Filosofia per tutti

Una filosofia umile e semplice
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di Fabio Trevisan
Per le Edizioni Fede &  è da poco stato pubblicato un interessante e agile libro dal titolo accattivante: Filosofia per tutti”. L’autore, il Prof. Stefano Fontana, che è saggista e giornalista, Direttore dell’Osservatorio Cardinale Van Thuan sulla Dottrina sociale della Chiesa, ha voluto condensare, come recita il sottotitolo dell’opera, una breve storia del pensiero da Socrate a Ratzinger. Se l’intento è stato quello di sintetizzare la storia della filosofia e di approfondire i tratti fondamentali del pensiero occidentale con le conseguenti ripercussioni nell’attualità, direi che l’operazione è stata, a mio parere, raggiunta. Certamente nelle 150 pagine del volume non c’è, per ovvie ragioni, pretesa di esaustività su ogni singolo argomento; ciò non

toglie che il risultato del lavoro sia essenziale e profondo e sia soprattutto avvicinabile ad un pubblico meno avvezzo a categorie o enunciati filosofici. In poche parole l’esito felicemente compiuto è stato quello di proporre un’argomentazione stringente, stimolante intellettualmente e soprattutto alla portata di ogni persona di buona volontà. Riprendendo il famoso brano del Vangelo: “Se non diventerete come bambini…”, Fontana ha ravvisato, sin dall’inizio, che il filosofare esige umiltà poiché le verità filosofiche sono semplici, in quanto corrispondono alle verità spontanee e naturali proprie degli uomini. Secondo le testuali parole dell’autore: “L’umiltà del filosofo si fonda sull’umiltà della stessa verità”.
 Il filo rosso del libro In forza di questa accettazione umile della verità Stefano Fontana ha indicato due tracce, due frasi caratteristiche del percorso filosofico, cui serve ponderare attentamente: l’errore del punto di partenza che porta a considerevoli sbagli nelle conclusioni e l’attestazione leale che nessuno si dà ciò che non ha. Sant’Anselmo d’Aosta affermava e interrogava sul significato della seguente frase: “Che cos’hai che non hai ricevuto?”. All’interno del mondo-scatola (secondo l’esempio concreto dell’autore) in cui siamo stati posti indipendentemente dalla nostra volontà, Fontana ha evidenziato la ricerca di un ordine interno e la domanda ineludibile se ci sia qualcosa fuori dalla scatola-mondo. Da queste significative domande originali e proprie dell’uomo è iniziato il percorso che ha accompagnato i filosofi greci  fino ai nostri giorni. La richiesta di un senso all’interno e fuori dal mondo ha posto in rilevo la concezione integrale del mondo, il problema dell’intero: “Avere presente l’intero non significa conoscere tutto, nel senso di conoscere tutte le cose”. Davanti all’intero, l’autore ha giustamente posto il problema del significato della conoscenza umana, sulla scia di San Tommaso d’Aquino, confermando il valore del realismo tomista e la capacità originaria dell’intelletto di conoscere l’essere, seppur non in modo chiarissimo: “Noi siamo capaci di conoscere tutto l’essere e di conoscerlo come un tutto”.
 La meraviglia dell’essere Dinanzi a questa prodigiosa facoltà conoscitiva (gnoseologica) che attribuisce alla capacità dell’uomo un’ enorme potenzialità, emerge una constatazione cristallina, obiettiva: “Davanti al tutto, l’uomo si meraviglia che esso ci sia, mentre potrebbe non esserci”. Le radici filosofiche di queste istanze e domande primordiali scaturiscono dalla natura dell’uomo stesso, non dagli artifizi retorici o da cavilli psicologici, in quanto il domandare segue la meraviglia; il chiedersi segue la luce del tutto. Fontana ha dimostrato la sostanziale e cruciale differenza tra il domandarsi di un “io” pieno di dubbi che si pone egli stesso come inizio e l’accettazione del reale come ci è data (la meraviglia dell’essere). Si ha quindi, a partire dalla metafisica greca e nella filosofia classica, un primato del positivo sul negativo: “Questo si fonda sul primato dell’essere sul nulla”. Al contrario, il primato del negativo si richiama al nichilismo e conduce, come è avvenuto nell’età moderna, al relativismo: “Oggi il dialogo è fine a se stesso, alla fine ognuno rimane nella sua opinione”. Se invece la verità esiste e noi possiamo trovarla potremmo avallare l’itinerario culturale e spirituale che ha coinvolto direttamente una santa filosofa dei nostri tempi, Santa Edith Stein: “Ho cercato la verità: ho trovato Dio e l’uomo”.
