di Mons. Gino Oliosi
Maria, mamma come tutte le mamme, non si scandalizza di suo Figlio: la sua meraviglia per Lui è piena di fede, è piena di amore e di gioia, nel vederlo così umano come tutti i bambini e insieme così divino
Maria, mamma come tutte le mamme, non si scandalizza di suo Figlio: la sua meraviglia per Lui è piena di fede, è piena di amore e di gioia, nel vederlo così umano come tutti i bambini e insieme così divino
Ritengo utile soffermarmi brevemente sul brano del Vangelo di questa domenica, un testo da cui è tratto il celebre detto, cioè nessuno è bene accetto tra la sua gente, che lo ha visto
crescere (Mc 6,4). In effetti, dopo che Gesù, a circa trent’anni come tutti rabbini, aveva lasciato Nazareth e già da un po’ di tempo era andato predicando e operando guarigioni altrove, ritornò una volta al suo paese e si mise ad insegnare nella sinagoga. I suoi concittadini “rimanevano stupiti” per la sua sapienza e, conoscendolo come il “figlio di Maria”, il “falegname” vissuto e operante in mezzo a loro, invece di accoglierlo con fede si scandalizzavano di Lui (Mc 6,2-3). Questo fatto è comprensibile, perché la familiarità sul piano umano rende difficile un vederlo come sacramento cioè andare al di là e aprirsi alla dimensione divina del suo volto umano. Che questo Figlio di un falegname sia Figlio di Dio è difficile crederlo per loro. Gesù stesso porta come esempio l’esperienza dei profeti di Israele cioè di coloro che nel loro agire e parlare facevano risuonare l’agire e il parlare di Dio, che proprio nella loro patria erano stati oggetto di disprezzo come scusante per non accettare la Parola di Dio, e si identifica con essi. A causa di questa chiusura spirituale, Gesù non poté compiere a Nazareth, come desiderava tanto, “nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì” (Mc 6,5). Infatti, i miracoli di Cristo, come tutti i prodigi divini, non sono una esibizione di potenza, ma segni dell’amore di Dio, che si attua là dove incontra la fede dell’uomo nella reciprocità.
crescere (Mc 6,4). In effetti, dopo che Gesù, a circa trent’anni come tutti rabbini, aveva lasciato Nazareth e già da un po’ di tempo era andato predicando e operando guarigioni altrove, ritornò una volta al suo paese e si mise ad insegnare nella sinagoga. I suoi concittadini “rimanevano stupiti” per la sua sapienza e, conoscendolo come il “figlio di Maria”, il “falegname” vissuto e operante in mezzo a loro, invece di accoglierlo con fede si scandalizzavano di Lui (Mc 6,2-3). Questo fatto è comprensibile, perché la familiarità sul piano umano rende difficile un vederlo come sacramento cioè andare al di là e aprirsi alla dimensione divina del suo volto umano. Che questo Figlio di un falegname sia Figlio di Dio è difficile crederlo per loro. Gesù stesso porta come esempio l’esperienza dei profeti di Israele cioè di coloro che nel loro agire e parlare facevano risuonare l’agire e il parlare di Dio, che proprio nella loro patria erano stati oggetto di disprezzo come scusante per non accettare la Parola di Dio, e si identifica con essi. A causa di questa chiusura spirituale, Gesù non poté compiere a Nazareth, come desiderava tanto, “nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì” (Mc 6,5). Infatti, i miracoli di Cristo, come tutti i prodigi divini, non sono una esibizione di potenza, ma segni dell’amore di Dio, che si attua là dove incontra la fede dell’uomo nella reciprocità.
Dunque, sembra che Gesù si faccia – come si dice – una ragione della cattiva accoglienza che incontra a Nazareth. Invece, alla fine del racconto, troviamo una osservazione che dice proprio il contrario. Scrive l’Evangelista che Gesù “si meravigliava della loro incredulità” (Mc 6,6).Allo stupore dei concittadini, che si scandalizzano, corrisponde la meraviglia di Gesù. Anche Lui, in un certo senso, si scandalizza! Malgrado sappia che nessun profeta è bene accolto in patria, tuttavia la chiusura del cuore della sua gente rimane per Lui oscura, impenetrabile: come è possibile che non riconoscano la luce della Verità? Perché non si aprono alla bontà di Dio, che ha voluto condividere la nostra umanità rendendo visibile l’invisibile? In effetti, l’uomo Gesù di Nazareth è la trasparenza di Dio, in Lui Dio abita pienamente. E mentre noi cerchiamo sempre altri segni, altri prodigi, non ci accorgiamo che il vero segno è Lui, Dio fatto carne, è Lui il più grande miracolo dell’universo: tutto l’amore di Dio racchiuso in un cuore umano, in un volto d’uomo che risorto continua l’incarnazione in volti che agiscono nella Celebrazione eucaristica e nella Confessione nella persona di Cristo. Sacerdote il 29 giugno del 1960, il tre luglio ero in confessionale in attesa della prima confessione. Vedo arrivare mio papà: che cosa vuoi? Confessarmi. Va via. Don Gino so a chi dico i miei peccati e da chi ricevo il perdono attraverso di te. Quell’avvenimento di fede, quella confessione non l’ho più dimenticata.
Colei che ha compreso veramente questa realtà sacramentale è la Vergine Maria, beata perché ha creduto (Lc 1,45). Maria, mamma come tutte le mamme, non si è scandalizzata dei limiti umani di suo Figlio fin dalla nascita: la sua meraviglia per Lui è piena di fede, piena di amore e di gioia, nel vederlo così umano come tutti i bambini e insieme così divino. Impariamo quindi da Lei, nostra Madre nella fede, a riconoscere nell’umanità di Cristo nei limiti del suo corpo che è la Chiesa la perfetta rivelazione della presenza e dell’azione sacramentale di Dio. E beato chi non si scandalizza!
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