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Pubblichiamo un'intervista a Roberto Dal Bosco autore del libro “Contro il buddismo”, a cura di Arrigo Muscio tratta dal sito: www.genitoricattolici.org
1) Lei ha scritto il libro “Contro il buddismo” che fa stecca nel coro del politicamente
corretto. Secondo il comune sentire infatti il buddismo viene considerato una filosofia
di vita improntata alla pace e all’amore e non una religione; come mai quindi ha sentito
il bisogno di scrivere tale volume?
La nascita del libro ha una sua storia. Quando non avevo neppure diciotto anni, feci un sogno. Sognai che ero su un treno nel deserto, diretto verso delle montagne altissime all’orizzonte. Come il treno aumentava la velocità indefinitamente, mi accorgevo che ai lati della ferrovia vi erano centinaia di corpi di soldati cinesi morti. La visione del sogno poi mi portava in cima ad un dirupo, dove un monaco lamaista guardava il sole e sorrideva. Questo sogno mi toccò profondamente, portandomi ad interessarmi alla questione del Tibet e alle tematiche buddiste. Seppi solo anni dopo che i cinesi stavano costruendo la contestatissima ferrovia PechinoLhasa... Così, negli anni crebbe in me il desiderio di scriverne, così iniziai un romanzo, i cui primi capitoli rimasero nel cassetto. Passarono gli anni, e vidi le mie posizioni sul Tibet e sul buddismo in generale mutare completamente. Così, quando accennai al romanzo ad un amico che aveva contatti con un editore importante, lui mi disse che se invece di un romanzo avessi voluto scrivere un saggio sul lato oscuro del buddismo, lui lo avrebbe fatto pubblicare subito. Così fu, ma l’importante editore, che non nominerò, si tirò indietro all’ultimo, dopo avermi inviato il contratto: d’improvviso, avevano paura. Dovetti aspettare ben due anni prima di trovare un editore coraggioso come Fede & Cultura che mi pubblicasse... Ciò detto, mi sono sempre chiesto perché il bisogno di scrivere un libro del genere non lo abbia sentito nessuno prima. Che il buddismo non sia una religione di pace e amore, ma un culto che ha le sue storie di sangue - come tutti gli altri - è uno di quegli stereotipi totalmente errati che ha invaso la nostra cultura e che ora è impossibile da scrostare. Una recente raccolta di saggi accademici, “Buddist Warfare”, si chiede la medesima cosa che mi sono chiesto io: come è possibile che la gente pensi che la storia del buddismo sia priva di fatti cruenti? I vari cattedratici, forse con le mani legate dal politicamente corretto, non danno una risposta efficace... Le sette buddiste la fanno da padrone ovunque oramai, ammantate di quella insopportabile aura di innocenza e bontà. Il fatto che la società, gli stati ma ancor di più le nostre istituzioni religiose, non trovino il modo di reagire a questa situazione, è di per sé un indice del tremendo stato di disorientamento che stiamo vivendo. Il fatto che il libro stia vendendo abbastanza bene mi dice però che una scintilla da qualche parte ancora cova.
