È doveroso ricordare, nel corso del Giubileo della Misericordia, che ammonire coloro che si trovano in una situazione di peccato è una delle opere di misericordia spirituale. Ma col passare del tempo, sembra ormai che tale aspetto della vita cristiana sia caduto nell’oblio. Benedetto XVI nel corso della Quaresima del 2012, in un messaggio pronunciato in Vaticano, tenne a sottolineare che “oggi si è assai sensibili al discorso della cura e della carità per il bene
fisico e materiale degli altri, ma si tace quasi del tutto sulla responsabilità spirituale verso i fratelli. Nella Chiesa dei primi tempi, invece, ci si prendeva cura non solo della salute corporale del fratello, ma anche di quella della sua anima per il suo destino ultimo. Sarebbe importante recuperare questa dimensione della carità cristiana”. Dalle parole del pontefice emerito si evince che, attualmente, l’aspetto della misericordia corporale ha preso il sopravvento su quello della misericordia spirituale. Dietro questo processo di caduta nell’oblio di tale aspetto della carità cristiana, c’è comunque, a monte, una precisa volontà di alcune forze laiche ed ecclesiali, il cui scopo è quello di vederlo completamente eliminato dal panorama cattolico. Tale processo è frutto dell’ideologia individualista che, da molto tempo, ormai, è dapprima penetrata e poi si è espansa a macchia d’olio nel nostro contesto socioculturale, e secondo cui ognuno è giudice di se stesso e nessuno può intervenire nella vita dell’altro. Ma la riprensione dei peccatori da Gesù stesso venne messa in atto ed è presente in più documenti del Nuovo Testamento. E’ infatti dalle parole del Figlio di Dio che apprendiamo quanto sia importante ammonire sia personalmente, che tramite la comunità ecclesiale, chi ha commesso una colpa, al fine di guadagnare la sua anima (MT 18,15-18). Anche nella Lettera di Giacomo (5,20) e in Galati (6,2) di tale aspetto della vita cristiana viene promosso l’esercizio. Per cui redarguire il fratello che ha rotto il rapporto di amicizia con Dio, non è affatto da considerarsi come un’ingerenza nella vita altrui, ma un grande atto di amore nei suoi confronti. Significherebbe avere pietà per il fratello errante e avere compassione di lui; soffrire per lui e con lui, e, quindi, desiderare che torni sulla retta strada. Per il cardinale Giacomo Biffi “dare una mano al fratello a liberarsi dal peccato significa volergli bene davvero”. Il tentativo del Maligno e quello dei suoi servitori, invece, si fonda su un superbo egoismo che dai nostri progenitori è giunto fino a noi oggi, con il quale si cerca di convincere che ogni uomo è giudice di se stesso e che nessuno può dare giudizi su cosa rientra nell’involucro interiore di ognuno di noi. Ecco perché Gesù venne aspramente criticato e avversato dai farisei, proprio perché ammoniva con severità, testimoniando la Verità, la loro vacuità spirituale. E oggi, farebbe altrettanto, verso quei farisei del pauperismo che ideologizzano la carità piuttosto che viverla cristianamente, enfatizzando della misericordia solo l’infinito amore di Dio spacciandolo come perdono assoluto senza giustizia; o, ancora peggio, sfruttando lo stato e il sentimento di disagio di alcune categorie di fedeli, che vivono, se pur nella sincera sofferenza, sempre in una situazione di peccato, per così diffondere largamente questi pensieri volti a riformare il contenuto di alcuni sacramenti e a destabilizzare l’insegnamento del Magistero Ecclesiale, trasmesso nei secoli per mezzo della Tradizione. Von Balthasar, nell’opera Il complesso antiromano, denunciò questo progetto di relativismo etico-teologico, fondato su una visione storico-sociologica del Vangelo volta a soppiantare quella teologico-dogmatica: “i paesi occidentali e quelli che si trovano nel vortice della propaganda comunista […] applicano alla gerarchia le invettive di Gesù contro i farisei, respingono come insostenibile l’obbligo fatto ai fedeli