Nella Chiesa agiscono sempre forze disgregatrici, che ne combattono l’unità. Il principio sul quale si basano e dal quale partono sono quelle che S. Paolo chiama «dottrine diaboliche» (I Tm 4,1), dette così perché ispirate dal diavolo, il «divisore», diabolos, il quale usa vari metodi, che sono i seguenti.
Primo: suggerire il falso nei giudizi sulla fede e sui comportamenti degli uomini. Nel primo caso abbiamo l’eresia; nel secondo, la diffamazione, la denigrazione, la menzogna, la calunnia.
La verità che lega con la verità, unisce, è fautrice di pace e concordia. Invece il falso spezza l’unità, perché si contrappone al vero; e tra vero e falso non può esservi unità, non può esservi accordo, non può
esservi armonia. Per conseguenza, chi segue il falso entrerà in conflitto con chi segue il vero, ed ecco la divisione.
Secondo: contrapporre ciò che va unito o dividere ciò che va congiunto. Considerare nemico il diverso. Mettere in contrasto due termini reciprocamente complementari, per esempio la verità e la carità, la legge e la libertà, la dottrina e la pastorale, l’astratto e il concreto, il pensiero e l’azione, la ragione e la fede, le opere e la grazia, la tradizione e il progresso, la gerarchia e il popolo, il Magistero della Chiesa e i teologi, il Concilio Vaticano II e il Concilio di Trento, il carisma e l’istituzione. Invece di mettere assieme i due termini, si crede di dover scegliere uno dei due e scartare l’altro.
Sul piano pratico si creano due fazioni contrapposte: quella che sta per un termine dell’alternativa e quella che sta per l’altro. La dottrina diventa ideologia; le visioni diventano parziali ed unilaterali. La parte si sostituisce al tutto. Il particolare si erige ad universale. “Io sono di Paolo. E io sono di Apollo” (I Cor 1,12). Ci si chiude e indurisce sulla propria posizione e non si ascolta più l’altro. Non si vedono in lui altro che difetti.
Terzo: confondere ciò che va distinto. Per esempio, il senso con l’intelletto, il pensiero con la realtà, l’essenziale con l’accidentale, la teoria con la prassi, l’opinione con la scienza, la verità con l’apparenza, la realtà con la storia, la persona con la relazione, il soggettivo con l’oggettivo, la fede col sentimento, la religione con la politica, la Chiesa col mondo, l’umanesimo col cristianesimo, la misericordia con la giustizia, la coscienza con la norma morale, la libertà con la licenza, il sesso col piacere sessuale.
Quando si confonde, si creano divisioni perché l’unione nasce dalla distinzione, che mostra la reciprocità tra i due termini e quindi come possono convenire tra di loro. La confusione dà l’apparenza di un’unione, ma è un’unione forzata, nella quale a ciascuno dei due termini non è riconosciuto ciò che gli appartiene, ma l’uno invade il campo dell’altro o è sostituito dall’altro, e si crea disagio in entrambi.
È chiaro che in queste condizioni tra di loro non ci può essere armonia né vera unità. Se il laico vuol dettar legge nella Chiesa e il prete s’immischia nella politica, ne riceve danno sia la religione che la politica. Se si confonde la natura con la grazia, si sacralizza la natura e si profana la grazia. Se si confonde il corpo con lo spirito, si abbrutisce lo spirito e si idolatra il corpo.
Quarto: Il relativismo e il soggettivismo, radicati nell’egoismo, producono l’opportunismo e il situazionismo indifferentista, il dialogismo sofista e il falso pluralismo. Tutto ciò produce la dissoluzione dell’unità. Si diffondono l’infedeltà, il tradimento e la volubilità. I legami si allentano o si spezzano e ognuno va per conto proprio, dedito alla cura dei propri interessi. Il corpo della Chiesa va in decomposizione, come avviene nei cadaveri. C’è un pullulare, che sembra un pullulare di iniziative; ma è un pullulare di vermi, come nei cadaveri.
