La neo-Chiesa di Rahner e la resa al mondo

Stralci della relazione che il professor Stefano Fontana avrebbe dovuto tenere in una conferenza il 2 febbraio a Ferrara, poi annullata.

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(...) La Chiesa ha bisogno della teologia, perché da essa dipende la sua coerenza nella visione e nella trasmissione della verità rivelateci da Gesù Cristo. Queste infatti hanno bisogno prima di tutto di essere comprese e possono essere fedelmente trasmesse solo se vengono comprese rettamente e questa retta comprensione viene poi difesa (apologia). Per tutto questo la Chiesa ha bisogno della teologia. (...)


La Chiesa coltiva e tramanda un sapere – non una gnosi ma un sapere - e per questo ha bisogno della luce della teologia. La teologia, però, si avvale dello strumento della filosofia come ricordato anche dalla Fides et Ratio. Non è possibile fare teologia senza utilizzare la concettualità filosofica, e quando si pretendesse di prescindere da ciò si finirebbe ugualmente per utilizzare, anche all’insaputa, qualche filosofia. Da qui deriva la questione grave cui facevo riferimento: se vengono utilizzate filosofie incompatibili con la fede cristiana è possibile che la consapevolezza che la Chiesa ha di sé e delle verità rivelate e da trasmettere nella loro corretta comprensione cambino. E’ possibile una visione diversa delle verità del depositum fidei.

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Ammettiamo che nei seminari si inizi ad insegnare filosofie sbagliate, o incomplete sul piano razionale e dannose per la fede sul piano teologico: ne deriverà che i seminaristi, che poi diventeranno sacerdoti e qualcuno di loro diventerà anche vescovo, vengano non formati ma deformati. Ammettiamo che questo fenomeno si allarghi a macchia d’olio e che salga ai vertici ecclesiastici… allora potremmo ritrovarci a credere in una Chiesa diversa, senza essercene nemmeno accorti, in modo graduale, per convinzione e non per costrizione, dall’interno della Chiesa e non dall’esterno. Potremmo non solo dimenticare ma anche dimenticare di esserci dimenticati. Potremmo essere condotti a credere in una religione nuova pensando di credere ancora in quella dei nostri genitori e degli apostoli. In questo caso nella Chiesa si potrebbe verificare una apostasia diffusa, silenziosa, convinta ma in modo inconsapevole, non avvertita.

Ciò che si proponeva il modernismo era in fondo proprio questo. Esso fu un fenomeno squisitamente filosofico, prima che teologico, che si proponeva di cambiare la Chiesa attraverso la Chiesa stessa, in modo consenziente e apparentemente innocuo, per una specie di evoluzione del pensiero teologico stesso. La rivelazione avverrebbe nell’autocoscienza credente dei fedeli e, cambiando la filosofia, questa autocoscienza credente si evolverà verso esiti nuovi. I credenti potranno credere senza più credere. 

Facciamo il caso di alcuni tra i problemi più scottanti oggi nella Chiesa. Se si adopera la filosofia proposta dalla Fides et Ratio e, nella sostanza, da sempre utilizzata dalla Chiesa, vale a dire una filosofia capace di sguardo metafisico, il peccato è la morte dell’anima e non si può accedere alla Comunione in questo stato; l’adulterio è un atto intrinsecamente ingiusto e non ci sono situazioni che lo rendano accettabile agli occhi di Dio; la contraccezione è una forma di violenza che contraddice la finalità unitiva del matrimonio; l’omosessualità è contraria alla legge del Creatore e quindi non può essere riconosciuta dall’autorità politica né benedetta dalla Chiesa … e così via.

