Il titolo pone un problema più che mai attuale quanto importante. A cosa mira effettivamente la Chiesa del terzo millennio? Più alla spiritualità o più alla pastorale sociale? Liturgia e pastorale ecclesiale sono, allo stato dei fatti, ancora fra loro equivalenti ed interdipendenti oppure una tende a prevalere sull’altra? Il primo e più grande comandamento evangelico: “Amerai il Signore Dio tuo con
tutto il tuo cuore, la tua anima e la tua mente ed il prossimo tuo come te stesso” è ancora da intendersi così come è stato rivelato oppure dobbiamo scambiare, al suo interno, posizioni e prelazioni? In buona sostanza è ancora valida la tesi, espressa da tale insegnamento, secondo la quale spiritualità e misticismo devono sempre ed in ogni caso precedere ed essere più importanti della pastorale, oppure oggi vale il contrario?
Dopo la costante spinta posta in essere da Papa Francesco, nei quasi cinque anni di pontificato, verso sempre nuove ed importanti aperture socio pastorali nella Chiesa, questi interrogativi si rendono sempre più attuali e significativi. Soprattutto se si considera che, ad un incremento della pastorale sociale, non ha certamente corrisposto un paritetico impulso verso la spiritualità ecclesiale; la quale si esprime, da millenni, anche e soprattutto attraverso la sacra liturgia.
Occorre osservare nello specifico che, quanto si è prodotto in questi ultimi decenni in materia liturgica, è servito unicamente a sminuirne, snaturandolo, il suo intrinseco valore sacrale. Last but not least, basti osservare l’ultima pubblicazione magisteriale in materia liturgica rappresentata dal Motu Proprio di Papa Francesco Magnum Pricipium con il quale è stato stabilito che i futuri cambiamenti di traduzione dal latino, nelle lingue volgari, della santa Messa non vengano più sottoposte, da parte delle competenti Conferenze episcopali locali, alla recognitio (controllo) della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei sacramenti, bensì solo alla sua confirmatio (approvazione), lasciando quindi, in pratica, piena libertà di scelta e di valutazione, in materia, alle singole Conferenze episcopali interessate.
Viene da chiedersi: “Queste continue ed enfatizzate aperture sociologiche ecclesiali, questo continuo sforzo nel dare precedenze alla pastorale piuttosto che alla spiritualità, queste molteplici nuove interpretazioni della pastorale poste in atto, oggi, dal magistero della Chiesa sono proprio ciò di cui i fedeli, sparsi nei cinque continenti, necessitano con urgenza, oppure siamo di fronte ad una forzatura (nemmeno tanto malcelata) volta a dare precedenza al sociale sul mistico, nella malsana illusione di adeguare la Chiesa al mondo al fine di coinvolgere sempre più fedeli osservanti?”.
Le recenti statistiche, che hanno rilevato l’afflusso dei fedeli osservanti alle sacre funzioni negli ultimi decenni, con particolare riguardo all’ascolto della santa Messa, sconfessano palesemente questo intendimento. Adeguare la liturgia al mondo, snaturandone il suo fondamentale ruolo di sacralità e sottraendole la spiritualità (elemento fondante dell’Ecclesia che l’ha privilegiata, conservandola intatta dopo oltre duemila anni di storia) non ha prodotto i frutti sperati.
Se poi andiamo ad approfondire tali questioni relativamente ai continenti meno progrediti socialmente, ma più numerosi di popolazione, quali l’Africa e l’Asia, ci accorgiamo subito che quanto messo in atto oggi dal magistero ecclesiale, adottando la cosiddetta pastorale sociale (sociologica), non corrisponde di certo alle aspettative ed alle prerogative che questi popoli si attendono dalla Chiesa.
Ci si rende conto che la fede, presso queste popolazioni, ancora molto meno evolute della nostra, rappresenta tutt’oggi qualcosa di importante e di fondamentale. Nei loro Paesi la spiritualità prevale e domina ancora sulla pastorale. E questo proprio lì, dove il sottosviluppo manifesta talmente tutta la sua gravità da costituire, spesso, ragione stessa di sopravvivenza.
Condividiamo, in proposito, ciò che ha profeticamente dichiarato il Cardinale Robert Sarah quando ha ribadito, senza mezzi termini, che il futuro della Chiesa poggerà sicuramente sui fedeli osservanti dell’Africa e dell’Asia. Nei Paesi dove si prega ancora con intensa spiritualità, dove le funzioni religiose ricoprono ancora piena sacralità. Questi popoli manifestano e professano infatti, ancor oggi, tutto il loro misticismo, pur dovendo fare i conti con i disagi e le privazioni alle quali sono quotidianamente sottoposti.
La fede ha bisogno di segni. Noi, popoli evoluti occidentali, l’abbiamo persa sempre di più perché questi segni, che hanno retto nella Chiesa per millenni, sono stati spazzati via a causa di caparbie quanto erronee interpretazioni dei dettami del Concilio Vaticano II.
Occorre riflettere su tutto ciò. Seguendo questo andazzo, che cerca sempre più di adeguare la religione al mondo contemporaneo, non si andrà da nessuna parte. Nemmeno continuando ad ostentare, ad ogni piè sospinto, una pastorale sociale che copra tutto il resto, finendo per soffocarlo.
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