Qui è grave la responsabilità dei pastori, che devono essere fattori e custodi dell’unità. Con la sana dottrina devono fornire il principio teorico dell’unità. Con la loro saggezza pastorale e la loro condotta irreprensibile devono organizzare concretamente l’unità, mettendo ciascuno al suo posto e difendendo la comunità dagli elementi disgregatori.
Quinto: La fomentazione dell’odio. L’odio nasce dalla superbia, dall’attaccamento al proprio io, dalla volontà di primeggiare e da un desiderio esagerato di successo e di potere. Da qui nascono il narcisismo, le invidie, le gelosie, le rivalità, le fazioni, le ingiustizie. Quest’ultimo fattore di divisione è più grave di tutti, quello che maggiormente distrugge l’unità e quello verso il quale convergono tutti gli altri.
Detto questo, si deve dire che comunque l’unità della Chiesa è indistruttibile, perché protetta e animata dallo Spirito Santo. Le forze della divisione, quindi, non possono prevalere, mentre le forze dell’unità resistono ai sempre rinnovati attacchi e alle insidie che provengono dal potere delle tenebre.
Supremo custode, tutore e procuratore della pace, dell’unità e della concordia nella Chiesa, pur nella diversità delle opzioni e delle legittime tendenze, è il Sommo Pontefice. Egli è l’arbitro e il giudice supremo delle controversie, col dovere e il potere di mediare tra le parti e tra i litiganti, mostrando i punti in comune tra loro e dando a ciascuno il suo, al fine di sciogliere i conflitti e di accordare le parti fra di loro.
Egli ha il compito supremo, con la sua saggezza, il suo discernimento, la sua imparzialità, il suo equilibrio e il suo spirito di pace, di individuare le cause delle divisioni e di toglierle, riconciliando fra di loro i contendenti e ricostituendo l’unità. Ha il compito di chiamare all’unità cattolica ed alla pienezza della fede e della comunione con la Sede Apostolica coloro che si sono allontanati. Questo è il compito dell’ecumenismo, del quale il Papa dev’essere il supremo moderatore e promotore.
In tal modo, se il Papa è un fautore di pace, crea la pace nella Chiesa. Se ci tiene all’unità, crea l’unità. Se è uno spirito conciliatore, risolve i conflitti o almeno si adopera per risolverli. Se ha uno spirito di imparzialità, si attira la stima delle parti in lotta e le rende disponibili all’accordo. Se sa dare a ciascuno il suo, sa indicare alle parti i punti di convergenza, i diritti da rispettare, i difetti da correggere e le qualità da valorizzare, proprie di ciascuna, complementari le une alle altre.
Ma se invece è divisivo, crea ed esaspera le divisioni. Se non è chiaro nelle direttive, crea confusione, che aumenta le divisioni, perché non dà criteri di discernimento. Se è fazioso e partigiano, favorendo una parte contro l’altra, gonfia la prima, che si insuperbisce e perseguita l’altra, mentre si attira l’odio dell’altra. Se mira più al successo personale che agli interessi della Chiesa, non si perita affatto di accordare i suoi favori ai suoi adulatori, maltrattando coloro che lo richiamano al suo dovere.
È chiaro che tutto ciò provoca un durissimo scontro fra adulatori ed oppositori. I primi trionfano e i secondi sono oppressi. I primi sembrano le punte avanzate della Chiesa, mentre ne sono i traditori. Tra i secondi, alcuni hanno buone ragioni; altri sono vittime del rancore. I primi sono finti cattolici e finti amici del Papa, ma in realtà sono eretici o apostati. I secondi, se sono forti, restano nella fede, e sono i veri amici del Papa, che però, nonostante ciò, li disprezza, perché non lo adulano, ma gli parlano con franchezza. Altri purtroppo, che restano scandalizzati, o perdono la fede o cadono nello scisma.