 Il problema della Causa e del Fine Fin dall’antichità l’evidente asserto: “Nessuno si dà ciò che non ha”, rimandava ad una Causa prima, un Arché, un Principio e ad uno sguardo realistico sulle persone e sulle cose. Il tutto era concepito in forza di una congruità, di una corrispondenza effettiva tra essere e pensiero. Se l’intelletto infatti ha la possibilità intenzionale di conoscere tutta la realtà e la volontà, come ha sottolineato Fontana, è in grado di seguirlo per fare il bene, il problema della Causa è inseparabile dal Fine. Ciò significa che se l’Essere (Causa prima) è Bene, lo è anche il suo Fine. Fontana ha ricordato e rimarcato puntualmente nel testo che: “L’incontro del cristianesimo con la filosofia greca fu l’incontro della fede con la ragione” e che quindi tutti i progetti di de-ellenizzazione del cristianesimo (come denunciato da Papa Ratzinger nella famosa lectio magistralis di Ratisbona) non fanno che rompere il delicato equilibrio tra fede e ragione, dando vita a due posizioni deleterie e inconciliabili: il fideismo e il razionalismo. Il benefico apporto della filosofia greca ha reso possibile che il cristianesimo precisasse la sua dottrina e vincesse le eresie, come è testimoniato dal dibattito e dalle controversie fin dai primi Concili. Il filosofare nella fede Dato l’intimo e sostanziale rapporto tra fede e ragione, si ha fin dalla Patristica la possibilità di filosofare nella fede. Stefano Fontana ha rilevato pregevolmente che, nell’elaborare i contenuti della fede, il cristianesimo ha potuto purificare la ragione umana, dando vita ad una propria filosofia, ad una propria specificità. Al contrario della filosofia nella fede (Logos), ha osservato l’autore, la Gnosi si è costituita come filosofia che si fa fede, mostrando la superbia dell’uomo che nell’esaltare la capacità di autodeterminarsi e quindi di potersi salvare autonomamente, ha ridotto ideologicamente la natura umana. In questo senso Fontana ha individuato nel gender una pretesa gnostica di riplasmare la persona e di portarla verso quell’aberrazione (resa oggi possibile dalle conquiste della tecnologia) del trans-umanesimo, fatto di animalità e di macchina. Non rispettando una grammatica naturale (riflesso di una legge eterna e divina) ed i principi primi del ragionare umano fondato sull’essere si è arrivati così a sovvertire il senso comune, cioè il patrimonio originario di tutti gli uomini. Anche la questione sostanziale dell’anima, della sua immortalità, del suo rapporto con il corpo è stata oggetto di acuta riflessione nel libro. Il pregio del testo è quello di rilevarne la portata fondamentale e di far suscitare il desiderio di approfondire l’ineludibile domanda. Il rapporto tra certezza e verità Nel puntualizzare il passaggio dalla filosofia greca e classica alla modernità (passaggio sintetizzabile nel titolo di un capitolo del libro: “Dalla meraviglia al dubbio”), Fontana ha affrontato l’esito della disperazione della libertà moderna, sviluppatosi nel contrapporre la certezza(soggettiva) alla verità (oggettiva): “Oggi si preferisce la certezza alla verità e ciò si deve a Cartesio. Con lui l’uomo diventa prigioniero della sua coscienza e la chiama libertà”. La centralità moderna del dubbio rispetto alla meraviglia, ha con lungimiranza ribadito l’autore, ha posto il problema della “coscienza”, che da “coscienza di essere” si è avvitata su se stessa, diventando solo “coscienza di sé”, ponendo all’inizio il solo “io”. Questa concezione erronea della coscienza ha fatto sorgere una prospettiva idealistica, nella quale originariamente non sta più la consistenza oggettiva della realtà ma le nostre rappresentazioni. Lo sforzo emerito di Stefano Fontana è stato quindi quello di farci vedere, attraverso il pensare e il riflettere sulle conseguenze concrete del filosofare, l’approdo nella contemporaneità, lo sviluppo ed il cammino di concezioni del mondo erronee che hanno portato alla confusione ed alla drammatica situazione odierna. Il mondo alla rovescia Prendendo lo spunto da quella che è stata definita come “rivoluzione copernicana” di Kant, l’autore ha evidenziato un mondo rovesciato dove il primato dell’oggettivo reale è stato tutto ricondotto al soggetto; con le categorie a priori dell’intelletto kantiane l’uomo diventa legislatore della natura. Si arriva così, secondo la felice intuizione di Stefano Fontana, a guardare il mondo attraverso gli occhiali del “trascendentale moderno”, ovvero a vedere