In difesa della Scolastica

di padre Giovanni Cavalcoli
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Da diversi giorni il quotidiano La Verità lancia opportunamente l’allarme sulla vasta diffusione nelle scuole elementari e medie di libri di testo diseducativi, che denigrano l’amor di patria, la religione, la morale e la Chiesa, propugnando la licenza sessuale, in particolare la pratica dell’omosessualità, ed esaltando l’Islam, un’immigrazione indiscriminata e il relativismo laicista. 
È interessante, e deplorevole, invece, come Avvenire, che è il quotidiano della CEI, ignori totalmente questa grave emergenza educativa. Abbiamo un’ulteriore prova di come laici cattolici zelanti, opponendosi alla dittatura del relativismo, stanno sopperendo coraggiosamente alla negligenza dei Vescovi nel prendersi cura dell’educazione cattolica scolastica, nonostante il gravissimo argomento sia stato a suo tempo trattato in un lungo documento del Concilio Vaticano II, il Gravissimum Educationis. 

Purtroppo questa incuria dell’episcopato danneggia tutti gli ordini di scuola, dalle elementari alle Università Pontificie, dove la scuola cattolica, nei suoi gradi massimi, ossia nella teologia scolastica, è seriamente corrotta e infetta dal modernismo, anzichè trarre ispirazione, come prescrive il citato documento, dal pensiero di S.Tommaso d’Aquino.   
È da ricordare, infatti, che la teologia scolastica, rettamente intesa, ossia non in senso storico, ma programmatico, non è quella teologia accademica, che si praticò solo nel periodo post-tridentino, presuntuosamente giudicata da Karl Rahner morta e sepolta, ed alla quale egli intende sostituirsi al posto di S.Tommaso, da lui considerato ormai superato, Essa rimane la teologia ufficiale della Chiesa, teologia perenne, benchè in continuo progresso, della quale l’Aquinate è il principe, il Doctor Communis, tuttora raccomandata dal Concilio, che cita appunto S.Tommaso. 
Peraltro, accanto alla teologia scolastica, detta anche «sistematica», istituzionale o accademica, al servizio soprattutto della formazione sacerdotale, esiste anche una teologia spontanea o autodidatta, che però, per qualità può essere superiore a quella dei dottori scolastici.  
È quella sapienza, che il soggetto acquista da sé semplicemente con lo studio, la preghiera e l’ascolto dello Spirito Santo. Può essere anche una teologia mistica. Qui abbiamo esempi come quello di una S.Caterina da Siena, S.Teresa di Gesù o S.Teresa di Gesù Bambino, che sono addirittura Dottori della Chiesa, pur essendo prive di titoli accademici. 
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Per quanto riguarda la competenza magisteriale dei Vescovi, è vero che essi  hanno giurisdizione solo sulle scuole dipendenti dalla Chiesa; ma anche in questo campo essi mostrano una grave trascuratezza, tollerando o addirittura nominando docenti, che fraintendono, falsificano, negano, cambiano o demoliscono la dottrina della Chiesa.  
A parte il fatto che nessuno impedirebbe ai Vescovi, se prendessero a cuore il loro ufficio di maestri della fede, di pubblicare come singoli o in gruppo, quando l’occasione o la necessità pastorale lo richiedesse, documenti dottrinali, anche brevi, ma mirati, finalizzati a denunciare o a correggere o a togliere errori presenti nella loro diocesi o anche nella Chiesa stessa, giacchè il Vescovo, come tale, prima di essere il capo di una diocesi, è Vescovo della Chiesa.  
Invece, per un’eccessiva o malintesa preoccupazione della collegialità, c’è oggi nei Vescovi un eccessivo timore di pronunciarsi personalmente o singolarmente su questioni dottrinali o sulle idee di un dato teologo, che toccano la vita della Chiesa o i costumi dei fedeli. Non dovrebbero lasciarsi intimorire dal fatto che si tratti di un teologo di fama, apprezzato da altri Vescovi.  
E collegialità non significa conformismo o pecoronismo ideologico, ma libertà di ogni Vescovo di fare il Vescovo e di servire la verità. Ogni buon Vescovo, parafrasando Aristotele, dovrebbe dire: amica collegialitas, sed magis amica veritas. Nel campo della dottrina il Vescovo è soggetto al Papa e non al collegio episcopale. Il buon Vescovo non deve avere rispetti umani e deve badare, al di là delle opinioni dei Confratelli e della propria stessa reputazione, alla sana dottrina e al bene della Chiesa. 
