di padre Giovanni Cavalcoli
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Che cosa è successo con Lutero? E’ nata – si dice spesso – una divisione o separazione fra cattolici e luterani. Ci sono stati condanne, malintesi, rancori e ingiustizie reciproci, dall’una e dall’altra parte; per cui oggi, con l’ecumenismo, siamo tutti addolorati di questa divisione che si trascina da cinque secoli e desideriamo tutti porvi rimedio. Ottima idea. Ma qual è la via, quali i metodi e i modi per porre a tanta sciagura, a tanto scandalo, un rimedio efficace e risolutivo?
Innanzitutto, quando si parla di separazioni, non bisogna confondere la separazione tra con la separazione da. Due sposi si separano: lui lascia lei e lei lascia lui; l’uno si allontana dall’altra. Essi si separano tra di loro. Un tralcio invece si separa dalla vite. Non si dice che la vite si separa dal tralcio. Ora il problema dell’ecumenismo riguarda questo secondo tipo di separazione. Come dice l’Unitatis redintegratio: “comunità non piccole si sono staccate dalla piena comunione della Chiesa cattolica” (n.3).
Pertanto il quadro evangelico di riferimento è la parabola del figliol prodigo, che si è allontanato dalla casa paterna. Come viene risolta questa separazione? Col ritorno del figlio al padre. Il figlio, tuttavia, ha trascorso un periodo durante il quale ha creduto di star bene lontano dal padre. Così i fratelli separati per secoli sono stati convinti di essere dei riformatori, che avevano fatto avanzare la Chiesa verso il Regno di Dio meglio di quanto facesse la Chiesa cattolica, rimasta a pratiche superate e credenze superstiziose.
Da pochi decenni i luterani hanno visto di buon occhio i dialoghi ecumenici avviati dal Concilio Vaticano II, e si dichiarano dispiaciuti per la divisione e desiderosi di rimediare. Di fatto, molti sono stati i frutti dell’ecumenismo. Abbiamo compiuto molti passi di riavvicinamento. Molti sono stati gli incontri.
Su molti punti collaboriamo. Tutti abbiamo compiuto molti gesti utili: abbiamo riconosciuto i valori che sono rimasti comuni, anche dopo la rottura, abbiamo rinunciato ad aggredirci gli uni gli altri, abbiamo adottato un linguaggio più moderato, abbiamo rinunciato a chiusure, offese e calunnie, apprezzato valori gli uni degli altri, ci siamo reciprocamente perdonati delle colpe del passato, abbiamo dissipato certi equivoci, abbiamo realizzato una migliore conoscenza e comprensione reciproca.
Eppure tutti sentiamo che non siamo ancora arrivati ad una piena comunione, ad una vera unione, ad una perfetta riconciliazione. Siamo ancora divisi. Non ci sono tra noi solo delle differenze; in ciò non c’è nulla di male. Ma la cosa triste è che permangono ancora contrasti, contraddizioni ed opposizioni. Avvertiamo che, come ha ripetutamente detto il Papa, permangono delle “divisioni”.
I teologi luterani, tuttavia, mantengono a tutt’oggi con fierezza le loro posizioni e le sostengono con una tale dovizia di mezzi e capacità persuasiva, che molti cattolici restano suggestionati, per cui mantengono il nome di “cattolici”, ma in pratica sono infetti da idee protestanti. Così, non sono i luterani che si avvicinano a Roma, ma sono molti i cattolici, che di fatto, magari senza accorgersene, si avvicinano a Lutero per la mediazione dei modernisti, come già segnalava S.Pio X nella Pascendi.
Quindi è difficile capire in che consisterebbe il “dolore” dei protestanti. E’ dolore che nasce dall’accorgersi di aver sbagliato e che Roma ha ragione o è dolore perchè Roma è tuttora su posizioni polemiche, intolleranti, retrive, rigide e conservatrici?
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Questo vuol dire che il problema della riunificazione, il problema dell’ecumenismo è più profondo di quanto oggi molti non credano. Non si esaurisce infatti in un problema di carità reciproca, ma si tratta di una questione di verità, e più precisamente di sapere qual è la vera fede, quindi qual è la vera Chiesa custode e maestra della verità, quali sono le fonti della Rivelazione, come si interpreta la Scrittura, da quali segni si riconosce la volontà di Dio, qual è la vera via della salvezza, quanti sono i sacramenti, quali sono i doveri del cristiano, chi, nella Chiesa, ha l’ufficio di regolare il culto divino e risolvere le controversie relative alla fede, quali e quante sono le verità da credere. E’ questo il problema di Lutero.
Ancor più che una questione di riforma della Chiesa, Lutero, nel colmo della sua attività, fece una questione di verità. Egli iniziò effettivamente con un intento riformatore nel 1517 in base alla concezione cattolica di Chiesa.
Ma già con la famosa “esperienza della torre” (Turmerlebnis) del 1516 e la concezione della “fede fiduciale”, egli cominciò a credere di aver scoperto il vero Vangelo contro le falsità di Roma ed accusò il Papa di eresia. E nessuno riuscì più a smuoverlo da quella convinzione, ed anzi egli fu talmente persuasivo nelle sue accuse di eresia contro Roma, che cominciò ad attirare seguaci, i quali, come è noto, esistono ancor oggi.