La nascita del libro ha una sua storia. Quando non avevo neppure diciotto anni, feci un sogno. Sognai che ero su un treno nel deserto, diretto verso delle montagne altissime all’orizzonte. Come il treno aumentava la velocità indefinitamente, mi accorgevo che ai lati della ferrovia vi erano centinaia di corpi di soldati cinesi morti. La visione del sogno poi mi portava in cima ad un dirupo, dove un monaco lamaista guardava il sole e sorrideva. Questo sogno mi toccò profondamente, portandomi ad interessarmi alla questione del Tibet e alle tematiche buddiste. Seppi solo anni dopo che i cinesi stavano costruendo la contestatissima ferrovia PechinoLhasa... Così, negli anni crebbe in me il desiderio di scriverne, così iniziai un romanzo, i cui primi capitoli rimasero nel cassetto. Passarono gli anni, e vidi le mie posizioni sul Tibet e sul buddismo in generale mutare completamente. Così, quando accennai al romanzo ad un amico che aveva contatti con un editore importante, lui mi disse che se invece di un romanzo avessi voluto scrivere un saggio sul lato oscuro del buddismo, lui lo avrebbe fatto pubblicare subito. Così fu, ma l’importante editore, che non nominerò, si tirò indietro all’ultimo, dopo avermi inviato il contratto: d’improvviso, avevano paura. Dovetti aspettare ben due anni prima di trovare un editore coraggioso come Fede & Cultura che mi pubblicasse... Ciò detto, mi sono sempre chiesto perché il bisogno di scrivere un libro del genere non lo abbia sentito nessuno prima. Che il buddismo non sia una religione di pace e amore, ma un culto che ha le sue storie di sangue - come tutti gli altri - è uno di quegli stereotipi totalmente errati che ha invaso la nostra cultura e che ora è impossibile da scrostare. Una recente raccolta di saggi accademici, “Buddist Warfare”, si chiede la medesima cosa che mi sono chiesto io: come è possibile che la gente pensi che la storia del buddismo sia priva di fatti cruenti? I vari cattedratici, forse con le mani legate dal politicamente corretto, non danno una risposta efficace... Le sette buddiste la fanno da padrone ovunque oramai, ammantate di quella insopportabile aura di innocenza e bontà. Il fatto che la società, gli stati ma ancor di più le nostre istituzioni religiose, non trovino il modo di reagire a questa situazione, è di per sé un indice del tremendo stato di disorientamento che stiamo vivendo. Il fatto che il libro stia vendendo abbastanza bene mi dice però che una scintilla da qualche parte ancora cova.
2) Perché, secondo lei, vi sono personaggi dello spettacolo che si prodigano attivamente
a favore del sorriso del Budda?
Il sinologo Orville Schell ha analizzato il buddismo hollywoodiano in modo molto perspicace,
utilizzando categorie geopolitiche. Nel caso del buddismo tibetano, il Dalai Lama - che aspira a
divenire un sovrano temporale - necessita di ambasciate in giro per il mondo. La pattuglia di divi
buddisti e filotibetani funziona dunque come una sorta di “ambasciata” del governo tibetano in
esilio. L’idea non è priva di un suo strategico genio: Hollywood, la mecca del cinema, ha
rappresentato per decenni la seconda fonte di entrata dell’export americano, essendo la prima
l’industria aerospaziale. Un ganglio economicamente vitale, e ancor di più la fabbrica dei modelli
antropologici a cui buona parte dell’umanità si assoggetta - dal taglio dei capelli al modo di
sorridere, i divi di hollywood da più di un secolo oramai dettano legge sul globo terracqueo. Un
vero ineffabile soft-power, non di rado pienamente accordato con la volontà politica del
Dipartimento di Stato USA e del grande ordine cavalleresco che regna sugli affari degli USA, la
CIA. La quale ha con il Dalai Lama un filo diretto, come un mese fa ha sostenuto la
Sueddeutsche Zeitung. Il Dalai Lama - che ha ammesso i finanziamenti CIA, e il cui fratello è
risaputamente un agente di Langley - è stato per anni un residuo della Guerra Fredda. Ora che
la Cina fa davvero paura, ecco che lo ritirano fuori per destabilizzare la regione, che è ricca di
acqua, e, più a nord in Xinjiang, di petrolio.
Per quanto invece riguarda altri movimenti buddisti e la loro propensione alla conversione delle
star, la loro operazione ha lo stesso scopo. Va forte, nel mondo dello spettacolo e della moda in
Italia ma ora pure nel cinema USA, la giapponese Soka Gakkai. Quante persone possono
decidere di vincere le proprie diffidenze rispetto ad un invito ad entrare nel movimento quando ti
viene presentato con il volto sorridente di Roberto Baggio o di Orlando Bloom?
La tecnica non è diversa da quella usata da Scientology: prima converti le star, poi gli altri
verranno. Noto che il narcotraffico ai suoi albori pure ebbe la stessa idea: dare prima la cocaina
alle star (come visibile in un film sull’argomento, Blow) per poi attrarre nel disastro della droga
l’uomo della strada.
3) Nel suo scritto si accenna anche a scandali sessuali che hanno coinvolto “religiosi
buddisti”; come mai tali scandali, diversamente da quelli che accadono in campo
cattolico, non sono ampiamente pubblicizzati?
