Dall'apostasia silenziosa all'auto-secolarizzazione

Dall’apostasia silenziosa che affliggeva Papa Wojtyla all’attuale auto secolarizzazione che dissolve il patrimonio di fede cattolica
di Mons. Gino Oliosi
Mi rifaccio completamente a un articolo di Matteo Matzuzzi su Il Foglio Quotidiano di Sabato 7 e Domenica 8 gennaio 2017. Riporta alcuni giudizi del teologo domenicano tedesco Wolfgang Spindler sui rischi che la Chiesa corre in tempi come questi e come affrontarli realisticamente. Spindler insegna, esercita il ministero sacerdotale – cioè segue una
parrocchia dove celebra regolarmente messa e confessa  -  e scrive anche libri per bambini, perché essi, dice, “hanno un rapporto immediato con la trascendenza. La realtà di San Nicola, ad esempio, per loro è prossima ed evidente come quella della nonna o del  gatto di casa”. Appartiene all’Odine domenicano dei Predicatori ed è consapevole di quanto sia divenuto complesso e accidentato predicare il cattolicesimo nell’Europa di oggi, così terribilmente provata dalla secolarizzazione. “Nelle prediche io cerco di tenere lo sguardo su due maestri Domenico di Guzmàn, il fondatore, e Tommaso d’Aquino, l’autorità teologica dell’ordine dei  predicatori”, dice Spindler: “Domenico, come attestato nel processo di canonizzazione, parlava semper cum Deo vel Deo. Per me da ciò conseguono (e servono contro l’auto secolarizzazione della chiesa, cosa ben peggiore della secolarizzazione della vita pubblica) un’intensa vita di preghiera e il primato del discorso su Dio. Quando tengo le mie prediche, non parlo di protezione dell’ambiente, di politiche contro i cambiamenti climatici o altri luoghi comuni correnti, bensì del Dio trino e uno e di tutto ciò che deriva dalla sua esistenza. Io – aggiunge il teologo tedesco – non mi metto a fare deduzioni dogmatiche: piuttosto cerco, sulla scorta di Tommaso, di procedere per argomenti, mostrando la plausibilità del depositum fidei contro lo spirito del tempo. E in particolare contro l’odierna cultura delle immagini e delle emozioni”. Il fatto è che “quando il Logos viene a mancare, subentrano al suo posto la forza suggestiva delle immagini, delle emozioni, dei soggettivismi e dei narcisismi: un problema di cui la chiesa non è ancora ben consapevole”. Ciò a che fare con un ritorno al semplice annuncio biblico cioè al modo attuale in cui si annuncia il Vangelo e lo si predica al mondo moderno: “La chiesa, e lo stesso ordine dei domenicani, non hanno ancora sufficientemente compreso questo problema del contrasto tra Logos (così come ne parla il prologo di Giovanni 1,1-18) e le immagini, gli eidola, anche se a livello pragmatico si serve ormai ampiamente dei nuovi strumenti della suggestione, cioè di immagini, simboli ambivalenti, video e internet per fare presa sulle masse a livello emotivo”. Pur tenendo conto pastoralmente di questo contesto attuale culturale urge oggi, osserva Wolfgang Spindler “ predicare tornando ai fondamentali della teologia e dell’etica sociale. E questo richiede di occuparsi a fondo della storia, della politica, della letteratura, dell’arte, della  musica. In modo che chi ci ascolta possa riconoscere che noi cattolici saremo ormai una minoranza, ma che nondimeno abbiamo ragione”. Questo evidentemente senza pretenderlo ma attirandolo esistenzialmente e culturalmente alla luce del Logos.
