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Il 21 novembre 1916 muore il leggendario Francesco Giuseppe. Gli succede suo nipote Carlo. Colui che diviene a soli 30 anni l’imperatore Carlo I d’Austria e il re Carlo IV d’Ungheria era erede al trono della Duplice Monarchia dall’8 giugno 1914, giorno del tragico assassinio di suo zio Francesco Ferdinando, a Sarajevo.
L’Europa è in guerra, e il giovane Carlo è coraggiosamente al fronte dall’inizio delle ostilità. Divenuto imperatore è quindi ben cosciente degli orrori e della disumanità del conflitto in corso ormai da quasi tre anni. È quindi fortemente determinato e pronto a fare di tutto per restituire la pace ai popolo europei.
Una volta proclamato imperatore, Carlo vuole subito mettersi in contatto con l’Intesa per sapere a quali condizioni si potrebbero intavolare le trattative per l’armistizio.
La missione diplomatica viene affidata a due dei fratelli di sua moglie Zita, principessa di Borbone-Parma la cui famiglia (perduto il trono a causa del Risorgimento nel 1859) risiedeva ormai in Austria. Nel 1914, tre fratelli Principi di Parmascelgono di combattere nell’esercito asburgico mentre due sono ufficiali l’esercito belga schierato a fianco della Francia. loro nomi sono Sixte e Xavier.
La duchessa di Parma, madre di Zita, incontra Sixte e Xavier a Neuchâtel, in Svizzera, il 29 gennaio 1917. Questi le consegnano una nota contenente le condizioni a partire dalle quali la Francia acconsentirebbe a un armistizio: restituzione dell’Alsace-Moselle, indipendenza del Belgio, indipendenza della Serbia, cessione di Costantinopoli alla Russia.
Tornati a Parigi, Sixte et Xavier riferiscono dell’incontro a Jules Cambon, segretario generale del ministero degli esteri e William Martin, capo di protocollo al quai d’Orsay.
A Vienna, nel frattempo, Carlo incarica un amico d’infanzia, il conte Erdödy, delle relazioni con i cognati. La prima riunione avviene il 14 febbraio 1917, sempre a Neuchâtel. Erdödy espone il progetto di Carlo: Alsace-Moselle alla Francia, indipendenza del Belgio ripristinata, armistizio con la Russia, fondazione di un Regno slavo federale, integrato in seno alla Duplice (che diventerebbe così Triplice), con un Asburgo sul trono.
Sixte, che ha compreso l’urgenza della situazione, sostiene che un’offerta pubblica di pace sarebbe l’unica garanzia di successo per il progetto imperiale.
Carlo incontra il suo ministro degli Esteri: il conte Czernin. Quest’ultimo, fedele alleato della Prussia, fa capire che senza un accordo preventivo con Berlino è assolutamente infondato discutere di una restituzione dell’Alsace-Moselle alla Francia: sono territori prussiani e spetta solamente al Kaiser Guglielmo (o al campo di battaglia) deciderne le sorti. E il compito di far pressione sul Kaiser incombe su Carlo stesso in quanto Czernin si dichiara contrario.
Il 5 marzo, Sixte e Xavier sono ricevuti dal Presidente della Repubblica francese, Raymond Poincaré. Questi, dopo qualche giorno di concertazione con il Presidente del Consiglio et ministro degli Esteri, Aristide Briand, non può che ribadire le condizioni francesi e ricorda a Sixte e Xavier che l’Intesa appoggia le ambizioni italiane sulle c.d. Terre irredenti.
Il 23 marzo 1917, Sixte e Xavier sono a Laxenburg insieme a Carlo e Zita. L’imperatore si dichiara pronto a far pressione su Berlino e addirittura a rompere l’alleanza tedesca in caso di mancata collaborazione prussiana alla sua volontà di mettere fine al conflitto.
Problema: il conte Czernin si oppone con fermezza a quest’ultima decisione dell’imperatore, il ministro non vuole saperne di porre un ultimatum così deciso alla Germania.
Ciononostante, Carlo trasmette un messaggio alle autorità francesi con la promessa di far il possibile per un accordo con Berlino sull’Alsace-Moselle.
Nel frattempo, a Parigi, Aristide Briand è stato sostituito da Ribot, amico intimo del Presidente della Commissione dell’esercito al Senato: George Clemenceau. Ribot e Poincaré decidono di contattare personalmente l’Inghilterra dell’offerta di pace di Carlo e organizzano un incontro con Lloyd-George, Primo Ministro britannico, a Folkestone, l’11 aprile.
Lloyd-George è entusiasta del progetto e informa immediatamente George V.
Ribot resta tuttavia convinto della necessità di informare l’Italia della trattative.
Il 19 aprile, a Saint-Jean de Maurienne, Sidney Sonnino si dichiara contrario ad ogni ipotesi di pace con l’Austria, facendo valere le clausole degli Accordi segreti di Londra del 25 aprile 1915.