I casi di abuso sessuale perpetrati dal clero buddista - per lo meno da quello di scuola tantrica -
presentano una situazione ben più preoccupante, in quanto l’abuso, e talvolta persino il
femminicidio, è prescritto in alcuni testi sacri per i buddisti vajrayana - la tradizione del Dalai
Lama per intenderci. Gli abusi quindi, in questi casi non sarebbero da ascriversi all’opera
perversa di un “prete” peccatore che va contro i suoi voti, ma anzi, sono da leggersi come un
tentativo di andare sino in fondo agli insegnamenti dei suoi maestri. L’abuso come “preghiera”,
in sostanza - qualcosa di assolutamente attinente alla magia nera.
Quanto al clamore degli scandali sessuali presso i cattolici, sposo in pieno la teoria dello
studioso protestante Philip Jenkins, che dati statistici alla mano ha dimostrato che gli abusi
presso i cattolici sono percentualmente quasi la metà di quelli commessi nelle altre confessioni.
Sposo anche la teoria che vuole che la questione dei preti pedofili sia solo uno dei tanti volti
dell’immane attacco portato contro Benedetto XVI, perpetrato mezzi di propaganda già
ingegnati orrendamente dal grande stratega della comunicazione del III Reich Goebbels, che
montando una campagna identica a quella che vediamo oggi voleva screditare la Chiesa
Cattolica dopo l’enciclica Mit brennender Sorge con la quale Pio XI condannava il pensiero
nazista. Davanti a Benedetto XVI che mette sotto accusa il relativismo, gli si risponde allo
stesso modo, anzi con ancora più violenza. Il fatto che abbiano copiato un vecchio piano
nazista però ci dice anche che i nemici della Chiesa stanno esaurendo fantasia e creatività. A
suo modo, un buon segno.
4) Nel suo libro viene evidenziato il fatto che all’interno del buddismo si agitano molti
demoni. Può spiegare per quali ragioni tale religione è intrisa di magia nera e di
adorazioni diaboliche?
C’è da dire che l’intero edificio del buddismo lamaista, per esempio, si basa su antichi riti
prebuddisti, di cui ha salvato tutto il pantheon di esseri preternaturali. La leggenda della
conversione del Tibet, per esempio, è illuminante. Il “santo” Padmasambhava affrontò i demoni
locali ma non li scacciò, come ad esempio si legge nei Vangeli: li sottomise, come peraltro
insegnano a fare i grimori della magia nera nostrana. Il buddismo tibetano coabita con i demoni,
che anzi sono destinatari di preghiere e riti, o ancora di più, sono veri motori di azione politica:
non è noto infatti, anche se visibile in film come Kundun, che importanti decisioni del governo
tibetano sono prese dagli “oracoli”, che altro non sono che persone che, durante apposite
cerimonie, vengono possedute dai vari demoni del Tibet che fanno così saper cosa consigliano
di fare.
In buona sostanza, una “demoniocrazia”.
Queste pratiche non sono da considerarsi come degli aspetti folcloristici: da queste cerimonie di
possessione sono sorte numerose decisioni importanti per la storia della compagine del Dalai
Lama, come la decisione di riparare in India o la “guerra” contro i compagni lamaisti seguaci del
demone Shugden, che ora nella capitale in esilio Dharamsala sono privati dei diritti civili.
Al di là del caso tibetano, c’è da dire che in tutto il buddismo, ad attirare i demòni è sicuramente
il vuoto. Perché il vuoto è di per sé un concetto antitetico al creato. Laddove noi pensiamo vi sia
il vuoto, si può infilare il demonio, e continuare ad agire indisturbato. Per questo, sostengo che il
Nulla buddista sia una “maschera”. Una maschera che può indossare chi vuole la distruzione
del creato e dell’umanità. Lo stesso concetto di nirvana - cioè di estinzione - è di per sé il
precipuo programma dell’Inferno: lo sterminio della razza umana, il fratello minore cui il Signore
ha dedicato tutto il suo amore e la sua attenzione. Di qui le corrispondenze tra buddismo e la
cultura dell’aborto, che ho tentato di indagare nel libro in un capitolo dedicato alla questione
dell’aborto in Giappone.
1 commento:
Esemplare analisi controcorrente, e perciò validissima. Complimenti.
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