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Ma se si parte invece da una filosofia esistenzialista, allora il quadro cambia completamente: il peccato non è la morte dell’anima perché quello di anima è un concetto metafisico obsoleto; il peccato è un concetto ambiguo perché nell’esistenza concreta, date le molteplici interferenze subite, non si può mai sapere quando si è in stato di peccato; l’adulterio va giudicato nelle situazioni circostanziali e non in assoluto perché non esistono “i divorziati risposati” ma questo, quello, quell’altro divorziato risposato (come disse il cardinale Kasper ai Sinodali); la legge naturale fa seguito al concetto di “natura” che però è campato in aria dato che, esistenzialmente parlando, l’uomo è solo e tutto esistenza; un percorso di discernimento per i divorziati risposati diventa allora possibile anche con l’accesso all’Eucarestia pur rimanendo nella situazione di convivenza more uxorio, perché nell’esistenza tutto è reversibile ed è impossibile formulare giudizi su situazioni oggettive di peccato, dato che queste non esistono ma esistono solo storie personali da accompagnare una ad una senza giudicare. Come si vede, una diversa filosofia fa vedere le cose della morale e della fede in modo molto diverso. Cambiando la filosofia di approccio, cambiano anche la dogmatica e la morale.

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Sono abbastanza sicuro che questo processo non solo è in corso ma anche che è molto avanzato. Mi tranquillizza il fatto che la Chiesa possiede risorse inimmaginabili da noi, però non riesco a non preoccuparmi per le conseguenze che questo processo comporta. Se mi guardo intorno devo riscontrare molti segnali di questo cambiamento. La pastorale è diventata dottrina più della dottrina: vengono sanzionati coloro che non si allineano alla pastorale e non coloro che non si allineano alla dottrina, che invece vengono premiati. Il magistero invece di confermare nella fede tende a seminare dubbi, con l’idea che un cattolicesimo non inquieto sia meritevole di sospetto. Su molti elementi tradizionali della dottrina sia dogmatica che morale si tergiversa, li si dimentica oppure li si contraddice: chi può parlare di principi non negoziabili oggi, dopo soli alcuni anni dalle “dimissioni” del Pontefice che ha coniato l’espressione? La Chiesa si apre al mondo, però anche con i pranzi in navata, con l’indifferenza rispetto alle collaborazioni con gruppi e singole personalità anticristiane (bisogna collaborare con tutti, si dice), con l’accettazione da parte di tanti dell’agenda radicale (chi avrebbe mai pensato che fosse ritenuto possibile essere cattolici e radicali nello stesso tempo?), mentre si assolutizzano temi discrezionali (come lo ius soli) e si relativizzano temi assoluti o quanto meno non li si presenta più come tali. Il come è diventato più importante del cosa: impegni pubblici dei fedeli per una buona causa vengono liquidati perché il modo non sarebbe dialogante ma “muscolare”. Influire sulle leggi tramite una presenza pubblica di fede sarebbe da considerarsi ideologico ed infatti nel nostro Paese sono state di recente approvate leggi profondamente ingiuste anche con il voto di parlamentari cattolici nel totale silenzio dei vertici ecclesiastici.

Bastino questi pochi cenni a mostrare che il processo di cui parlavamo sopra è in uno stadio piuttosto avanzato di sviluppo. Sono i segni della “Nuova Chiesa di Karl Rahner”. L’ingresso nella teologia cattolica di concetti filosofici con essa incompatibili ha molti profeti e padri, ma il principale è senz’altro il teologo tedesco Karl Rahner, morto nel 1984, che ha rinnovato totalmente la comprensione della fede cattolica e che ha influito enormemente sulla teologia contemporanea e sulla prassi ecclesiale in modo diretto e in modo indiretto tramite i suoi allievi  e sostenitori – molti dei quali oggi vescovi e cardinali – e tramite le varie scuole filosofiche che si sono diramate dal suo pensiero. Per citare un fatto recente: il prof. don Maurizio Chiodi che qualche settimana fa ha sostenuto che la contraccezione in alcuni casi è persino doverosa, contrastando così la Humanae vitae di Paolo VI, di cui peraltro si sta programmando una revisione, ha fatto proprio riferimento alla “svolta antropologica” di Rahner. Già nel 1972 Rahner aveva avanzato molte delle pretese dell’attuale progressismo cattolico: parroci eletti dal basso, sacerdozio femminile, possibilità per un cattolico di votare a favore dell’aborto, preti sposati, non obbligatorietà del precetto festivo espresso in un Comandamento.