Rendere pastoralmente esplicito tale concetto nell’attuale drammatica frattura tra Vangelo e cultura secolarizzata appare un’impresa ardua, una sfida ai limiti dell’utopia, Giovanni Paolo II parlò di una “apostasia silenziosa” che ormai aveva permeato la cultura europea che con la globalizzazione punta a divenire universale cioè “un uomo sazio che vive come se Dio non esistesse”, come non fosse nel proprio e altrui essere, come di tutto il mondo che lo circonda, dono del Donatore divino, da Lui proveniente e a Lui destinato: questa è la verità che rende libera ogni persona in relazione con il bene comune del passato, del futuro, del presente, non l’ideologia personalista in contrapposizione all’individualismo liberista e al collettivismo marxista – leninista. E purtroppo da Dottrina sociale della Chiesa in alcuni ambienti politici ha rischiato di divenire la strumentalizzazione  ideologica di mediazione politica tra liberismo e collettivismo con una impostazione culturale secolarizzata della  persona  nel proprio e altrui essere dono del Donatore divino a ideologia personalista secolarizzata, come è avvenuto anche per la Costituzione italiana. Il recupero e rilancio a vera Dottrina sociale della Chiesa è avvenuto nel 1979 a Puebla con Giovanni Paolo II per superare la conseguenza di “aver portato a considerare l’uomo come il centro assoluto della realtà, facendogli così artificiosamente occupare il posto di Dio e dimenticando che non è l’uomo che fa Dio ma Dio che fa l’uomo”. “Non c’è da stupirsi – commenta Giovanni Paolo II – se in questo contesto si è aperto un vastissimo spazio per il libero sviluppo del nichilismo in campo filosofico, del relativismo in campo gnoseologico e morale, del pragmatismo e finanche dell’edonismo cinico nella configurazione della vita quotidiana”. Così con questo secolarismo Dio rimane escluso dalla cultura e dalla vita pubblica, e la fede in lui diventa più difficile, anche perché viviamo in un mondo che si presenta quasi sempre come opera nostra, nel quale, per così dire, Dio non compare più direttamente, sembra divenuto superfluo ed estraneo. In stretto rapporto con tutto questo, ha luogo una radicale riduzione dell’uomo, considerato un semplice prodotto della natura, come tale non realmente libero e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altro animale. Si ha così un autentico capovolgimento del punto di partenza illuminista di questa cultura in drammatica frattura con il Vangelo, con la Chiesa, cultura secolarizzata che era una rivendicazione della centralità  dell’uomo e della sua libertà. Nella medesima linea, l’etica viene ricondotta entro i confini del relativismo e dell’utilitarismo, con l’esclusione di ogni principio morale che sia valido e vincolante per se stesso. Non è difficile vedere come in questo tipo d cultura, che ormai predomina in Occidente e che vorrebbe porsi nella globalizzazione come universale e autosufficiente, generando un nuovo costume di vita, rappresenti un taglio radicale e profondo non solo con il cristianesimo ma più in generale con le tradizioni religiose e morali dell’umanità. E Spindler commenta: “Il fenomeno dell’apostasia silenziosa è un fenomeno endogeno della chiesa, in particolare nei paesi di lingua tedesca, dove si fa presto ad atteggiarsi a piccoli Lutero, dispensando come proprie idee ciò che in realtà altro non sono che falsi stereotipi. Spesso mi rendo conto di riuscire a parlare di fede, speranza e  carità molto più liberamente con interlocutori extra ecclesiam. Ma io preferisco di gran lunga questa fede del centurione, così come narrato nel Vangelo di Luca (7 ,1-10) a quelli che dicono ‘io sono cattolico, ma….’. Il centurione aveva un servo ammalato, mandò a chiamare Gesù perché lo facesse guarire. Sulla strada, il centurione gli mandò incontro alcuni uomini fidati, affinché dicessero a Gesù che non si disturbasse: “Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo non mi sono neanche ritenuto degno di venire da te, ma comanda con una parola e il mio servo sarà guarito. Anch’io infatti sono uomo sottoposto a un’autorità, e ho sotto di me dei soldati; e dico all’uno: va ed egli va, e a un altro: vieni, ed egli viene, e al mio servo: Fai questo, ed egli lo fa”.
Spindler è anche uno die maggiori studiosi degli scritti di Hans Barion, sacerdote e teologo assai attivo nella polemica culturale del Novecento, che tra le maglie complesse e numerose del Concilio Vaticano II vedeva troppi elementi progressisti e finanche marxisteggianti, contestando soprattutto il concetto stesso di Concilio solo pastorale, con la conseguente riduzione degli insegnamenti della chiesa a mera dottrina sociale. V’era il concreto rischio, insisteva Barion e oggi esplode, d’un appeasment della chiesa a un generico umanesimo integrale che avrebbe reso il depositum fidei qualcosa di molto liquido, superficiale e sempre più sconosciuto”. “Questo appeasement umanistico è una disposizione che si trova nella chiesa, ma non è in nessun modo dottrina della chiesa”, dice Spinderl. “E’ il tentativo di spiegare e razionalizzare i contenuti della fede, ovvero di tramutarli in un generico insegnamento etico, in modo che ogni uomo possa sottoscriverli. Barion però sbaglia quando dice che ne sia responsabile il Vaticano II in quanto tale. Come già accade durante il Concilio, anche oggi è una minoranza piccola, ma mediaticamente influente, a servirsi del Vaticano II come di una cinghia di trasmissione del proprio progetto di perpetua riforma progressista; progetto che poggia su quella che Benedetto XVI definì una falsa ermeneutica della discontinuità. L’appeasement – continua il teologo domenicano –è un’insidia presente nella missione della chiesa: è la tentazione, per i pastori delle anime, di non dare scandalo, il che però va contro quanto si legge nella Seconda lettera di san Paolo a Timoteo, quando Paolo esorta a predicare opportune e importune, a riprendere, ammonire, annunciare. Oppure, è la tentazione per i vescovi di tenersi buoni i politici al fine di conservare antichi privilegi”. Nel concreto gli esempi non mancano: ”Sulla questione dell’immigrazione illegale in Europa, oggi assistiamo a una nuova alleanza di trono e altare che cerca di limitare la libertà di opinione dei cristiani con pressioni psicologiche. Ma la chiesa – sottolinea Spindler – non è un partito, e qui Barion aveva ragione. Il clericalismo politico invece nega quella distinzione dei poteri che risale a Cristo stesso, come si può riscontrare in tutti i Vangeli”.
