L'induismo a differenza della religione coranica non si espande in Europa fisicamente, ma spiritualmente, sottilmente, alimentando un sincretismo gesuitico e yoga che insegna “Dio come puro vuoto"
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di Camillo Langone, Il Foglio 2 agosto 2018
Il viaggio in India lo facevano i Beatles, adesso lo fa Arisa: non sembrerebbe un gran momento per l’induismo. E invece è appena uscito un libro, “Cristo o l’India”, che solo Roberto Dal Bosco poteva scrivere, che quasi solo Fede & Cultura poteva pubblicare, che quasi solo io potevo elogiare, in cui della religione vedica si mostra la crescente pericolosità, l’accanimento anticristiano, la fondamentale demonicità sacrificale. A differenza della religione coranica non si espande in Europa fisicamente, con pance e barconi, ma spiritualmente, sottilmente, alimentando un sincretismo gesuitico e yoga che insegna “Dio come puro vuoto, la relativizzazione e l’abbandono della figura divina e perfino storica di Cristo, il panteismo ultra-immanentista”. Mentre Cristo, nella condivisibile visione di Dal Bosco, è il solo katéchon che possa intralciare “il frame di lavoro della bioetica mondialista: aborti, procreazioni in provetta, eutanasie, ora anche ufficialmente aborti post-natali, c’est-à-dire infanticidi tout court”. Sia letto da chi pensa che il politeismo sia forma religiosa di per sé più benevola e tollerante.
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