Fu così che Leone X nel 1520 si decise ad intervenire contro Lutero con la famosa Bolla Exsurge Domine. Ma le accuse decisive del Papa non riguardarono tanto il suo modo di concepire la riforma della Chiesa, quanto piuttosto fanno questione della verità: Lutero è accusato di eresia.
Lutero, ben lungi dal ravvedersi, nonostante le critiche che gli venivano da dotti teologi, si accese ancor più di odio verso il Papa e accentuò la sua convinzione che occorreva reinterpretare gli insegnamenti evangelici e concepire un modello di Chiesa, nel quale l’autorità del Papa non aveva posto.
Lutero volle ricavare questa ricomprensione del messaggio evangelico – in pratica delle verità di fede – e tale modello di Chiesa mediante un contatto diretto con la Scrittura, senza avvalersi dell’interpretazione o mediazione della Chiesa Romana.
Egli allora cominciò a rileggere tutta la Scrittura sulla base di questo criterio soggettivo, e credendosi ispirato direttamente dallo Spirito Santo, tolse dalla dottrina cristiana tradizionale tutti quei dogmi che non si trovano esplicitamente nella Bibbia, ma sono stati esplicitati dalla tradizione ecclesiale nei secoli.
Dunque a questo punto è chiaro che non abbiamo più una riforma, ma una demolizione della Chiesa e del deposito della fede. Restano indubbiamente le strutture portanti, i dogmi fondamentali. Ma quale distruzione! E’ come se in una casa scomparisse tutto il mobilio e rimanessero le stanze vuote. Come si fa a vivere in una casa simile? Sta qui il cuore e il fulcro del problema ecumenico.
I contemporanei e gli immediati successori di Lutero, seguaci e avversari, si resero subito conto che non si trattava di discutere di una semplice riforma, ma che la questione era molto più seria e apparve la domanda drammatica di quale fosse il vero deposito della fede e quali fossero le strutture veramente essenziali della Chiesa.
Il fatto che Lutero cominciasse a raccogliere seguaci, testimonia pertanto non solo della sua potente personalità, ma anche della debolezza ed incertezza della fede esistente a quei tempi, della scarsa vigilanza dei vescovi, nonché della scarsa fiducia nella sede Romana diffusa tra i fedeli.
Oggi c’è l’uso, anche tra i cattolici, di chiamare “riformatori” i luterani. E’ un termine esatto, ma non dice tutto, e non riflette neanche l’aspetto principale. Si tratta di un eufemismo. In passato i cattolici, riferendosi agli interventi della Chiesa, parlavano più appropriatamente di “eretici”. Questa infatti è la sostanza della questione. L’aspetto più proprio del pensiero luterano non è la riforma, ma l’eresia.
In passato i cattolici e gli apologisti tenevano a precisare la dottrina cattolica contro gli errori protestanti. Ancora il
Catechismo di S.Pio X contiene in appendice un elenco degli errori protestanti. Si tende invece oggi a presentare Lutero come cattolico e si considerano cattoliche delle tesi che in realtà sono protestanti. Non è questo il metodo giusto per avvicinare cattolici e protestanti.
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Molti credono addirittura che la preoccupazione di opporre il vero al falso generi divisioni. Ma non è così. La verità unisce, non divide. Separa salutarmente dall’errore, ma ispira carità per l’errante. E’ la falsità che divide. L’unità nasce proprio dalla separazione del vero dal falso. Infatti l’unità si basa sulla verità oggettiva, universale e comunemente accettata e condivisa, cosa che suppone il rifiuto della falsità.
E’ il falso, non il vero, che crea discordia, conflitti e disunione. La comune accettazione del vero ammette un legittimo dissenso e una pluralità di opinioni anche tra loro contrarie, ma non concede mai spazio all’errore. Combattere l’eresia vuol dire lavorare per l’unità e per la vera concordia. Il concordare nell’errore non è un sano associarsi, ma è un’associazione a delinquere.
Per accorciare le distanze, ottenere l’unità e la scomparsa delle divisioni, non si tratta semplicemente di stringere le fila come i soldatini di un plotone. Occorre certo un avvicinamento reciproco, non però per formare semplicemente un’ammucchiata sotto l’egida del relativismo, ma solo nella luce della verità universale, da tutti accettata. Questa è la “cattolicità”, che il vero ecumenismo tiene sempre presente.
Diversamente, come ha avvertito il Papa, si favorirebbe lo spirito settario o si formerebbe un coacervo disordinato di sette. Il settarismo e il relativismo vanno di pari passo, per quanto a tutta prima sembrino agli antipodi l’uno dall’altro. Il relativista, infatti, fa la figura del tollerante, aperto a tutti.
