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Per le lande culturali dell’Inghilterra d’inizio Novecento si aggirava uno strano animale, un esemplare unico degno di un bestiario medievale. La mole era imponente e l’aspetto, nel complesso, risultava alquanto sgraziato, decisamente poco attraente. Non senza una nota d’ironia, George Bernard Shaw aveva battezzato questo ircocervo della carta stampata “Chesterbelloc”, fondendo in un’unica etichetta grottesca i nomi dei due uomini che lo componevano, amici fraterni e intellettuali cattolici di primissimo ordine: G. K. Chesterton e Hilaire Belloc.
Se Chesterton ha ormai raggiunto in Italia una certa notorietà, con nuove edizioni e ristampe delle sue opere che si susseguono ogni anno a ritmo vertiginoso, non così Belloc (1870-1953) che continua a rimanere nell’ombra, colpevolmente confinato nel ruolo di eterno subalterno.
Eppure quest’ultimo, oltre a essere stato giornalista e polemista, fu uno scrittore di vaglia, straordinariamente prolifico, che si cimentò nei generi più disparati (anche se la sua fortuna rimane oggi soprattutto legata alla vasta produzione di ambito storico). Con Chesterton condivideva un certo gusto per l’anticonformismo e il desiderio di fare della cultura un’arma a sostegno della verità di Cristo e della sua Chiesa. Amante dei fatti più che delle parole, in politica si spese a più riprese per sostenere i diritti degli ultimi e degli oppressi.
Tra i testi più interessanti di Belloc, che si discosta dal tipico filone anti-Tudor dell’apologetica “papista” inglese, vi è Napoleone (1932), un appassionante ritratto del celeberrimo generale francese, di quell’uomo minuto, brillante stratega, che arrivò a un passo dall’unificare l’Europa sotto un unico potere.
La precisione didascalica e il brio espositivo – con numerosi aneddoti ed ellissi descrittive – si fondono in un volume che ha innanzitutto come scopo quello di far immergere il lettore nello spirito del tempo, portarlo per mano sui campi di battaglia, a stretto contatto con quegli uomini che fecero la storia. Belloc alterna affondi monografici sui principali protagonisti a capitoli di ampio respiro, ora interessato a cogliere i risvolti ideologici degli avvenimenti, ora interamente dedito a narrare i principali scontri, con tanto di vivide rappresentazioni paesaggistiche e minuziosi resoconti dei piani di guerra. Il risultato è un testo frammentario, ma tutt’altro che incoerente, volutamente affrancato da una rigida esposizione cronologia per privilegiare la coerenza ideale dei fatti.
L’amore per il rischio, la velocità di manovra del proprio esercito e il desiderio di affermazione personale furono le carte che permisero al giovane corso, quasi uno straniero in patria, di arrivare addirittura a diventare Imperatore dei francesi. Finché vinse, con le armi fu in grado di tenere sotto controllo un territorio vastissimo, che subito si sgretolò quando i fucili dei suoi soldati iniziarono a non essere più efficaci come ai gloriosi tempi dell’Armata d’Italia, di Austerlitz o di Jena. Dotato di intelligenza, eccezionale energia e volontà, Napoleone dovette pagare lo scotto di una flotta inadeguata e di un nemico troppo duro da battere, disposto anche a mettere da parte rancori decennali pur di disfarsi dell’incomodo francese. Commise anche la leggerezza di sottovalutare il fattore religioso, un elemento che non poteva essere trascurato da chi puntava a unificare l’Europa. Almeno tornò alla Fede poco prima di morire, quando si spense fissando con trepidante attesa il crocifisso d’argento posto sull’altare domestico.
Napoleone, titolo già approdato in Italia ma da parecchi anni fuori commercio, è stato appena ristampato da Fede & Cultura, casa editrice cattolica di Verona.
Non vi sono dunque più scuse per trascurare questo libro illuminante, mai banale, che costituisce tra l’altro un’ottima occasione di confronto con il presente, un tempo in cui il sogno di un’Europa unita è nuovamente attuale. L’unica cosa da evitare è che essa diventi pericolosamente simile a quel caos senz’anima che fu l’Europa di Napoleone.
Tratto da: Luca Fumagalli su Radio Spada
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