Vita e morte a duello

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Segnaliamo un libro del nostro collaboratore Renzo Puccetti. Si tratta di un testo completo sulla bioetica che tutti dovrebbero avere e regalare.
Segnaliamo un breve brano: Recentemente è uscita negli Stati Uniti l’autobiografia di Abby Johnson, una donna premiata dalla nota organizzazione abortista Planned Parenthood – che significa ‘genitorialità pianificata’ – per il suo alto rendimento come responsabile di una clinica per aborti affiliata all’organizzazione. Il titolo del libro è Unplanned, che vuol
dire ‘non pianificato’, con un evidente gioco di parole riferito all’organizzazione di cui la Johnson ha fatto parte. Dopo otto anni di lavoro per l’organizzazione quale addetta alle relazioni esterne e incaricata al colloquio con le donne che volevano abortire, Abby partecipò in prima persona a un aborto. Un ginecologo che aveva operato presso la clinica solamente in qualche occasione, era abituato a eseguire gli aborti sotto controllo ecografico, fatto che comportava un dispendio temporale di qualche minuto maggiore rispetto ai normali dieci minuti calendarizzati per ogni procedura. Quella volta il medico chiese ad Abby di tenere la sonda ecografia in posizione mentre lui avrebbe manovrato la cannula per l’aborto. Sentiamo cosa avvenne, così come lo racconta Abby stessa nel suo libroApplicai il gel sulla pancia della donna, poi manovrai la sonda fino a quando l’utero non fu visibile sullo schermo e aggiustai la posizione per catturare l’immagine del feto. Mi aspettavo di vedere quello che avevo visto nelle precedenti ecografie. Di solito, a seconda dell’epoca della gravidanza e di come il feto era girato, avevo visto una gamba, o la testa, o parte del dorso […]. Ma questa volta l’immagine era completa. Potevo vedere il profilo intero e perfetto di un bambino. Pensai con sorpresa: “Sembra proprio come Grace a dodici settimane”, ricordando l’ecografia a dodici settimane di mia figlia, tre anni prima, rannicchiata al sicuro nel mio ventre. L’immagine che avevo ora davanti a me era la stessa, solo più chiara, più nitida. Il dettaglio mi colpì. Potevo chiaramente vedere il profilo della testa, di entrambe le braccia, delle gambe e persino le minuscole dita delle mani e dei piedini. Era perfetto. E subito la lusinga del caldo ricordo di Grace fu rimpiazzato da un’ansia che mi saliva su: “Cosa sto per vedere?”. Lo stomaco mi si strinse: “Non voglio vedere cosa sta per succedere”.
“Tredici settimane”, sentii dire all’infermiera dopo che aveva preso le misure per stabilire l’età del feto. “Okay – disse il dottore –, tieni così la sonda durante la procedura, in modo che io possa vedere cosa sto facendo”.
L’aria condizionata della stanza mi fece rabbrividire. I miei occhi erano ancora incollati su quel bambino perfettamente formato. Vidi una nuova immagine entrare nello schermo. La cannula, uno strumento a forma di cannuccia collegata al tubo di aspirazione, era stata inserita nell’utero ed era vicina al bambino. Sembrava come un intruso nello schermo, una cosa fuori posto. Sbagliato, sembrava proprio sbagliato. Il mio cuore cominciò ad accelerare, il tempo a rallentarsi. Non volevo guardare, ma allo stesso tempo non volevo smettere di guardare. Non potevo non guardare. Provavo orrore, ma allo stesso tempo ero anche affascinata. […] Gli occhi mi si posarono sul viso della paziente; dagli angoli le scendevano delle lacrime. Vedevo che sentiva dolore, l’infermiera tamponò il suo viso con un telo: “Fai un bel respiro – le disse –; respira!”. “È quasi finito”, le sussurrai. Volevo rimanere concentrata su di lei, ma gli occhi tornarono all’immagine dello schermo. All’inizio il bambino sembrava ignaro della cannula. Questa delicatamente saggiò la parte dov’era il bambino. Per un secondo provai un senso di sollievo. Pensai: “Certo il feto non sente dolore”. Avevo rassicurato su questo un numero infinito di donne, così come mi era stato insegnato dalla Planned Parenthood. “Il tessuto fetale non sente niente quando è rimosso”.