Cosa sta all’origine della svolta rahneriana? Sta l’accettazione della filosofia di Kant, di Hegel e di Heidegger soprattutto. Il punto fondamentale può essere espresso così: la rivelazione di Dio avviene in modo completamente storico e l’uomo la apprende da dentro la sua situazione storica ed esistenziale. Certamente anche la Chiesa ha sempre parlato di una storia della salvezza, Dio si rivela mediante eventi storici, compreso l’evento Gesù Cristo, ma in questo modo Dio rivela verità a-storiche, eterne, assolute, che non sono soggette al cambiamento storico dato che della sua parola nemmeno uno Iota passerà. L’uomo che ascolta il messaggio di Dio e che segue Gesù Cristo ha accesso all’immutabilità delle verità e delle realtà cui Dio ha voluto renderlo partecipe. Nella storia l’uomo ha accesso alla trascendenza, sia sul piano della conoscenza sia sul piano della vita di grazia. L’uomo è storico, ma non completamente, egli è “capace di Dio” e Dio lo conferma in questa sua capacità sollevandolo su un piano metafisico.

Nella nuova prospettiva rahneriana non è più così. L’uomo è solo storia e Dio non si rivela con dei contenuti di verità metastorici, con una dottrina che rimanga immutata, rivelando dei dogmi che la Chiesa fissa in modo eternamente valido. Dio si rivela nell’apriori esistenziale in cui l’uomo si trova inserito. L’uomo è totalmente storico perché egli è dentro i problemi che si pone, ne fa parte, non vede dall’alto le cose ma dall’interno e quindi non ha uno sguardo disinteressato e oggettivo, ha sempre qualcosa alle spalle che orienta e relativizza la sua esistenza. Dio si rivela lì, nelle esperienze, nei fatti, negli incontri, nei processi, nei successi, nei problemi, nelle difficoltà che l’uomo incontra vivendo semplicemente da uomo accanto ad altri uomini.

La prima cosa da osservare è che Dio si rivela non nella Chiesa ma nel mondo. Anche nella Chiesa ma nel senso che anche essa è nel mondo. La storia della salvezza non comincia con Abramo, ossia con la storia sacra, ma è cominciata da subito nella storia dell’umanità ossia come storia profana. Non c’è differenza tra storia sacra e storia profana. La Chiesa non ha privilegi o primogeniture. Su molte questioni che interessano a Dio il mondo è più avanti della Chiesa e la Chiesa deve imparare dal mondo.

Il rapporto tra la Chiesa e il mondo cambia: la Chiesa non ha come compito di salvare il mondo e di infondergli qualcosa che essa sola ha, perché Dio si rivela ed è presente anche fuori della Chiesa, nell’esistenza in quanto tale, è presente prima che l’uomo faccia la scelta di credere o non credere. Dio è presente prima della scelta religiosa o della scelta atea, è presente prima della scelta per l’una o per l’altra religione. Non è la scelta religiosa che apre a Dio e non sono le scelte atee che chiudono a Dio. Il credente cammina insieme al non credente e ai credenti delle altre religioni perché Dio si rivela non enunciando dei contenuti nozionali, un Credo, Dio si rivela atematicamente a tutti gli uomini.  

Nasce qui la nozione di “cristiani anonimi”. Dio si rivela non nelle risposte ma nelle domande. L’esistenza è questionabile e in questo questionare si rivela Dio in quanto nel questionare l’uomo fa esperienza di Dio, di qualcosa che non può essere chiuso in un concetto, in una definizione dogmatica, in una formula. La questionabilità è di tutti e quindi tutti sono cristiani anonimi, senza sapere di esserlo e senza chiamarsi così. La Chiesa deve essere aperta a tutti: ai credenti, agli atei, ai credenti nelle altre religioni, ai credenti in altre culture o in altri stili di vita, senza più barriere all’ingresso. Deve essere aperta a tutti non solo in senso pastorale ma in senso dottrinale. Il concetto di eresia sparisce e della Chiesa fanno parte tutti, anche quelli che negano Dio. La comunità cristiana è una comunità di uomini e niente di più.

