Il Concilio Vaticano II secondo il Card. Kasper

di P. Giovanni Cavalcoli
In un articolo pubblicato su L’Osservatore Romano del 12 aprile 2013, “Un Concilio ancora in cammino”, il Card. Kasper dice che Paolo VI, nel tentativo di impedire formulazioni proposte da una maggioranza progressista che lo preoccupava, “coinvolse” la minoranza tradizionalista permettendole di introdurre alterazioni nella redazione, che attenuavano o confondevano il senso dei passi modernizzanti. 
Cardini ereticali
Ora, osservo io, se il Papa si sentì in dovere di moderare l’intervento di questi cosiddetti “progressisti”, dando spazio ai tradizionalisti, vuol dire che egli, col fine intùito del quale era dotato, e col senso di responsabilità del Successore di Pietro, si era accorto della trama in atto e che questi sedicenti e sbandierati progressisti in realtà erano dei criptomodernisti, che con le loro manovre rischiavano di contaminare la purezza della dottrina conciliare. 
Sappiamo tutti infatti che Papa Montini non era un conservatore, ma sin quand’era Arcivescovo di Milano, mostrò di apprezzare un sano ammodernamento della vita della Chiesa e della stessa vita cristiana, un’esigenza, questa, intrinseca al cristianesimo stesso, animato da quello Spirito Santo che rinnova tutte le cose e che conduce la Chiesa nella storia alla pienezza della verità. Dunque se il “progressismo” della detta maggioranza lo preoccupava, vuol dire che si trattava di una falsa promozione del progresso della fede ed una scriteriata assunzione della modernità.
Ma il Card. Kasper sembra non aver colto la saggezza e la prudenza di questo Papa santo, giacchè giunge ad affermare che con l’intervento del Papa “si pagò un prezzo” con delle “formule di compromesso, in cui, spesso le posizioni della maggioranza si trovano immediatamente accanto a quelle della minoranza, pensate per delimitarle”. 
Vale a dire, se capisco bene le parole del Cardinale, che la spinta innovatrice, secondo lui, fu frenata dai conservatori, sicché essa non poté dare tutto quello che poteva dare. Ma c’è da chiedersi anche se questi “conservatori” non furono poi in fondo in questa circostanza i custodi dell’ortodossia, considerando l’importanza ad essi data da Paolo VI, il quale approvò i loro  emendamenti  atti a correggere le iniziative dei “progressisti” filomodernisti.
Tuttavia, secondo Kasper, queste  “limitazioni”, delle quali parla, non modificavano del tutto gli originari testi “progressisti”, cioè - diciamola con franchezza - modernisti, ma li lasciavano intatti, limitandosi a star loro accanto in modo incongruo e contradditorio, sottintendendo in modo offensivo nei confronti di san Paolo VI l’incapacità di mettere d’accordo i Padri del Concilio.
L’articolo prosegue spiegando – e ciò discende logicamente da quanto Kasper ha detto – che, in ragione di queste “formule di compromesso”, “i testi conciliari hanno in sé un enorme potenziale conflittuale; aprono la porta a una ricezione selettiva nell’una o nell’altra direzione”.
Nel detto articolo, il Cardinale dichiara inoltre che “neanche la ricezione ufficiale è rimasta ferma. In parte, ha superato il Concilio”, come a dire, a quanto pare, che nel Concilio affermazioni ortodosse e  moderniste stanno le une accanto alle altre, come se poi il lettore potesse scegliere quelle che preferisce, a meno che non si ponga su di una posizione contradditoria dando un colpo al cerchio e uno alla botte. 
In che consiste dunque secondo Kasper questo “cammino” del Concilio? Sembra quello di un ubriaco che ora pende  di qua, ora pende di là: un’interpretazione assolutamente irrispettosa e tendenziosa, per cui si resta estremamente sorpresi che essa abbia trovato ospitalità in un quotidiano così prestigioso come L’Osservatore Romano, che per sua natura dovrebbe riflettere in modo supremamente oggettivo e con imparzialità gli insegnamenti pontifici,  chiarendone o difendendone eventualmente le posizioni, soprattutto se poi si tratta di un evento così importante come il Concilio Vaticano II e la parte che in esso ebbe il Papa san Paolo VI.