di aderire alle proposizioni dogmatiche antiquate del tutto anacronistiche, e ogniqualvolta Roma non si aprisse alle situazioni sociali create dalla moderna ‘storia della libertà’, sollevano l’accusa di ‘cecità di principio’ nei confronti di tutto ciò che è nuovo”. Questo sottile sotterfugio utilizzato dai lupi contemporanei travestiti da agnelli, è da sempre stato contrastato da uomini santi che nell’ambito del cattolicesimo hanno considerato il rimprovero verso i fratelli nel peccato, come uno strumento da cui non si può prescindere se si vuole intendere in pienezza il vero significato della misericordia. Uomini che hanno persino subito il martirio con la morte o con persecuzioni di tipo morale e psicologico, pur di ammonire i fratelli perduti. Si pensi a Giovanni Battista e a molti degli Apostoli, arrivando fino all’epoca patristica con l’intento del vescovo Atanasio di riportare sulla retta via coloro che erano passati all’arianesimo. E come non ricordare il martirio di Tommaso Moro e Giovanni Fisher, decapitati entrambi per aver difeso l’indissolubilità del matrimonio. E giungendo all’epoca a noi più vicina non si possono dimenticare le critiche addossate a Pio IX per il Sillabo, a san Pio X per l’enciclica Pascendi, a Pio XII per l’Humani generis e a Paolo VI per l’Humanae vitae. Questa carrellata potrebbe essere conclusa con diversi documenti magisteriali dei pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Anche papa Francesco in occasione dell’Angelus del 7 settembre 2014, ha voluto ribadire che “la correzione fraterna è un aspetto della comunione e dell’amore che devono regnare nella comunità cristiana; è un servizio reciproco che dobbiamo renderci gli uni gli altri. Correggere il fratello è un servizio ed possibile ed efficace solo se ciascuno si riconosce peccatore e bisognoso del Signore”. Un nutrito gruppo di intellettuali pseudo-cattolici, oggi, è fermamente convinto che il pontificato di Bergoglio rappresenti l’immagine del paradigma Chiesa-mondo promosso dal teologo gesuita Karl Rahner alla fine del Concilio. A proposito di Rahner, va ricordato che le sue riflessioni in ambito teologico-morale, insieme a quelle di altri moralisti, pur se non in maniera esplicita, sono state oggetto di censura da parte dell’enciclica Veritatis splendor di Giovanni Paolo II. Il pontefice polacco, con questo documento, ha voluto ribadire che la condotta morale è regolata dall’osservanza d norme oggettive che Dio ha fissato nella natura umana, e non dal modo di agire dell’uomo sulla stessa natura che secondo Rahner e i suoi seguaci, consiste nella plasmabilità e manipolabilità rimessa alla libertà della persona, giungendo così alla giustificazione di azioni peccaminose e contrarie alla legge divina. Secondo il grande teologo domenicano Tomas Tyn, che ha riconosciuto nelle posizioni di Rahner e dei suoi assertori l’insidia dell’etica esistenzialistica, l’atto morale consiste nell’applicazione della legge al caso concreto, mentre fuoriuscendo da essa, e volendo andare oltre la legge, si sfocerebbe in atti peccaminosi. La speranza è che, le convinzioni di tali intellettuali inclini al neomodernismo, non trovino riscontro nella realtà, e che invece siano da considerarsi delle forme di strumentalizzazione del pensiero del Santo Padre, al fine di assecondare le proprie voglie. La speranza è inoltre, che, il Vicario di Cristo, faccia semplicemente proprie le parole di Gesù, che rivolgendosi all’adultera disse. “neanch’io ti condanno; va e d’ora in poi non peccare più”. Eccolo il vero senso della misericordia, fondato sulla tensione tra le due dimensioni dell’amore cristiano: il perdono verso il peccatore pentito e il monito a non commettere altri contegni offensivi volti ad interrompere la relazione d’amore con il Signore. La Carità, dunque, non può mai essere separata dall’annuncio e dalla testimonianza della Verità.
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