Le cattedre dei non credenti, il sincretismo del dialogo interreligioso, l’idea che non ci debba più essere il regolare e il non regolare nella Chiesa, la prassi ormai abituale di mettere in questione tutto tranne la questionabilità, l’idea che la Chiesa docente debba imparare dalla Chiesa discente e che la Chiesa debba porsi solo in ascolto del mondo, la celebrazione della Pentecoste come “festa dei popoli” e non come festa del “Popolo nuovo” nutrito dallo Spirito Santo, la secolarizzazione delle liturgia …  trovano in queste idee di Rahner la loro origine.

La rivelazione non è finita, ma è una continua evoluzione storica. I dogmi non sono verità universalmente e assolutamente vere fuori della situazione esistenziale in cui vengono compresi. E la comprensione del dogma fa parte del dogma stesso, perché l’uomo non conosce mai in modo assoluto, ma sempre conoscendo insieme all’oggetto anche se stesso come soggetto. Ecco perché oggi molti pensano che si debba interpretare il magistero precedente alla luce di quello più recente, che il Vaticano II imponga di rileggere tutta la tradizione cattolica alla luce della modernità, che l’ultimo pontificato sia la chiave di lettura di quelli precedenti. Nasce così una specie di “positivismo cattolico”: ogni evento ecclesiale o magisteriale, in quanto è l’ultimo, ha anche in sé la propria giustificazione ed è esso a gettare luce sulla tradizione e non viceversa. E’ evidente che in questo modo del dogma si dà una interpretazione storicistica ed evoluzionistica e che il concetto di tradizione viene completamente svuotato. Tutti siamo in cammino verso una religione sempre nuova, la categoria dei segni dei tempi diventa ambigua e fuorviante, le differenze tra le religioni sbiadiscono ed anche i confini tra fede ed ateismo.

Tra tutti gli ambiti che abbiamo esaminato, quello che forse risulta oggi più di spinta verso la “nuova Chiesa di Karl Rahner” è la priorità assunta dalla pastorale rispetto alla dottrina. E’ la conclusione di un lungo processo di pensiero che è cominciato molto tempo prima con la priorità dell’esistenza sull’essenza, e della volontà sull’intelletto. Un tempo si pensava che si agisse in base a ciò che si è (agere sequitur esse) e che si opera in base a ciò che si pensa. In seguito, invece, si è pensato che si è in base a cosa si fa e che si pensa in base a come si opera. E’ capitato così che la pastorale non è più intesa come applicazione della dottrina, ma diventa essa stessa fonte di dottrina. La prassi della Chiesa diventa prioritaria rispetto alla sua dottrina. I vescovi si intendono come pastori nel senso di curarsi delle pecore ma non più nel senso di proteggerle dai lupi. Spesso gli autori di scelte pastorali strane ed eccentriche sono presentati come profeti di una nuova dottrina. Se un sacerdote di strada dice eresie ma aiuta i tossicodipendenti è considerata da apprezzare. Del sacerdote che sta ore in confessionale e non ha fondato nessuna opera di assistenza sociale in convenzione col comune è considerato inattuale. 

(...) L’esistenza non presenta elementi strutturali sempre uguali, ma una polvere di situazioni tutte diverse con cui bisogna entrare in rapporto individuale. Da qui l’emergenza del discernimento pastorale privo di categorie, cieco in un certo senso, perché proprio dalla prassi del discernimento emergerà qualche verità condivisa. Nella priorità della pastorale sulla dottrina si evidenzia come la Chiesa di Rahner sia veramente “nuova”, una neo-Chiesa che ha poco o nulla a che fare con la Chiesa. Si comprende così anche la divisione ormai endemica dentro la Chiesa, la incomprensione reciproca, a partire dal linguaggio adoperato. Su molte cose ormai non ci si capisce più.
Tratto da: La Nuova Bussola Quotidiana

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