Ma in realtà è un intollerante, perchè non ammette chi gli dà torto e sostiene l’oggettività e l’universalità del vero. Quanto al settario, può dar l’impressione a se stesso ed agli altri di essere un intransigente campione della verità ed un acerrimo nemico dell’errore. Ma in realtà, chiuso com’è nelle sue idee, non è capace di aprirsi a verità diverse da quelle che sostiene lui (ammesso che siano verità) e le combatte come fossero errori.
Il relativista si considera ed è considerato da molti stolti un grande conciliatore, un fautore di pace e un maestro di ecumenismo. Ma è un impostore. La soluzione dei conflitti non nasce sotto l’egida del relativismo, né da un pateracchio tra il vero e il falso, o tra il sì e il no, ma nella chiarezza delle posizioni opposte e nel far sì che chi è nel falso abbracci il verità. E chi è nella verità aiuti l’errante a correggersi e ad abbracciare il vero.
In che consiste dunque la divisione tra cattolici e luterani? E’ Lutero che si è separato da Roma, ossia dalla verità o è stata Roma a separarsi dal vero Vangelo riscoperto da Lutero? Questo è il quesito fondamentale dell’ecumenismo. Non lo si può sfuggire; non gli si può girare attorno. Noi cattolici dobbiamo far comprendere ai fratelli separati con ogni carità, competenza, delicatezza, persuasività, pazienza, fermezza e costanza, che Cristo li chiama alla piena comunione con Roma.
In fondo la soluzione del problema della separazione è semplice: i luterani si sono separati da Roma (il grido di Lutero los von Rom!). Devono ritornare a Roma, alla casa del Padre comune, il Sommo Pontefice, cioè, con una parola semplice di origine evangelica: devono convertirsi.
Il che ovviamente non vuol dire che Roma non farà tutto il possibile per andar loro incontro sul piano della carità. Ma non può cedere sul piano della verità, per il loro stesso bene. La carità non è accontentare l’altro nel suo errore, ma avvertirlo che sta sbagliando.
Questo chiarimento con le conseguenze pratiche che ne devono derivare, è l’obbiettivo ultimo dell’ecumenismo, non una semplice convivenza pacifica protratta all’infinito, come la convivenza tra francescani e domenicani, che dovrà durare fino alla fine del mondo. Però questo nobilissimo obbiettivo, per il quale Cristo ha pregato, sarà raggiunto solo quando lo Spirito Santo, Spirito di Verità e di Amore, lo concederà. Va bene pregarLo; ma occorre anche operare nel senso suddetto.
Una cosa importante da chiarire nel lavoro ecumenico è che non è la dottrina cattolica ad essere influenzata dal paganesimo greco, come ingiustamente sostengono i teologi luterani da secoli, nella loro insensata polemica contro la teologia scolastica, ma è la dottrina luterana ad essere influenzata dal peggiore pensiero greco, senza che lo stesso Lutero se ne accorgesse, convinto di attingere alle pure sorgenti bibliche.
Invece uno studio approfondito del pensiero luterano consente di riscontare in esso influssi del determinismo fatalista stoico (il volontarismo e la negazione del libero arbitrio), del sensismo epicureo (la concupiscenza irresistibile), dell’idealismo ed immanentismo platonici (l’autonomia della coscienza) e dello scetticismo (l’impotenza della ragione). Altro che Parola di Dio!
L’obbiettivo ultimo dell’ecumenismo non è, come pensa Scalfari, l’“unificazione” delle Chiese, un semplice “affratellamento” di tutte le Chiese fra di loro in una religione universale o mondiale, con esclusione del primato della Chiesa cattolica. Questo in realtà è un disegno massonico del tutto estraneo alle intenzioni della Chiesa cattolica e allo stesso bene delle Chiese attualmente separate.
Non si tratta neppure di costituire una specie di federazione di Chiese come gli Stati Uniti d’America (e pluribus unum), una specie di Organizzazione Mondiale delle Chiese Unite, una specie di ONU delle religioni, ma la piena “incorporazione nella Chiesa cattolica” (Unitatis redintegratio, n.3) delle Chiese separate da Roma. Esiste bensì una religione basata sulla semplice ragione, ossia la religione naturale, un monoteismo che fa da base al dialogo interreligioso; ma sarebbe inganno e iattura pensare che il luteranesimo e il cattolicesimo possano ridursi al semplice monoteismo.
Non si tratta di edificare un’unica Chiesa, che risulti dalla fusione o coalizione delle Chiese tra di loro, perché l’unica Chiesa c’è già da 2000 anni e durerà fino alla fine del mondo, ma semmai di far sì l’unica Chiesa cattolica si attui meglio in una pluralità di diversi modi d’essere e di realizzazioni particolari (unum in pluribus). L’unificazione non va intesa come ricomposizione in unità di una Chiesa frantumata come si fa con i pezzi di un vaso rotto, ma di ricondurre alla piena comunione con l’unica indivisa e indivisibile Chiesa, che è la Chiesa cattolica, le comunità che un tempo se ne sono staccate, dopo che esse abbiano tolto le “carenze” e gli “impedimenti” (ibid.), che fanno da ostacolo a questa comunione.
P. Giovanni Cavalcoli - Varazze, 31 ottobre 2016
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