità naturale non è presente nella cultura politica attuale che è figlia del pensiero moderno secondo il quale la società è frutto di un patto convenzionale. Ecco perché i due principi vengono sistematicamente fraintesi, manca un sistema di pensiero che li supporti correttamente. Se non c’è un ordine naturale e finalistico da rispettare perché la famiglia dovrebbe rivendicare il diritto primario nell’educare i figli e perché non potrebbe invece essere lo Stato a fare da super-mamma? Perché un’azienda dovrebbe protestare per un eccesso di tasse se non dovesse perseguire una sua finalità naturale come corpo intermedio della società civile, finalità che lo Stato con il suo strapotere fiscale mette in pericolo? Se non ci fosse una finalità naturale dei popoli e delle nazioni su quali basi questi potrebbero protestare contro l’accentramento e l’appiattimento dell’Unione Europea?
Bisogna allora fondare i due principi del bene comune e della sussidiarietà sull’ordine finalistico della comunità politica. In questo modo essi manifestano il carattere di principi “morali” e non solo delle tecniche per rendere più scorrevoli le procedure, delle finzioni per realizzare un centralismo “dal volto umano”, travestito da sussidiarietà e da bene comune ma in realtà funzionale solo a se stesso. La riforma del titolo V della Costituzione non ha alleggerito il centralismo statale, lo ha solo trasferito anche alle regioni. La presenza del principio di sussidiarietà nel trattato di Maastricht non ha impedito all’Unione Europea di diventare un super-Stato.
Il libro “Le chiavi della questione sociale” è di fondamentale importanza per ricostruire l’ABC dell’ordine sociale e politico. Tutti gli interventi sono di notevole spessore di pensiero e una Sintesi introduttiva del Curatore aiuta a fare il punto.
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