Gli Stati Uniti entrano in guerra, la Francia mette Clemenceau a capo del governo in nome della guerra ad oltranza… dopo numerosi incontri e una fitta corrispondenza, l’Intesa comunica a Sixte e Xavier che le trattative di pace sono ormai definitivamente interrotte.
Il sogno di pace di Carlo si infrange anche contro l’ostinazione bellica tedesca e italiana. La Germania, avendo fiutato la manovra asburgica, aveva già sul tavolo un piano di occupazione di Vienna, un Anschluss del tutto simile a quello che avverrà vent’anni dopo per mano nazista.
Il conflitto sarà deciso in trincea, si combatterà ancora per più di un anno. Un anno che vedrà milioni di morti e un mare di uomini mutilati nel corpo e nello spirito.
Poteva andare diversamente?
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Il margine di manovra di Carlo era forse troppo esiguo per poter giungere a buon fine. I soli Lloyd-George e Poincaré avevano realmente aderito al suo progetto, forse consapevoli che un armistizio secondo le loro condizioni avrebbe reso inutile lo sbarco statunitense in Europa e permesso a Inghilterra e Francia di scongiurare l’ingerenza americana sul continente (ingerenza che si rivelò catastrofica con i famosi 14 punti di Wilson che condizionarono irrimediabilmente il Trattato di Versailles, causa diretta della Seconda Guerra Mondiale).
Tuttavia, Ribot, Clemenceau e le élites militari e borghesi della Terza Repubblica francese restavano ideologicamente troppo ostili agli Asburgo per permettere un armistizio e non avrebbero certo permesso che due giovani come Sixte e Xavier, due Borboni in fin dei conti, potessero vantare meriti e onori sulla fine del conflitto.
Sarà proprio Clemenceau a rendere pubbliche le offerte di pace di Carlo, destabilizzandolo e facendogli perdere credibilità agli occhi dei suoi alleati e dei vertici del suo stesso esercito.
Il governo Italiano, intriso di ideologia massonica, vedeva nel sangue dei suoi soldati (provenienti per la prima volta da tutte le regioni della penisola) l’occasione di una nuova genesi patriottica, fondata sul sacrificio comune e sull’annientamento del nemico. Sonnino e soci (nei loro caldi salotti a bere champagne e caviale) avrebbero preferito far massacrare sul Carso fino all’ultimo italiano arruolabile, piuttosto che concludere un armistizio. Avrebbero preferito veder scomparire l’Italia piuttosto che rinunciare ai loro disegni di potere. Ci penseranno gli americani a Versailles a mutilare le loro folli e disumane ambizioni.
Requiem per un impero defunto
Un secolo fa, cento anni fa esatti, Carlo, un giovane imperatore di trent’anni, aveva cercato la pace. Studiando attentamente la sua storia in questi anni mi sono accorto che il suo obiettivo non erano le condizioni dell’armistizio: conservare, quello o quel territorio. Egli voleva semplicemente cessare la guerra, arrestare quel Suicidio dell’Europa civile che era la Prima Guerra Mondiale.
Come scrisse Stefan Zweig nel suo requiem per l’Austria asburgica (Il Mondo di ieri), pochi se ne accorsero all’epoca, ma l’imperatore asburgico si dimostrò una delle poche figure decenti, umane, nel capitolo più più vergognoso della storia del nostro continente. Stanco e umiliato nel vedere una generazione mandata al macello per futili motivi, Carlo mise in gioco tutto: la sua corona, il suo impero, i suoi averi, la sua immagine, tutto pur di fermare l’orrore. E perse tutto. Morì in esilio, nel 1922, povero, senza nemmeno la legna per accendere il camino della casa che abitava a Madeira con la moglie e gli otto figli.
Carlo, imperatore cattolico, vedeva nell’esercizio del potere un servizio e una responsabilità verso i propri popoli. Visse nella sua professione di imperatore, e nel suo ruolo di padre e marito, la sua vocazione alla santità. Il 3 ottobre 2004 (la sua ricorrenza cade però il 21 ottobre), Papa Giovanni Paolo II, che si chiamava Karol proprio in onore di Carlo (suo padre era ex-ufficiale dell'esercito asburgico), lo ha dichiarato Beato della Chiesa Cattolica: forse il più bel requiem possibile per la Felix Austria che fu.
Tratto da: Cultura Cattolica
Per approfondire:
Tratto da: Cultura Cattolica
Per approfondire:
Mario Carotenuto, Carlo I D'Austria e la pace sabotata (l’intromissione della massoneria per sabotare i tentativi di pace intrapresi durante la Prima Guerra Mondiale dall’ultimo imperatore asburgico).
Romana de Carli Szabados, Finis Austriae (la santità dell'ultimo imperatore).
Romana de Carli Szabados, Finis Austriae (la santità dell'ultimo imperatore).
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