La Chiesa, dal canto suo, dispone oggi indubbiamente di molte istituzioni scolastiche, dai gradi minimi delle elementari ai gradi massimi delle Università, si tratti delle strutture parrocchiali o diocesane o degli istituti religiosi. Dispone di molti e potenti strumenti educativi e didattici, tecnici e librari, catechismi, centri catechistici, case editrici, siti web, pubblicazioni specialistiche, convegni periodici.  
Non manca la quantità. Il problema è la qualità. Da anni vengono lamentati carenze ed errori nei catechismi per giovani e ragazzi, nella stampa, nella formazione parrocchiale, dalle scuole elementari alle Università Pontificie.  
Ci sono genitori che preferiscono far catechismo loro ai propri ragazzi, piuttosto che mandarli in parrocchia, dove vengono ingannati da false idee o lasciati con una formazione insufficiente. La moltitudine di insegnanti a tutti i livelli, dai catechisti ai teologi, che non rispettano il Magistero della Chiesa, è una piaga diffusissima. E i Vescovi che cosa fanno? Possibile che siano obbligati a rimediare i laici, a far loro quello che dovrebbero fare i Vescovi?  
Così pure osservatori intelligenti, come per esempio Aldo Maria Valli ed altri, si domandano che senso ha avuto il recente Sinodo dei Vescovi dedicato ai giovani, con un estesissimo documento finale, dove ci si limita a generici e non chiari approcci affettivi ed «empatici», ad appelli di tipo sociale, umanistico e filantropico, tra dolci «misericordie» e molli accondiscendenze, vaghi «accompagnamenti» senza meta e «discernimenti» non si sa di che cosa, con  ambigui discorsi sul sesso, senza mettere in guardia il caldo giovane dai pericoli e dalle tentazioni, senza offrire ai giovani con chiarezza ed evangelica franchezza la «porta stretta», che conduce alla perfezione, portando esempi di giovani canonizzati. Si sente purtroppo un’eco dello spaccone e borioso «largo ai giovani» di sessantottesca memoria, riformatore intransigente dei vecchi bacucchi. 
Si devono certo ascoltare e capire i giovani nelle loro esigenze, angosce, incertezze, sofferenze e difficoltà, se ne devono scoprire i talenti, occorre attirare la loro stima con un esempio di vita e di saggezza, senza permissivismo e senza rigorismo, ma con paternità, amicizia, dottrina, accoglienza e autorevolezza, per poi orientare i giovani sul senso della loro vita e vocazione, dar loro salde certezze, e nel contempo renderli umili e pronti a correggersi e capaci di progredire.  
Occorre, altresì, prospettare loro alti valori, irrinunciabili e non negoziabili, così da innamorarsene ed esser pronti ad affrontare in loro nome prove, sofferenze e sacrifici, forti nel dominio delle passioni, aperti all’iniziativa dello Spirito Santo, dediti alla preghiera, alla pratica dei sacramenti e delle opere buone, all’approfondimento e dall’annuncio della Parola  di Dio, imitando l’esempio dei Santi, nella comunione con la Chiesa e col Papa, nella lotta contro il peccato e contro Satana e nella conquista della vita eterna, e non lasciarli come sono a sonnecchiare, stando semplicemente con loro. 
La predicazione del Vangelo e la catechesi sono e devono essere essenzialmente congiunte con l’opera educativa e formativa sistematica per i fedeli e soprattutto per il clero, propria della scuola, la cui direzione, nella propria diocesi, spetta al Vescovo. Sono rimaste famose le scuole cattedrali annesse all’episcopio del primo Medioevo, albori di quelle che sarebbero state le Università del tardo Medioevo, fucine della teologia scolastica, fino a giungere ai Seminari della Riforma Tridentina ef allea moderne Facoltà Teologiche Pontificie della S.Sede. 
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La formazione scolastica, propria di tutte le grandi civiltà e culture dell’umanità da tempi antichissimi, è sempre stata una pratica metodica regolamentata dalla pubblica autorità, atteso il suo mettere in gioco il bene comune. Essa serve all’acquisto della scienza e della sapienza, grazie all’istruzione cursoria e progressiva impartita dal maestro – il rabbi o dottore della Legge della Sacra Scrittura – al discepolo.  
