Intervista a Monsignor Antonio Livi, tratta dal Blog Chiesa e post concilio
In una delle recenti interviste rilasciate, lei ha parlato di “adulatori di Bergoglio”. Lo scontro dottrinale, in sintesi, sembra essere destinato a non placarsi…
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“La descrizione del mondo cattolico come diviso ideologicamente tra amici e nemici di papa Francesco è una fake news. Tutti i fedeli cattolici hanno il dovere di essere amici del papa, chiunque egli sia in un determinato momento della storia. Come vicario di Cristo, il papa non ha bisogno di essere difeso da immaginari “nemici interni”, così come non ha bisogno di essere adulato per il suo modo di esercitare l’autorità pontificia, perché tutti i fedeli cattolici lo venerano e gli obbediscono in quanto vedono in lui «il dolce Cristo in terra», come diceva santa Caterina da Siena. Ma di ogni papa si possono criticare certe azioni di governo che sembrano meno utili all’edificazione della Chiesa nella fede, così come si possono criticare i discorsi che egli fa parlando come “dottore privato”, senza impegnare l’autorità magisteriale e il carisma dell’infallibilità”.
Cosa ne pensa del documento predisposto da tre vescovi kazaki, poi sottoscritto anche da Pujats, Negri, Viganò e Laun, su “Amoris Laetitia”?
“Essendo una “professione di fede” il cui oggetto sono le norme di morale cattolica derivanti dal dogma sui Sacramenti della grazia (Battesimo, Matrimonio, Penitenza, Eucaristia), tale documento è una cosa normale da parte di persone che sono vescovi, e come tali hanno il compito essenziale di essere “maestri della fede”. Da un punto di vista pastorale, quel documento viene incontro alla necessità di dissipare i dubbi che certe interpretazioni dell’esortazione post-sinodale Amoris laetitia hanno provocato”.
Tra i laici, specie tra quelli che vengono definiti “conservatori”, sta aumentando la preoccupazione per l’approccio della Chiesa sul tema dell’immigrazione. Alcuni hanno definito la teologia di Bergoglio una “teologia dell’immigrazionismo”. C’è un pericolo di perdita identitaria a causa dell’immigrazione incontrollata?
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“Quello che Lei chiama “immigrazionismo” non è una teologia ma un progetto politico mondialista con evidenti interessi economici legati al neocapitalismo finanziario. Papa Francesco talvolta sembra appoggiare questo progetto perché lo ritiene assimilabile alla dottrina sociale della Chiesa. Ma dai principi della legge morale naturale e del Vangelo non deriva affatto l’obbligo per i singoli e per la comunità di favorire un’immigrazione indiscriminata e senza regole che destabilizza tanto i Paesi dai quali provengono i migranti quanto quelli che ne subiscono l’invasione. Senza parlare del pericolo reale di islamizzazione dei questi ultimi Paesi a detrimento della libertà di culto dei cristiani, già perseguitati lì dove l’Islam è politicamente egemone. So che Lei ha seguito attentamente questa drammatica vicenda e quindi capisce a che cosa mi riferisco”.
Un altro argomento molto dibattuto è quello relativo al cosiddetto “ius soli”, che riguarda ovviamente anche l’immigrazione. Molti, tra cui anche il cardinale Burke, sostengono la necessità di una non ingerenza da parte della Chiesa. Ha una posizione in merito?
“Le parole che ho letto nella sua intervista al cardinale Burke sono assolutamente giuste ed equilibrate. Come ogni uomo di fede e di dottrina, e come ogni Pastore responsabile dell’annuncio del Vangelo, Burke ha opportunamente ricordato che le scelte discrezionali su temi politici opinabili vano lasciate ai partiti politici, ai parlamenti, ai governi, rispettando il pluralismo democratico e l’autonomia die poteri civili”.
Tra le sue pubblicazioni, si può trovare: “Cristo non è Marx”. Ecco, l’impressione è che per alcuni Cristo sia diventato un simbolo politico di eguaglianza assoluta e ideologica. È ancora diffusa la teologia della liberazione?
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“Purtroppo sì. La cosiddetta «teologia della liberazione» è nata in Germania, in ambito luterano, e poi è stata introdotta nella teologia cattolica da Johann Baptist Metz. Da lui sono poi derivate le dottrine filomarxiste dell’America Latina, a cominciare da quella del peruviano Gustavo Gutiérrez. Ѐ un’ideologia che interpreta in termini politici e materialistici il «Regno di Dio» annunciato da Cristo come evento di grazia nell’anima dei singoli credenti («il Regno di Dio è dentro di voi»), ed è diventata l’arma propagandistica di tutte le forme di azione politica che mirano alla conquista del potere negli ambienti sociali dover il richiamo al Vangelo suscita un facile consenso. Ma il Vangelo vero non promuove alcuna costruzione di “paradisi in terra”
La Chiesa è divisa. Questo è un argomento difficilmente smentibile. Secondo lei, però, c’è una tendenza giornalistica ad enfatizzare il tutto? Insomma, “la barca” è o non è nella “tempesta”?
“Certo che ci sono tante divisioni nella Chiesa, come sempre ce ne sono state. Ma quelle più appariscenti riguardano l’uso e l’abuso che le lobbies ideologiche fanno delle strutture di potere della Chiesa per sostenere le loro istanze politiche, non importa se di destra (conservatori, tradizionalisti) o di sinistra (progressisti, riformisti). Gli uni e gli altri mirano a una società civile strutturata secondo la loro ideologia, ma la presentano falsamente come l’unica maniera di essere fedeli al Vangelo. Si tratta di un fondamentalismo senza fondamento (teologico), che fa del Vangelo un «instrumentum regni». Io mi rifiuto di scegliere se stare da una parte (per esempio, dalla parte dei fautori americani del “neocapitalismo cattolico”) o dall’altra (per esempio, dalla parte dei “cattocomunisti”). Per questo criticavo prima la teologia della liberazione. Ripeto: ogni strumentalizzazione della Chiesa per fini meramente temporali è sempre contro la volontà di Cristo, che ha istituito la sua Chiesa come «sacramento universale di salvezza», ossia solo ed esclusivamente per garantire a tutti, in ogni tempo, la grazia della liberazione dal peccato e la speranza certa della vita eterna”.
Relativismo, secolarizzazione, perdita dell’identità occidentale: il Santo Padre sembra accennare ai mali del nostro tempo, ma certamente pare non accentuare troppo questi aspetti. Ratzinger, invece, ne parlava con maggiore costanza. Ritiene che questo pontificato sia troppo “materialista”?
“Anche su questo aspetto le dico che la risposta che le diede il cardinale Burke è quella giusta. Non c’è nulla da aggiungere”.
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