Stai calma Abby. “Questa è una procedura medica semplice e veloce”. La testa mulinava per controllare le mie risposte, ma non potei scacciare un’intima inquietudine che rapidamente si trasformò in orrore alla vista dello schermo. Il movimento successivo fu un improvviso scatto di un piede minuscolo e il bambino cominciò a scalciare, come se cercasse di sottrarsi dalla cannula. Come la cannula fece pressione dal suo lato il bambino cominciò a rivoltarsi e contorcersi disperatamente. Mi apparve chiaro che il bambino avvertiva la presenza della cannula e che non gli piaceva quello che stava provando. Poi la voce del dottore ruppe il silenzio facendomi trasalire: “Accendimi, Scotty!”, disse all’infermiera. Le stava dicendo di accendere l’aspiratore. In un aborto l’aspiratore non viene attivato fino a quando la cannula non è perfettamente in posizione. Avevo un’improvvisa voglia di gridare: “Fermatevi!”. Di scuotere la donna e dirle: “Guarda cosa sta succedendo al tuo bambino! Svegliati! Dai, fermali!”.
Ma anche se pensavo queste cose guardai le mie mani che tenevano la sonda ecografica. Io ero una di quelle che stavano facendo quell’azione. Gli occhi tornarono di nuovo sullo schermo. La cannula veniva già ruotata dal medico ed ora vedevo il minuscolo corpo che veniva violentemente rivoltato. Per un attimo impercettibile fu come se fosse stato strappato come uno strofinaccio, attorcigliato e schiacciato. Poi si accartocciò e cominciò a sparire nella cannula davanti ai miei occhi. L’ultima cosa che vidi fu la minuscola spina dorsale perfettamente formata risucchiata nel tubo e poi tutto scomparve. L’utero era vuoto, totalmente vuoto. Ero congelata nell’incredulità. Senza rendermene conto lasciai andare la sonda. Sentivo il mio cuore che batteva, batteva così forte che mi faceva pulsare il collo. Provai a fare un respiro profondo, ma mi sembrò di non riuscire a mandare l’aria né fuori, né dentro. Guardavo ancora fisso il monitor, sebbene ora fosse tutto nero perché avevo perso l’immagine. Niente riusciva a distogliermi. Ero troppo scioccata e sconvolta per muovermi. Mi rendevo conto che il medico e l’infermiera stavano parlando tra loro mentre finivano il lavoro, ma era una cosa distante, come un vago rumore di sottofondo, difficile da udire sopra il suono del pulsare del mio sangue nelle orecchie. L’immagine del minuscolo corpo straziato e risucchiato via mi scorreva di nuovo nella mente e insieme ad essa l’immagine della prima ecografia di mia figlia Grace, di com’ella aveva più o meno le stesse dimensioni. Mi venne alla mente una delle molte discussioni sull’aborto con mio marito Doug. “Quando eri incinta di Grace non era un feto, era una bambina”, aveva detto Doug. E ora mi colpiva come un fulmine. Aveva ragione. Quello che era nel ventre di questa donna solo un momento fa era vivo. Non era solo un tessuto, solo cellule, era un bambino umano. E combatteva per la sua vita. Una battaglia che aveva perso in un batter di ciglia. Quello che avevo detto alle persone per anni, ciò in cui avevo creduto e che avevo insegnato e difeso, è una bugia. Gli occhi riandarono alle mie mani. Le guardai come se non fossero le mie. Quanto danno avevano fatto queste mani negli ultimi otto anni? Quante vite erano state prese a causa loro? Non proprio a causa delle mie mani, ma a causa delle mie parole. Come sarebbe stato se avessi saputo la verità, e cosa sarebbe successo se l’avessi detta a tutte le donne? Cosa, se lo avessi fatto? Avevo creduto a una bugia. Avevo ciecamente promosso la linea della compagnia per così tanto tempo. Perché? Perché non avevo cercato la verità da sola? Perché avevo chiuso le mie orecchie agli argomenti che avevo sentito? Dio mio, cosa avevo fatto? Proprio qui, in piedi accanto al tavolo, con le mani sulla pancia della donna che piangeva, dal profondo mi venne questo pensiero: “Mai più! Mai più!”.
Aveva convinto centinaia di donne che abortire era la soluzione migliore, ma quell’esperienza fu un vero shock. Abby si licenziò e adesso – dopo aver vinto una causa contro la Planned Parenthood che voleva obbligarla al silenzio circa le politiche e le procedure adottate dall’organizzazione abortista –si batte per la causa della vita raccontando a chi ha orecchie, mente e cuore per comprendere, quello che sa della potentissima lobby abortista americana.

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