L'Affaire Borgia: storia e attualità di un papa

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«Ti predissi, o bue, che saresti stato Papa». Così recitava il cartello che un romano in vena di scherzi aveva affisso alla statua del Pasquino per celebrare a modo suo l’elezione di Rodrigo Borgia al soglio pontificio. Il motteggio giocava sull’araldica della famiglia valenciana nel cui stemma campeggiava un toro rosso.
Questa “pasquinata” è solo un particolare insignificante nel pontificato di Alessandro VI, ma ha certamente il merito di esemplificare bene, come la punta di un iceberg, l’enorme sommerso delle infamanti calunnie che ha dovuto subire la memoria di uno dei più famosi Papi del Rinascimento. La leggenda nera di Rodrigo non ha risparmiato altri membri illustri della sua famiglia, come i figli Cesare e Lucrezia, e ancora oggi, a giudicare dal successo riscosso da due recenti serie televisive dedicate ai Borgia, continua a esercitare un fascino intramontabile.
Accusato a più riprese di crimini orrendi, incesti, venefici, patti col diavolo e comportamenti lascivi, Alessandro VI è passato alla storia come l’emblema di una Chiesa corrotta e dai costumi rilassati. Stendhal ebbe a definirlo «meno imperfetta incarnazione del diavolo» e Gregorovius, storico luterano, scrisse di lui come del «più acuto contrapposto all’ideale di Cirsto». Da Guicciardini a Nietzsche, da Barnabe Barnes a Victor Hugo, epiteti simili si sprecano.
Come mai Rodrigo fosse il bersaglio prediletto di numerosi diffamatori è da imputare a una serie di circostanze che vennero casualmente a incrociarsi, ma che hanno il comune denominatore nell’umanissima tradizione per cui ai tanti nemici corrispondono sempre eguali detrattori. Agli avversari del suo casato si dovevano infatti aggiungere quelli politici e quelli religiosi, quest’ultimi resi sempre più arroganti dallo spirito protestante che iniziava a germogliare. La studiosa Marion Hermann-Röttgen non lascia scampo a sterili polemiche: «I Borgia sono rimasti fino ai nostri giorni uno dei soggetti preferiti di quella letteratura popolare pseudoscientifica il cui vero oggetto è la Chiesa».
Il libro di Lorenzo Pingiotti, riedito dopo otto anni dalla prima pubblicazione, si accolla il compito di fornire attraverso un testo dal taglio divulgativo e con poche  note una panoramica sui più recenti studi dedicati ad Alessandro VI; l’obiettivo dichiarato è quello di abbattere, documenti alla mano, un falso mito purtroppo difficile da scalfire. La leggenda nera di Papa Borgia ripercorre, capitolo dopo capitolo, gli episodi più controversi della vita di Rodrigo, attingendo a un folto apparato bibliografico per dimostrare l’infondatezza o la perniciosità della maggior parte delle accuse. Ne scaturisce un ritratto vivido, molto lontano da quello che la falsificazione storica ha contribuito a edificare nell’immaginario collettivo. In altre parole, si riporta alla luce il positivo di un’azione pastorale che vanta diversi meriti. In pochi conoscono, per esempio, il sincero tentativo del Borgia di avviare una generale riforma del clero – impossibile da concretizzare in anni caotici come quelli iniziali del XVI secolo – o il riguardo che ebbe verso i religiosi e la devozione popolare. Singolarmente felice fu anche l’opera di accoglimento e d’integrazione nel tessuto sociale romano di numerosi gruppi di ebrei che fuggivano dalla Spagna o da altri stati del continente.
Pingiotti raggiunge però solo parzialmente il suo obiettivo. Lo studio, infatti, seppur interessante e consigliabile, non è esente da pecche. Al di là di alcune considerazioni piuttosto grossolane e fuori luogo (come quella di affibbiare a Savonarola l’etichetta di sedevacantista ante litteram), ciò che più disturba è la posizione complessiva promossa dall’autore, troppo sulla difensiva per essere ultimamente convincente. La via mediana percorsa da Pingiotti, a metà strada tra i calunniatori e i santificatori di Alessandro VI, si mostra debole nel pegno che paga alla mentalità contemporanea. Il lettore più attento può notare il tremante incedere del periodare quando si affronta la nomina a inquisitore di Heinrich Krämer e la generale prudenza con cui si minimizzano le colpe di diversi ecclesiastici adducendo a scusante il costume dell’epoca o gli atteggiamenti peggiori dei loro avversari.
Se è vero che il cattolico non teme la verità, davvero questo atteggiamento non si spiega. Nella conclusione, per confermare la buona volontà della sua opera, Pingiotti cita le parole di Benedetto XVI a proposito della scarsa convenienza di moralizzare il passato: «Quando la memoria viene avvelenata, con essa resta avvelenato anche l’uomo». Eppure, in qualche misura, sembra che lui stesso cada nell’errore diametralmente opposto, quello cioè di voler moralizzare a tutti i costi il presente.
Sarebbe stato più opportuno, a guisa di epilogo, mostrare come, in realtà, il pontificato di Rodrigo Borgia possa paradossalmente rappresentare un modello valido ancora oggi. L’arbitrato internazionale che portò alla firma del Trattato di Tordesillas tra Spagna e Portogallo nel 1494 è un capolavoro politico-religioso – tra le clausole si esplicitava anche la conversione degli indios americani – che testimonia un peso che oggi, nell’epoca globalizzata della comunicazione di massa, neanche un personaggio pop come Bergoglio può vantare. L’eccessiva attenzione al potere temporale non fu poi per Alessandro VI un ostacolo al buon proseguimento dell’opera spirituale della Chiesa (tra l’altro la causa della “rivoluzione protestante” non è più ravvisata dalla maggior parte degli storici nel malcostume del clero, ma in quella generale apostasia che fu l’Umanesimo). I Borgia giocarono forse un po’ troppo con i fanti, ma di certo non osarono toccare i santi. Al contrario, dopo il Concilio Vaticano II, il surrettizio smantellamento della dottrina cristiana è diventato il principale assillo degli ecclesiastici moderni. Forse il tanto predicato “umanesimo integrale” si sta dimostrando più pericoloso dell’originale, così come i peccati contro la Fede più devastanti di ogni lussuria (vera o presunta).
Tratto da: Radio Spada di Luca Fumagalli

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