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Ora, con tutto il rispetto dovuto a questo notissimo ed autorevole Porporato, qual è il Card. Kasper, che per vent’anni è stato a capo del Dicastero per l’Ecumenismo e gode di gran fama di studioso di cristologia, devo dire che dissento nettamente da questa interpretazione che egli dà delle dottrine conciliari, interpretazione che nega la continuità con la Tradizione, cosa che tutti i Papi da Giovanni XXIII a Benedetto XVI hanno insistentemente sostenuto, per limitarci solo a  ricordare la famosa formula di Papa Benedetto “progresso nella continuità”, dalla quale ho tratto il titolo di un mio approfondito studio sull’argomento (Progresso nella continuità, Fede & Cultura 2011).
La cosa grave, in sintesi, di Kasper, è che pare che egli insinui che tra le dottrine del Concilio si siano comunque infiltrate certe tesi neomoderniste che Paolo VI avrebbe voluto impedire, ma alle quali si sarebbe rassegnato lasciandole giustapposte semplicemente a quelle ortodosse al “prezzo” di “un enorme potenziale conflittuale”. 
È in fondo la stessa falsa lettura che vien fatta da Mons. Lefèbvre: gli estremi si toccano, con la differenza che mentre Kasper se ne compiace come di un “progresso” o un “cammino”, l’altro se ne dispiace come di smentita della Tradizione. Ma lo sbaglio dei due è comune: vedere nel Concilio un modernismo che non esiste, rifiutando i chiarimenti addotti da tutti i Papi del postconcilio.  Il Papa presente non è ancora entrato in argomento, ma i modernisti non si facciano illusioni: ripeterà esattamente quello che hanno già detto i suoi predecessori.
Bisogna riconoscere, è vero, che alcune tesi dottrinali del Concilio possono apparire ambigue o avere un certo sapore modernista; ma questa preoccupazione è fugata da un’opportuna interpretazione, qual è stata quella fatta dal Magistero postconciliare e da autorevoli teologi fedeli alla Chiesa. 
Insistere, come fanno alcuni, nella convinzione che il Concilio contenga passi modernisti equivale a pensare che un Concilio possa sbagliarsi quando tratta di temi attinenti alla fede e alla morale. Il che per un cattolico non ha senso, anche se è vero che il Concilio non contiene nuovi dogmi solennemente definiti. Discutibili semmai potranno essere alcune indicazioni pastorali, dove la Chiesa certo non è infallibile, ma comunque sempre meritevole di grande considerazione. 
Dunque la tesi di Kasper, secondo la quale le dottrine del Concilio comporterebbero una semplice giustapposizione malcelata o rattoppata tra opposte tesi contradditorie, tradizionali e moderniste, è assolutamente insostenibile, perché equivarrebbe ad accusare il Concilio di eresia, dato il carattere ereticale del modernismo e sarebbe il segno che Paolo VI non riuscì a impedire comunque la presenza del modernismo nel Concilio, che tanto e giustamente lo preoccupava, benchè egli non fosse affatto notoriamente un arretrato conservatore.
Se il Concilio ha uno stile pastorale e non un tono definitorio anche negli insegnamenti dogmatici, ciò non autorizza nessuno a prenderli sottogamba negando la loro infallibilità, perché nel giudicare dell’autorevolezza di un insegnamento della Chiesa non si deve badare tanto a come insegna ma a che cosa insegna. 
La definizione solenne è una modalità rarissima dell’insegnamento magisteriale, per cui non si deve prendere a pretesto il fatto che questo stile manca nel Concilio, per accusarlo di errore o di modernismo o di rottura con la Tradizione. Anche quando Cristo insegnava seduto in una barca o a tavola con suoi e non nel tempio, si trattava sempre della Parola di Dio da accogliere con fede.
È vero che Paolo VI, dopo Papa Giovanni, permise al Concilio la presenza di Rahner e di altri criptomodernisti. Fece bene? Fece male? È difficile giudicare. Sta comunque di fatto che, come risulta dagli studi che sono stati fatti sul contributo di questi periti, essi nell’assemblea conciliare offrirono un contributo innovatore ma sostanzialmente nei limiti dell’ortodossia. E come avrebbe potuto essere diversamente? 
È dopo il Concilio che Rahner con sorprendente baldanza, senza essere purtroppo censurato dall’autorità, dette sfogo indisturbato e con grande astuzia alle sue tendenze moderniste. Ma siccome egli si era ormai acquistato un prestigio mondiale, persino tra i vescovi,  anche il Papa dovette fare buon viso a cattivo gioco.
