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Nuova edizione del romanzo storico di Rino Cammilleri dedicato all’impresa nefasta dei massoni ottocenteschi di buttare nel Tevere la salma di Pio IX. Il libro torna in questi giorni nelle librerie con una nuova edizione e con un sottotitolo che è tutto un programma: “Una catena di delitti una setta misteriosa un complotto infernale”
di Giuseppe Brienza, La Croce quotidiano Martedì 17 luglio 2018, p. 5
Dopo “L’inquisitore” (1998), “Sherlock Holmes e il misterioso caso di Ippolito Nievo” (2000), “I delitti della stanza chiusa” (2004), “Immortale odium” è il romanzo storico che preferisco di Rino Cammilleri, libro che torna in questi giorni nelle librerie con una nuova edizione dopo quella originaria di
Rizzoli del 2007 e un sottotitolo che è tutto un programma: “Una catena di delitti una setta misteriosa un complotto infernale” (Gondolin, Verona 2018, pp. 404, € 19).
Ci si potrebbe chiedere come mai un Autore cattolico si dedichi al thriller. Sicuramente con questa “operazione” letteraria il giornalista e scrittore siciliano contribuisce a rompere il pregiudizio di tanti lettori secondo cui il romanzo cristiano è qualcosa di prolisso, barboso e poco moderno.
Nell’opera del “Kattolico” per antonomasia troviamo tutti gli elementi giusti per coinvolgere: misteriosi delitti, una società segreta riesumata, un complotto infernale, la corsa contro il tempo. Il bandolo della matassa viene offerto dal diavolo in persona nel corso di un esorcismo.
Cammilleri rievoca un avvenimento della storia d’Italia dimenticato perché, nella notte del 13 luglio 1881, a Roma, un lungo corteo funebre ha accompagnato la salma del Beato Pio Pio IX dai Palazzi Vaticani alla chiesa di San Lorenzo in Lucina. Ad un tratto, com’è realmente avvenuto, esso viene assalito da una banda di fanatici anticlericali, che vogliono gettare la bara del Pontefice nel Tevere.
Dell’impresa viene celebrato il ricordo attraverso il conio di una medaglia con inciso il motto “Immortale odium et numquam sanabile vulnus”, odio immortale (verso il Papato) e ferita mai sanabile. Passano molti anni e quei reduci vengono uccisi uno a uno. Comincia a indagare Don Gaetano Alicante, ex poliziotto e sacerdote sui generis, insieme al figlioccio don Nicola, di scarsa salute e “troppi pensieri”. Le indagini della polizia sono affidate a un commissario, Giorgio Ribaudo, massone e scettico. Presto entrambi si rendono conto di avere a che fare con un killer abile e mefistofelico, scoprendo che nel napoletano c’è una società segreta che si riunisce in un luogo misterioso, il cui scopo è attuare un piano infernale che mette in pericolo la sicurezza di tutti.
Da questa storia vera, lo scrittore siciliano ha tratto un appassionante thriller storico. Ambientato in un'epoca sconvolta da ideologie violente e passioni mai sopite, nel romanzo s’indaga sugli aspetti più torbidi dell'animo umano e sul lato oscuro del potere. Vale la pena leggerlo anche solo per farsi un’idea di cosa sia stata la massoneria e di quale smisurato odio abbia covato nei confronti della Chiesa e dello Stato Pontificio.
Cammilleri da un lato è attento nel costruire una vicenda solida che mantiene sempre vivo l’intrigo e il complotto; dall’altro non perde occasione, da buon apologeta, di mostrare la verità di una Chiesa che anche se composta di uomini con i loro difetti rimane sempre fedele a Cristo. Il libro è ricco di intensi dialoghi fra tutti i protagonisti, fra cui uno dei migliori è già all’inizio, e vede don Alicante, probabile simbolo della vecchia generazione d’intransigenti al c.d. Risorgimento, spiegare ad un timido don Nicola, che impersona invece la nuova generazione dei concilianti, le motivazioni della iattura di una privazione al Papa di un suo territorio dove essere padrone e stare sicuro (p. 18). Si capisce che don Nicola, incline alle idee liberali del periodo, secondo le quali il potere temporale sarebbe stato solo un “ostacolo” alla purezza spirituale della Chiesa (secondo il ben noto motto cavouriano: libera Chiesa in libero Stato), non vede di cattivo occhio la perdita di Roma da parte del Papato. La Questione romana così, lungi dall’essere risolta, si delinea con nettezza nel romanzo e delinea gli schieramenti tra coloro che ritenevano un bene che il potere temporale fosse scisso da quello spirituale e quelli che pensavano invece correttamente che un Papa senza regno sarebbe divenuto facile preda del potere politico e di potenze straniere.
Nel finale non poteva mancare lo scontro tra la Chiesa e la massoneria, quest’ultima rappresentata dalla figura enigmatica di Nubius, alto “dignitario” massonico il cui profilo psicologico fa’ molto pensare. Nel delineare la strategia a medio e lungo termine per distruggere la Chiesa, questo vecchio capo massone getta infatti squarci abissali sulla mente umana e sulle sue contraddizioni, soprattutto su quanto essa possa essere manipolata e guidata solo dalla brama di potere.
«Quante volte devo dirtelo che ormai nulla ha più importanza? Quello che ho detto avverrà, puoi giurarci sul tuo Dio. Se non oggi, domani. O dopodomani. Ma nessuno può farci più niente», afferma con forza Nubius alla fine di un acceso dialogo con il prete che ha davanti, monsignor Pascale, altro personaggio-chiave del romanzo, assistito da diversi carismi soprannaturali. Ma l’uomo di Dio gli obietta placidamente: «Fossi in te penserei alla mia anima» (p. 393); «No, io tornerò nel Tutto. O nel Nulla, se preferisci chiamarlo così». È ritratta così l’eterna lotta fra l’incredulità e la Fede, che Cammilleri riesce a dipingere con la mano accurata e sicura del vero apologeta.
Davvero impressionante è la mole di fatti storici richiamati nel libro (nella cui appendice bibliografica è menzionato anche l’interessante saggio sull’incompatibilità tra Massoneria e Chiesa Cattolica pubblicato dal Francescano dell’Immacolata padre Paolo Siano sulla rivista “Fides Catholica” qualche anno fa (n. 1/2006). Il tutto conferisce un notevole spessore al romanzo, dotandolo anche di un valore di preziosa “testimonianza” del clima dell’Italia di fine Ottocento. Insomma, come scrive il Kattolico nella sua conclusione: «La storia e la fantasia sono state così intrecciate da rendere problematico indovinare dove comincia l’una e finisce l’altra. Proprio quello che volevo» (p. 397).
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