di Alessandra Scarino
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Considerato da molti il più grande matematico del XX secolo, Alexander Grothendieck
appartiene a quella luminosa schiera di geni del secolo scorso che, operando nei più
diversi ambiti della scienza, seppero intuire gli inscindibili legami tra fede e scienza e
ricercarono nel campo loro proprio una visione unitaria della molteplicità della vita nelle
sue componenti materiali e spirituali. Una visione contraddistinta da un’apertura, a partire
dalle cose create, allo “splendore che ci trascende”.
Recita proprio così il titolo dell’agile e breve
volumetto che Francesco Agnoli ha dedicato al matematico: “Lo splendore che ci trascende.
Alexander Grothendieck l’Einstein della matematica alla ricerca di Dio”.
Paragonato ad Einstein, che perseguì lo stesso sentiero di apertura al mistero e allo splendore
del cosmo nel campo della fisica, Grothendieck seguì un iter di studi, di ricerche, di impegno
— costantemente confermati da numerosi riconoscimenti sistematicamente rifiutati dal
matematico — che dilatarono sempre più la sua fede e la sua apertura al trascendente, fino
all’abbandono della ricerca scientifica e al ritiro dal mondo per condurre una vita eremitica
e centrata sulla più sobria e spoglia essenzialità.
Il matematico, ci racconta Agnoli, non ebbe una vita felice. In particolare la sua infanzia fu
segnata da una desolazione affettiva che determinò il suo carattere e la sua visione del mondo.
Nato il 28 marzo 1928 a Berlino da Alexander Shapiro, un ebreo russo-ucraino, anarchico
comunista, che subì prima le persecuzioni, con lunghi periodi di prigionia, da parte dei
comunisti bolscevichi e poi da parte dei nazisti — verrà arrestato ad Auschwitz dove morirà
nel 1942 — , e dalla tedesca Hanka Grothendieck, spirito libero e avventuroso, infiammato
dalla causa rivoluzionaria, Alexander cresce in un ambiente famigliare freddo e distante. Le
idee dei suoi genitori sono quelle libertarie di gran parte degli anarchici dell’epoca. All’inizio
della persecuzione nazista viene affidato prima al pastore protestante Heydorn, e poi al pastore
André Trocmé in Francia, allora a capo di una rete di collegamenti e aiuti reciproci tra
le più diverse comunità e istituzioni di laici e religiosi impegnati a difendere gli ebrei perseguitati.
Nel Dopoguerra Alexander si immerge anima e corpo nello studio della matematica, legandosi
al milieu parigino, allora effervescente cenacolo di nuovi orientamenti e di rivoluzionarie
scoperte. Il matematico inizia a respirare un’aria nuova e inebriante, in cui la scienza esce
poco a poco dai riduttivi schemi positivisti per volgersi verso una “visione di armonia globale”
dell’universo. La scoperta progressiva di questa unità di fondo, che è il grembo immutabile
in cui trascorrono tutti i fenomeni, secondo regole matematiche supreme quanto a perfezione
e a logica, avvicina sempre più il destino di Alexander ad un altro grande matematico
mirabilmente “sopraffatto” dal miracolo della fede: Blaise Pascal.
Soprattutto a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso, il matematico inizia a restringere gli
spazi dei suoi studi, per orientarsi ad una vita di fede e di contemplazione spirituale. Anche
se questa maturazione sarà lenta e graduale, possiamo datare agli anni Ottanta la sua opzione
definitiva per la fede cattolica, sulla scia dell’esempio della mistica cattolica francese
Marthe Robin e dei Padri del Deserto, imitati nella pratica dei lunghi digiuni, nella contemplazione,
nella preghiera e nella vita eremitica in un piccolo villaggio dei Pirenei. Il 13 novembre
del 2014 Grothendieck muore e subito gran parte della stampa gli dedica grandi
elogi e celebrazioni, sia per la sua vita avventurosa e appassionata, sia per la qualità delle
sue scoperte matematiche e per la ricchezza e versatilità del suo pensiero.
Le sue più nobili ed elevate meditazioni spirituali sono contenute nel volume “La Clef del
Songes” ove attribuisce a Dio la parte di un Direttore d’orchestra che dirige un concerto, al cui
interno noi siamo come musicisti e cantori in grado di «cogliere al volo dei frammenti sparsi
di uno splendore che ci trascende e al quale, ciò nonostante, misteriosamente partecipiamo
anche noi». L’esempio di questo grande matematico illumina l’armonia tra fede e
ragione: la ragione umana riconosce le “prove” dell’esistenza di Dio e la fede, sulle sue orme,
apre la mente e il cuore all’ascolto della Sua Voce e alla contemplazione del suo mistero. Di
qui la nascita di una creatura nuova, che finalmente, nel disordine apparente di un’esistenza
buia e alla deriva, trova il suo centro, il suo fine e la sua stabilità.
Tratto da: Alessandra Scarino del settimanale cattolico della diocesi di Trieste "Vita Nuova"
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