Questa situazione di conflittualità nella Chiesa trae origine da un ritorno di modernismo, che iniziò nell’immediato post-concilio. Si trattava di un falso rinnovamento basato su di una falsa interpretazione del Concilio, che l’episcopato non ebbe la tempestività di bloccare sul nascere.
I Papi del post-concilio segnalarono bensì questo ritorno di eresia, sotto specie di «progresso», ma purtroppo non furono in grado di fermare il male, che invece si è aggravato fino ai giorni nostri, nei quali i falsi novatori hanno acquistato un enorme potere all’interno della Chiesa e non sono sufficientemente sanzionati e corretti dal Papa attuale, che anzi li tollera e li favorisce.
Simultaneamente al risorgere del modernismo, si verificò, come è noto, a partire dall’immediato post-concilio, la reazione di alcuni, i quali, ritenendo erroneamente che le dottrine conciliari fossero inquinate dal modernismo e quindi tradissero la Tradizione, si sentirono in dovere di rifiutare il rinnovamento conciliare e per conseguenza il Magistero pontificio post-conciliare.
Fu questo un grave errore, che, per mancanza del giusto metodo, non rimediò affatto al modernismo, ma ebbe il risultato di aggravare la conflittualità intraecclesiale. Così, come i modernisti sono stati causa di divisione, anche questi falsi sostenitori della Tradizione, con la loro risposta inadeguata, sono stati a loro volta oggettivamente causa di divisione, al di là delle intenzioni di alcuni che possono essere state rette.
I Papi del post-concilio, dal canto loro, per quanto santi, non sono riusciti a mediare efficacemente tra la corrente falsamente rinnovatrice e quella che non intende correttamente il valore della Tradizione e il vero senso del Concilio. E men che meno ci riesce Papa Francesco, il quale con la sua propensione per i falsi rinnovatori e la sua polemica contro i tradizionalisti, fomenta tra di loro la guerra anziché la pace.
Vediamo pertanto oggi più che mai gli amari frutti del falso rinnovamento, il quale ci mostra come dalla superbia dell’eresia scaturisce la corruzione morale, oggi in particolare la lussuria, ossia l’impressionante diffusione di ogni genere di peccati sessuali, soprattutto la pedofilia e la sodomia nel clero.
Dunque, davanti a Papa Francesco sta un grave compito, per il quale del resto può fruire dell’assistenza dello Spirito Santo. Ma occorre che affronti, a mio giudizio, alcune incombenze, circa le quali mi permetto di offrirgli i seguenti suggerimenti.
1. Occorre che riconosca umilmente di essere stato cedevole riguardo alla diffusione delle eresie e della corruzione morale, alla quale esse hanno dato origine, in particolare la vasta diffusione dei peccati di lussuria, pedofilia e sodomia tra i membri del clero.
2. Bisogna che egli chieda perdono a Dio, alla Chiesa e alle vittime degli abusi per la negligenza con la quale si è rapportato nei confronti di questi gravissimi fenomeni, che hanno profondamente turbato la Chiesa e tutte le persone oneste.
3. Occorre che si adoperi con maggior impegno in una paziente opera di mediazione e pacificazione fra progressisti e tradizionalisti, nel rispetto delle legittime differenze.
4. Occorre che si circondi di collaboratori attaccati alla sana dottrina, alieni dall’adulazione e dalla mondanità, veramente rispettosi del primato petrino, leali e franchi nei giudizi, disinteressati, non carrieristi, di costumi integerrimi.
5. Bisogna che porti avanti la riforma conciliare prendendo a modello non Lutero o Rahner, ma i Papi che lo hanno preceduto, da S. Giovanni XXIII a Benedetto XVI.
6.Purifichi la produzione teologica e la formazione del clero prendendo a metro di giudizio il Catechismo della Chiesa Cattolica.
7. Pratichi l’ecumenismo e il dialogo interreligioso e con i non-credenti non per fermarsi all’affermazione dei valori comuni e delle legittime differenze, ma per condurre tutti alla Chiesa Cattolica, sull’esempio degli Apostoli.
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