il mondo attraverso degli occhiali dai quali non ci si può liberare. Si chiamino occhiali della coscienza (Cartesio) oppure occhiali delle categorie a priori (Kant), l’evidenza del reale non viene più accettata, accolta. Conseguentemente quando noi conosciamo le cose, lo facciamo da un punto di vista che inevitabilmente approda al relativismo attuale. Fontana ha brillantemente chiarito come anche l’Ermeneutica parta da pre-comprensioni che collocano la conoscenza umana dentro un orizzonte interpretativo o costruttivista, in cui i fenomeni sono plasmati o costruiti dal nostro intelletto. L’anima protestante della filosofia moderna Fontana ha ravvisato, nel processo filosofico che ha condotto all’epoca moderna, l’ascendenza luterana della filosofia kantiana e quindi l’anima protestante della filosofia moderna: “ Il disprezzo per la natura totalmente corrotta, la sfiducia nella ragione, la separazione della ragione dalla fede, il fideismo teologico, l’impossibilità di conoscere un ordine naturale che ci parli di Dio compresa una morale naturae, la separazione di etica e religione, di etica e politica, il soggettivismo”. Ovviamente, ha ribadito l’autore, l’influenza del Protestantesimo è continuata in Hegel ed i suoi epigoni producendo nefaste ideologie. Merita qui riprodursi testualmente un’intera frase che condensa l’esito della modernità: “Il rifiuto dell’essere, il primato della coscienza soggettiva, l’utilizzo del trascendentale moderno, la libertà intesa come qualcosa di assoluto, il primato dei diritti sui doveri…”. Una ragione che non accetta di essere misurata, ha evidenziato Fontana, diviene essa stessa orgogliosamente misura di tutte le cose e si trasforma in ideologia. Avviene così che l’itinerario del pensiero filosofico moderno si ponga come antireligioso, senza prospettiva trascendente, secondo la felice riflessione di Padre Cornelio Fabro, in cui vige e si riconosce un autoreferenziale “principio di immanenza”. Storia e secolarizzazione L’assunzione di un reciproco ed ineludibile rapporto tra la fede cristiana e la ragione ha permesso non solo di riconoscere una specificità: “Pur non essendo una filosofia, il cristianesimo è una fede che sposa la ragione umana”, ma anche di riscontrare un’evidente universalità e quindi un ruolo pubblico e non solo privato della stessa fede. Seppur brevemente, Stefano Fontana non ha mancato di accennare e di stimolare una benefica riflessione sugli equivoci di una “filosofia cristiana”, che vanno dalle ambiguità di un personalismo cristiano al Comunitarismo relazionale ad esempio di Charles Taylor, piuttosto che alle argomentazioni di Martin Buber o a quelle di Emmanuel Lévinas. Dinanzi al secolarismo e alla progressiva erosione del trascendente, Fontana ha analizzato quello che in uno dei capitoli conclusivi ha chiamato significativamente: “Il largo fiume del Rahnerismo”. Con un’immagine molto eloquente, Fontana ha colto nella teologia di Karl Rahner una visione asfittica e condizionata del reale, come a guardarlo dal buco di una serratura. Mettendosi con Rahner in questa condizione esistenziale e di limitata accessibilità alla verità oggettiva, non possono che manifestarsi tali conseguenze: “Dio e il divino non possono essere tematizzati, la dottrina perde la sua prevalenza rispetto alla vita, se voglio sapere cosa Dio vuole da me devo chiederlo al mondo e ai segni dei tempi, non ai dogmi della fede cattolica. Dio opera nel mondo e non nella Chiesa…”. Fontana ha avuto il merito quindi di far emergere quanto alcune concezioni filosofiche e teologiche portino alla secolarizzazione: “Concepire l’uomo dentro la storia, concepirlo dentro il linguaggio…comporta la secolarizzazione della fede cattolica”. Tra i tanti altri spunti di meditazione rinvenibili nel libro, ritengo lodevole un’ultima considerazione sulla libertà, che Fontana ha ben posto nella trattazione finale: “Già Agostino aveva ben spiegato che la libertà non è il libero arbitrio. Questa è la pura capacità di scelta, quella è la capacità di scegliere il bene”. Un volume, quello di Stefano Fontana, che offre innumerevoli spiragli di luce e che ritengo molto utile (se non provvidenziale) ai fini della ricollocazione salvifica della presenza di Dio nella vita di ogni uomo, poiché – riprendendo le testuali parole dell’autore- voler costruire un mondo senza Dio non significa voler costruire un mondo neutro, ma un mondo senza Dio”.

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