Bisogna inoltre precisare che è vero che al Concilio vi fu uno scontro fra un tradizionalismo retrivo e un cripto modernismo, che si paludava di veste progressista, per ottenere un lasciapassare; ma occorre anche dire che questo confronto che, in alcune circostanze assunse toni aspri e drammatici e preoccupò profondamente Paolo VI, ebbe termine, grazie a Dio, con accordi finali votati a larghissime maggioranze e certo di tono progressivo, - il Concilio è stato un Concilio profondamente innovatore - ma non assolutamente modernista, quale temeva il Papa, il quale era notoriamente nella linea progressista maritainiana ma assolutamente per niente favorevole al modernismo che è notoriamente un’eresia condannata da San Pio X.
Parlare dunque di “enorme potenziale conflittuale” è un’offesa gravissima fatta alla sapienza soprannaturale delle dottrine del Concilio, quasi ci trovassimo davanti a dei pateracchi politici o ai conflitti della dialettica hegeliana, ed è quindi fraintendere completamente i risultati equilibrati e coerenti dei dibattiti conciliari, dove, grazie all’assistenza dello Spirito Santo, i Padri, giunti ad un fraterno accordo, hanno saputo offrirci una conoscenza più avanzata della Parola di Dio senz’alcuna impensabile rottura o contraddizione col patrimonio dottrinale precedente il Concilio. 
Trovare qui delle contraddizioni vuol dire misconoscere alla radice la sapienza e la elevatezza di queste dottrine, vera luce per il nostro tempo, segnali indicatori del cammino che oggi deve fare la Chiesa per confrontarsi col pensiero moderno ed aumentare il numero dei suoi figli.
Non si tratta quindi di fare nessuna “recezione selettiva nell’una o nell’altra direzione”, ma di prendere un’unica direzione, con ovvia possibilità di scelte particolari, risultante dall’armoniosa confluenza di fedeltà e progresso: quella che ci è indicata appunto dai documenti del Concilio nella loro autentica interpretazione, che i Papi del postconcilio non si stancano da cinquant’anni di proporre a tutta la Chiesa per il bene e il progresso della Chiesa e di tutti gli uomini di buona volontà.
Chi crede di dover scegliere nel Concilio tra un tradizionalismo e un criptomodernismo non ha capito niente dell’insegnamento del Concilio ed è solo un fautore di divisioni all’interno della Chiesa.
La recezione ufficiale del Concilio certamente non è rimasta ferma e ha in certo senso superato il Concilio, ma non nel senso inteso da Kasper, ossia oscillando tra due tesi opposte e lasciando scegliere di volta in volta fra l’una e l’altra a seconda delle convenienze, bensì approfondendo questa saggia sintesi di modernità e tradizione.
Non so quanto questa interpretazione kasperiana  del Concilio, che sembra fatta apposta per attizzare il fuoco delle polemiche tra opposti estremismi, possa servire a quel dialogo tra credenti, al quale tuttavia il Card. Kasper si è dedicato con tanto zelo per tanti anni. Le dottrine dei Concili, come dice la stessa parola Concilio: conciliare, hanno sempre avuto nella Chiesa è un’importante funzione pacificatrice e conciliatrice e l’ultimo Concilio, purchè ben interpretato e ben inteso, non viene meno a questa funzione provvidenziale.
Il Magistero della Chiesa anche oggi, certo è in movimento, ma non per smentire la verità di fede precedentemente insegnata, bensì per guidarci maternamente ed infallibilmente ad un suo sempre maggiore approfondimento nel solco della tradizione e con lo sguardo a mete sempre più avanzate nel cammino verso il regno di Dio e la pienezza della verità.
In certo senso alcune indicazioni del Concilio sono superate, non però che siano state abbandonate, ma nel senso che sono vissute meglio e più santamente in conformità alle nuove situazioni che non esistevano all’epoca del Concilio, ma sempre ovviamente in continuità col patrimonio immutabile di fede consegnato da Cristo una volta per sempre alla Chiesa da trasmettere inalterato a tutta l’umanità fino alla fine dei secoli.
(Questo articolo è stato pubblicato su L'isola di Patmos)

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