“Gli Orchi possono scavare tunnel e miniere con bravura pari a quella dei Nani più abili, anche se di solito sono disordinati e sporchi”
di Fabio Trevisan
Tolkien ci ha fatto conoscere con realismo il lato disumano dei repellenti Orchi, sottolineando più volte la loro brutalità e volgarità: “Il fatto è che gli Orchi mangiano cavalli, pony e somari e sono sempre affamati…sono creature malvagie e crudeli”. Interessante è ora rilevare, come ha indicato Tolkien, le qualità e le abilità degli Orchi, essendo tuttavia consapevoli che la loro volontà e i loro fini erano stati
pervertiti da una cattiva disposizione d’animo e si rispecchiava nella confusione e nella sporcizia. Con un concatenarsi di orribili verbi e di versi onomatopeici, Tolkien ci ha fatto entrare così nell’universo maligno degli Orchi, una sorta di infernale condizione nella Terra di Mezzo: “Le grida e le urla inarticolate, il gracidare, l’uggiolare, il farfugliare; gli ululati, i ringhi e le imprecazioni; lo strillio e lo stridio che seguirono erano al di là di ogni possibile descrizione”. Contro lo stordimento del male, contro il buio pesto della cattiveria si ergeva una luce che dissipava le nebbie dei rei e che permetteva una via di salvezza a Bilbo e agli sgomenti Nani: era il bastone magico acceso da Gandalf. Il soccorso era finalmente arrivato, quasi fosse un angelo buono di luce; un’ancora di salvezza che permetteva temporaneamente di sfuggire agli efferati Orchi: “Gandalf pensava proprio a tutto; e anche se non poteva fare tutto, poteva fare molto per gli amici che si trovassero alle strette”. Perché Tolkien ha sottolineato questo non poter fare tutto? Egli aveva presente la moltiplicazione evangelica miracolosa dei pani e dei pesci: qualche pane e qualche pesce c’era a disposizione e quindi anche Gesù, come Gandalf, non poteva fare tutto. Non poteva e non voleva fare tutto. La moltiplicazione dei pani e dei pesci, così come il bastone magico di Gandalf intervengono quando ciascuno ha provato a metterci qualcosa del suo. Il miracolo dello straordinario interviene nell’ordinario a completarlo, a redimerlo. Le condizioni umili e drammatiche delle creature sono risvegliate nel momento del bisogno ed è plausibile che, come Gesù provò profonda pietà per quel popolo affamato (anche della Sua Parola), pure Gandalf lo fosse: “Poteva fare molto per gli amici…”. Nella Dottrina sociale della Chiesa si può parlare anche di principio di sussidiarietà, che è complementare al principio di solidarietà. Si interviene soltanto dopo che ognuno ha responsabilmente ed autonomamente provato a dare il suo specifico. Tolkien conosceva e amava le potenziali libertà dell’uomo, persino quelle degli Orchi e desiderava preservarle. Egli riconosceva gli Orchi quali creature, seppur malvagie e crudeli, capaci di fare qualcosa di buono, se solo lo avessero voluto. Un’ultima riflessione sull’amicizia: è risaputo che Tolkien frequentasse a Oxford un circolo di amici che si chiamava “Inklings”, di cui faceva parte Clive Staples Lewis (1898-1963). Essi solevano incontrarsi in qualche pub o in locande dove leggevano e commentavano i loro scritti. Lewis trattò in un suo saggio (“I quattro amori”) il tema dell’amicizia: “Il marchio della perfetta amicizia non è il fatto di essere pronti a prestare aiuto nel momento di bisogno, ma il fatto che, una volta dato questo aiuto, nulla cambia”. Gandalf infatti non è solo il soccorritore dei suoi amici nelle situazioni di emergenza o di grave pericolo né il buon alleato che interviene al momento opportuno. La vera amicizia di Gandalf si colloca quindi in una dimensione più alta, più spirituale e questa ulteriore profonda riflessione di Lewis ci rinsalda nell’affermare la regalità dell’amicizia: “L’amicizia è incapace di salvare se stessa. In realtà, proprio perché essa è spirituale, e dunque posta di fronte a un nemico più sottile, essa dovrà invocare la protezione divina se vuole sperare di conservarsi pura”.
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