di P. Giovanni Cavalcoli
Dopo il fatto straordinario delle dimissioni di Benedetto XVI, che a tutta prima sconcertarono molti, adesso l’idea che un Papa possa dare le dimissioni è divenuta comunemente ammessa senza problemi. Lo stesso Papa Francesco, all’inizio del suo pontificato, non escluse per lui stesso una simile eventualità.
La questione si è ripresentata con la richiesta fatta in tal senso al Papa da Mons.Viganò. Al termine del suo memoriale, infatti, che denuncia, come è noto, connivenze e complicità di Vescovi e Cardinali in numerosissimi casi di sodomia nel clero, fino a giungere ad accusare il Papa
stesso di aver omesso di punire, pur sapendo, ed anzi addirittura promovendo i colpevoli e facendoli suoi collaboratori, Viganò, riprendendo le parole del Papa, che parla del dovere del cristiano di opporsi al male facendo il bene, osserva:
«se questa, giustamente, è da considerarsi una grave responsabilità morale per ogni fedele, quanto più grave lo è per il supremo pastore della Chiesa, il quale nel caso McCarrick non solo non si è opposto al male, ma si è associato nel compiere il male con chi sapeva essere profondante corrotto, ha seguito i consigli di chi ben sapeva essere un perverso, moltiplicando così in modo esponenziale con la sua suprema autorità il male operato da McCarrick. E quanti altri cattivi pastori Francesco sta ancora continuando ad appoggiare nella loro azione di distruzione della Chiesa!
Francesco sta abdicano al mandato che Cristo diede a Pietro di confermare i fratelli. Anzi, con la sua azione li ha divisi, li induce in errore, incoraggia i lupi nel continuare a dilaniare le pecore del gregge di Cristo. In questo momento estremamente drammatico per la Chiesa universale riconosca i suoi errori e in coerenza col conclamato principio di tolleranza zero, Papa Francesco sia il primo a dare il buon esempio a cardinali e vescovi che hanno coperto gli abusi di McCarrick e si dimetta insieme a tutti loro».
Questo comportamento riprovevole di Papa Francesco si spiega col fatto che egli, come risulta da molti suoi fatti e detti, ha concepito il suo pontificato non come servizio assoluto del Vangelo come forza che vince il mondo, ma come servizio del Vangelo limitato a ciò che del Vangelo piace al mondo. Ed anzi, se c’è da scegliere tra Vangelo e mondo, sceglie il mondo.
Ora, al mondo piace una morale soggettiva, relativista e senza princìpi «non negoziabili»? Ebbene, Francesco li riconosce nei suoi discorsi ufficiali, perché resta pur sempre il maestro della fede; ma poi nella prassi, ossia nella sua pastorale e nel governo della Chiesa si vale di collaboratori che non li riconoscono e non li mettono in pratica, e non punisce o non corregge coloro che li negano nelle parole e nei fatti. Questa è la sostanza dell’accusa di Viganò, e purtroppo ha ragione.
Cessino dunque i modernisti di giustificare il Papa laddove non può essere giustificato e di denigrare perfidamente il profeta che lo richiama e li richiama al timor di Dio. E si tolgano la maschera di falsi amici del Papa, nel quale non vedono il Vicario di Cristo, ma solo l’uomo da lisciare nelle sue debolezze e nelle sue ambizioni, al fine di giustificare la propria condotta mondana e peccaminosa.
Ai modernisti, che non sono veri credenti, ma servi di questo mondo, e che non credono nel ministero petrino, un Bergoglio simpaticone, capopopolo, mondano e secolaresco va bene così, per cui, accondiscendendo all’egocentrismo di Francesco, lo distraggono dal suo ufficio petrino, illudendolo di essere un grande riformare, un profeta, un rivoluzionario, un araldo della misericordia, un leader della sinistra internazionale, una superstar. C’è chi parla anche di grande filosofo e grande teologo.
Essi si atteggiano a fustigatori della pedofilia, ma sono teneri per la sodomia; il che vuol dire che la loro morale è elastica come la gomma e coerente come quella dei voltagabbana. A loro non interessa la morale, ma che Bergoglio, del quale hanno fatto un idolo per i loro comodi mondani – purtroppo lui sta al gioco - non sia toccato. Se si scagliano contro Viganò non è in nome della castità, ma per difendere il loro idolo.
Occorre allora vedere se Papa Francesco, riflettendo seriamente davanti a Dio come ha fatto Viganò, riconoscerà le colpe che gli addebita. Ma ancor prima di ciò, dobbiamo capire che conto fà il Papa del memoriale di Viganò, che con prove e testimonianze credibili, legate ad esperienze personali e corroborabili dalla testimonianza di moltissime altre persone, prelati e fedeli, lo mettono davanti alle sue gravissime responsabilità o quanto meno gli sottopongono quesiti o dubbi ai quali egli non si può sottrarre come uomo d’onore e soprattutto come Papa. In altre occasioni il Papa è evaso; ma questa volta deve veramente dar prova di lealtà. Nessuno ce l’ha con lui; semplicemente vogliamo la verità.
Non ci sono «cani selvaggi», ma figli addolorati e turbati, che chiedono al padre di essere padre e non padrone. Chiediamo non le dimissioni, ma una testimonianza di umiltà, un atto di pentimento e una richiesta di perdono a Dio, alla Chiesa e alle vittime degli abusi. Non accettiamo il silenzio sprezzante dell’orgoglioso, che nasconde ciò che si rifiuta di confessare ed è tormentato dal rimprovero della coscienza, che lo fa uscire in parole rancorose, ma attendiamo la confessione sincera di quella colpa, che lo tormenta, liberandosi dalla quale, grazie alla divina misericordia, ritroverà la pace.
Ci attendiamo altresì che il Papa comprenda che questa spaventosa corruzione del clero e dei vescovi è la conseguenza di una cinquantennale formazione seminaristica affidata a docenti eretici e modernisti, soprattutto rahneriani, negatrice della legge morale naturale e propugnatrice di una morale soggettivista e relativista, che in fin dei conti finisce, sotto pretesto della libertà, col permettere ogni peccato.
Se dunque il Papa vuol passare alla storia come Papa riformatore, invece di guardare a Lutero, guardi alla riforma della formazione del clero promossa dal Concilio Vaticano II alla luce dell’Aquinate, in modo che la gioventù che si prepara al sacro ministero sia istruita da una dottrina purissima, priva di errori e seduzioni mondane e tutta protesa alla gloria di Dio e alla salvezza delle anime.
Non disdegni il Papa di applicare a sé le auree parole del Salmista: «mi percuota il giusto e il fedele mi rimproveri; ma l’olio dell’empio non profumi il mio capo» (Sal 141,5). Meglio il rimprovero di chi ci vuol bene, che la lode di chi solletica i nostri vizi. Prenda esempio da Don Camillo, che accettava i rimproveri del Crocifisso, piuttosto che il piacere di affermare se stesso.
Varazze, 6 settembre 2018
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