E qui Matzuzzi afferma che si entra nel terreno della politica, oggi minacciata nella sua espressione più alta dal dominio del politicamente corretto. Una questione, quella dell’immigrazione, che ha visto la chiesa spesso non marciare unita, com’è naturale che sia, considerate le differenze che il fenomeno incontra di paese in paese. La chiesa, poi, è chiamata a fare i conti con il consolidamento dei cosi detti populismi, portatori di una visione identitaria che contrasta con quella liberale del mondo, finalizzata a superare ogni differenza, anche di confessioni cristiane e religiose, in nome di un generico globalismo. Matzuzzi riporta la domanda, che il Foglio sta ponendo da diverse settimane a intellettuali europei e d’oltre oceano: quale di questi modelli sia più affine alla missione della chiesa.
Spindrel del tema se ne intende, scrivendone su L’ordine nuovo, “un bimestrale fondato tanti anni fa da due domenicani i quali erano stati attivi nella resistenza al nazionalsocialismo. E’ un periodico indipendente, ecumenico, che si occupa di etica politica, economica e sociale. Diciamo che ama il parlar chiaro e a questo concede spazio. Ciò vale ancora di più nel caso di “Tumult”, osserva Spindrel, che pure su questo trimestrale appunta le proprie riflessioni. “Il caporedattore, il mio amico Frank Bokelmann, è un ex attivista socialista e un brillante pensatore politico. Egli sostiene che la definizione di ‘trimestrale per sabotare il consenso’ sarebbe stato una mia idea! In verità detestiamo entrambi il pigro consenso della political corretctness, che s’industria affinché tutti siano d’accordo sulle questioni politiche, e pone su ogni opinione deviante la minaccia della scomunica sociale. Il diktat del consenso – aggiunge – è una depoliticizzazione intensamente politica della società che una democrazia non può permettersi. Applicata alla chiesa questa moralina del consenso è un surrogato della perduta unità dogmatica della fede. Funzione cioè come una specie di nuova circoncisione, al punto che io posso solo dire, con Paolo ai Galati, che ‘Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre il giogo della schiavitù’: Ecco, si sabota questo consenso e ci fanno in fretta nemici quando, invece di proporre idealismi illusori, si cerca di descrivere la realtà in tutti gli ambiti. Per questo esercizio di realtà ci vogliono per me che sono cattolico – dice Spindler –la dimensione della trascendenza ma anche come insegna Marx, una variazione del famoso interrogativo di Hobbes: Quis lucrum faciet?”.
Quanto all’accusa di populismo, dice, “oggi è a sua volta in buona parte populistica. Chi la leva contro l’altro vuole mettersi su lalto giusto del confronto politico, sul lato di chi detiene il potere. Il populismo è, nel confronto democratico delle opinioni, una posizione legittima  quando riafferma gli interessi del populus, cioè del vero fondamento del potere dello stato. Il cittadino comune – osserva il padre domenicano – ha ormai da tempo l’impressione che un complesso politico-mediatico dei ‘ben istruiti’ e dei ‘mobili’ faccia passare l’idea che la globalizzazione sia una specie di evento naturale, o un destino, che uno deve accettare come si accettano un clima piovoso o la sordità congenita. Invece il ‘globalismo’ è un’ideologia politica, che tende ad assicurare vantaggi per le élites ( e cioè il libero commercio, i prezzi di importazione bassi, la forza lavoro mobile, i flussi di capitali stranieri) contro svantaggi per gli economicamente deboli. In più, essa promuove il livellamento delle diversità culturali: i centri delle città in Europa e in America stanno diventando tutti uguali, e la gente indossa dovunque gli stessi jeans e giacche col cappuccio”.
Tuttavia, generalizzare non è mai buona cosa: “Il caso del trumpismo populistico mostra, però, anche il pericolo opposto, e cioè che una nuova élite si limita a sostituirsi alla vecchia, e al popolo non resta che il ruolo di spettatore. La chiesa dovrebbe, allora, mantenere una sua equidistanza rispetto a tutte le ideologie, giudicando solo in base ai principi della dottrina sociale cattolica ciò che per gli uomini del presente e del futuro è il bene autentico”.
Abbia abbiamo voluto riportare questo intervento di Matteo Matzuzzi perché la cultura oggi egemone in Occidente   e che vorrebbe porsi come universale al posto di quella veramente universale cioè cattolica non è in grado di instaurare un vero dialogo con le culture, nelle quali la dimensione religiosa è fortemente presente pur diversamente valutabile, oltre a non poter rispondere alle domande fondamentali sul senso e sulla direzione della nostra vita. Perciò questa cultura è contrassegnata da una profonda carenza, ma anche da un grande e inutilmente bisogno di speranza cioè di vera evangelizzazione.

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