“Si erano profondamente inoltrati nelle Terre Solitarie, dove non c’erano più persone né locande e le strade andavano costantemente peggiorando”
di Fabio Trevisan
Dopo che Bilbo Baggins, in qualità di “scassinatore”, si era definitivamente messo in cammino in sella a un pony con i Nani e con il sopraggiungente Gandalf su di un cavallo bianco, l’allegra brigata passò dalla lietezza dei canti e dei pasti a un’atmosfera più desolata. Tolkien ha voluto farci vedere come la tristezza spirituale e l’incombenza del male si accompagni alla geografia del paesaggio, alla qualità delle relazioni degli abitanti di quelle terre: “Davanti a loro si
ergevano sempre più alte tetre colline, scurite dagli alberi. Su alcune di esse si levavano vecchi castelli dall’aspetto sinistro, come se fossero stati costruiti da gente malvagia”. Alla solare Contea degli Hobbit il grande scrittore inglese contrappone la perversione e la distruzione del paesaggio: “Tutto sembrava deprimente, perché quel giorno il tempo si era messo al brutto”. Tolkien sapeva, da sano cattolico qual era, che Iddio si compiacque fin dall’origine (ex nihilo) della bontà e bellezza delle Sue opere. Nel libro Genesi infatti Dio vide che il creato era cosa buona! Sapeva anche che l’opera del maligno era devastante e realisticamente presente, in forme e modi che deturpavano persino il paesaggio. Il peccato aveva deformato quei luoghi e resa incerta e difficile quella che sembrava inizialmente un’allegra scampagnata, una bella avventura: “Pioveva a dirotto, come aveva fatto per tutta la giornata; il cappuccio gli sgocciolava negli occhi, il mantello era pieno d’acqua; il pony era stanco e inciampava nei sassi, e gli altri erano troppo di cattivo umore per parlare”. Fu a contatto con questo profondo male, che tagliava il paesaggio e penetrava inevitabilmente nelle ossa, che Bilbo ebbe il primo sentimento nostalgico, ovvero il desiderio della sua calda ed accogliente casa. La ricerca di un bene che, in quelle circostanze, pareva assente lo fece borbottare: “Quanto vorrei essere a casa nella mia bella caverna accanto al fuoco, con la cuccuma che comincia a fischiare”. La descrizione accurata della mutevolezza atmosferica fa da pendant con il grigiore e l’afflizione dell’anima; le traversie faticose della missione sono inasprite dalle condizioni meteorologiche. Il sole scompare, il buio inizia a calare, il vento soffia e persino i salici, piegandosi quasi su se stessi, sospirano! Sublimemente Tolkien getta un’ancora di salvezza a quei vagabondi ora mesti, a quei pellegrini intrepidi ed infreddoliti: egli fa uscire dal paesaggio, a motivo di salvezza, un antico ponte di pietra su cui passare ed evitare la morte del peccato e l’infausto declino del paesaggio. Un salvagente divino, un passaggio sicuro oltre le nuvole grigie, oltre i fiumi gonfi d’acqua, oltre ogni pericolo. Solo allora, precisa Tolkien, i Nani e lo Hobbit si accorsero che Gandalf non era più con loro: “Fu solo allora che si accorsero che Gandalf non c’era. Fino a quel punto li aveva sempre seguiti senza mai dire se era anche lui dei loro o se si sarebbe limitato ad accompagnarli per un po’. Aveva mangiato più di tutti, parlato più di tutti, e riso più di tutti. E adesso era semplicemente sparito!”. Gandalf era stato sempre con loro e non li avrebbe, nonostante la loro erronea percezione, mai abbandonati. Proprio allora, pensavano, sentivano il bisogno della sua assistenza e desideravano una guida (anche spirituale) salda e sicura.
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