Numerosissimi sono i passi del Vangelo, dove Gesù appare come un maestro, un rabbi, didaskalos, magister, che insegna una determinata dottrina. Tuttavia, non possiede il titolo di «dottore della legge» (nomikòs o nomodidaskalos), né aveva studiato presso una scuola rabbinica. E neppure tiene un scuola rabbinica regolare. Tuttavia più volte i Vangeli riferiscono che Gesù «insegnava» (didasko) o nel tempio o in sinagoga o nelle case o all’aperto.  
L’insegnamento di Gesù segue un certo itinerario ben individuabile: guida l’uomo a Dio. In tal senso Egli è un mistagogo.  Attua un certa gradualità: dal facile al difficile, dall’evidente al misterioso o al mistico; dal sensibile allo spirituale. 
Inizia col far riferimento a comuni valori umani, alla legge mosaica. E solo successivamente passa ad insegnare la dura, eppur dolcissima verità evangelica, passando anche qui dai misteri più accessibili a quelli più ostici, difficili ed oscuri, col promettere la venuta dello Spirito Santo, che avrebbe condotto la Chiesa alla pienezza della verità e ai misteri più alti.  
La sua è soprattutto un predicazione omiletica ed occasionale, pur nella continuità di un insegnamento o nel tempio o nella sinagoga o inaltri luoghi. Certamente Gesù ha insegnato una dottrina. Ma non si può dire che abbia fondato una scuola. Non ha tenuto corsi scolastici. Non ha rilasciato titoli. Non è stato un semplice sapiente. Egli piuttosto ci ha donato una vita: la vita stessa della grazia. 
Gesù non è stato maestro di teologia, se con essa intendiamo l’uso della filosofia per l’approfondimento del dato rivelato. Gesù non è teologo, perché non aveva bisogno d’indagare filosoficamente la dottrina del Padre, dato che come uomo Figlio di Dio, possedeva la scienza infusa. Non volle neppure formare dei teologi, ma degli apostoli, predicatori e profeti, che diffondessero la conoscenza del Vangelo. Questa era la conoscenza necessaria per tutti ai fini della salvezza. Tuttavia presto – pensiamo a S.Paolo – nacque l’esigenza che il Vescovo, maestro della fede, fosse dottore in teologia e che i candidati al sacerdozio ricevessero una formazione teologica, per essere titolari adeguati del Magistero della Chiesa.  
La teologia si sarebbe quindi successivamente affermata in pienezza con i Padri della Chiesa, soprattutto come teologia biblica. Gesù invece è stato maestro della Parola di Dio insegnandoci la dottrina della fede, sulla quale poi si fonderà la teologia scolastica. Non ha quindi fondato una scuola di teologia, ma la scuola del Vangelo, che ha posto tuttavia le basi per il sorgere della teologia scolastica, scientifica o istituzionale. 
Il discepolo di questa teologia, dal canto suo, al fine di apprendere gradualmente la dottrina insegnata, è tenuto a seguire la disciplina scolastica sottoponendosi ad opportune prove, dedicandosi allo studio ed alle esercitazioni.  
Queste norme generali valgono proporzionalmente per tutti i gradi dell’istruzione religiosa, dai minimi, catechetici, ai massimi, che sono quelli teologici ed accademici. Il disprezzo, quindi, per la teologia scolastica, tipico del modernismo, diciamolo francamente, è disprezzo per la scuola.  
E se questa è scuola di teologia, allora è disprezzo per la teologia scolastica, cosa inammissibile, soprattutto se dovesse capitare in un Vescovo, maestro della dottrina cattolica, atteso che la dottrina cattolica è insegnata eccellentemente in modo  sistematico nella scuola di teologia, cioè nella teologia scolastica, tuttora raccomandata dal Concilio. 
Occorre pertanto che rinasca nell’episcopato questo zelo per l’educazione cattolica e per la teologia scolastica e sistematica, secondo il dettato del Concilio Vaticano II. È infatti veramente deplorevole che ancora dopo cinquant’anni dalle sue sagge disposizioni riformatrici, la formazione dottrinale dei laici e del clero –basti pensare allo scandalo della pedofilia e della sodomia - non solo sia lontana dalle sue applicazioni, ma sia tornata nelle condizioni disastrose – e ancora peggio -  del periodo modernista, al quale S.Pio X aveva posto rimedio. 
Padre Giovanni Cavalcoli - Varazze, 5 novembre 2018 

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