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di Stefano Fontana
Don Andrea Brugnoli è un sacerdote di Verona, parroco a San Zeno alla Zai. Da molto tempo ormai si è messo sulla strada del rinnovamento pastorale della Chiesa. Ha fondato le Sentinelle del Mattino e il Café teologico presente in altre diocesi e anche all’estero. E ha creato Una luce nella notte. Ha scritto libri sulla rivitalizzazione pastorale ed è stato invitato da varie Conferenze episcopali – dalla Spagna a Taiwan - a parlare ai preti di nuova evangelizzazione e pastorale giovanile.
Ora egli dà alle stampe un libro che ha chiamato nel sottotitolo Manuale per cambiare stile di Chiesa. Il titolo suona truce e terrificante: Parrocchie da incubo (edizioni Fede & Cultura 2015). Ma all’interno di terrificante non c’è nulla. Certamente non è un libro tenero, che accarezzi, il nostro don Andrea è deciso e tagliente nelle sue
valutazioni e coraggioso e originale nelle proposte. Il suo motto è «o si cambia o si muore». Non apprezza le «nostre riunioni verbose» e i «nostri catechismi antropologici» che, secondo lui, «hanno formato ben pochi cristiani veri, testimoni impegnati a portare le persone in Paradiso».
Secondo don Andrea bisogna cambiare anche i luoghi delle nostre parrocchie. «La chiesa», dice, «è la casa di Dio e Lui solo deve parlare. Non di noi, delle nostre attività: la gente deve vedere che in chiesa si entra per dare gloria a Dio e a Dio solo» Ce l’ha, don Andrea, con le bacheche disordinate, le candele elettriche, i volantini e gli avvisi sparsi ovunque, con il Tabernacolo messo in disparte perché «dopo il Concilio, al posto di Gesù, si sono messi i preti con la loro sedia», lo «scempio»– come lui lo chiama - dei due altari («mai una chiesa ha avuto due altari nello stesso presbiterio»), l’altare rivolto al popolo «così la liturgia si è ridotta da dialogo dell’uomo con Dio a un dialogo tra di noi», l’eliminazione della balaustra dove inginocchiarsi per la Comunione, le aule del catechismo sporche e disadorne, con sedie scomode.
Nella sua chiesa di San Zeno alla Zai a Verona – spiega don Andrea – la facciata è pulita, la bacheca ordinata e c’è solo una grande scritta: “Benvenuto a casa!”. In chiesa c’è sempre una musica di sottofondo in gregoriano, le candele sono di cera, al centro dell’altare c’è un grande crocefisso verso cui si rivolgono sia il celebrante sia i fedeli. Il Tabernacolo è posto al centro. Non è stata ripristinata la balaustra, ma viene data la possibilità di prendere la Comunione in ginocchio, con degli inginocchiatoi mobili, e il 95 per cento dei suoi fedeli fa così. Don Andrea non è un patito della messa antica. Dedica un capitolo del libro alla Messa di Paolo VI, che è stata ed è la sua messa. Però auspica una ulteriore riforma liturgica che unifichi i due riti
La Chiesa ha come ultimo scopo – dice don Andrea – di dare gloria al Signore. Per fare questo ha un obiettivo interno: edificare i discepoli, ed uno esterno: evangelizzare quelli che non conoscono Gesù. Tutto deve essere orientato al grande mandato di fare discepoli. Si incontra Gesù tramite l’incontro con dei cristiani che lo hanno già incontrato, ossia con dei discepoli-missionari. Bisogna formare persone in grado di evangelizzare e per questo, dice don Andrea, ci vuole una “visione”. Quella che lui propone è «Risvegliamo la Chiesa!» e tutta la vita della parrocchia vi ruota attorno, perché la visione deve essere conosciuta da tutti ed espressa in modo conciso e chiaro come la destinazione sul display di un autobus.
La cosa principale è formare una équipe. Anche da zero se necessario, mentre la vita della parrocchia intanto procede. Sono le persone che fanno la differenza, non le attività. Si fanno le attività in base alle persone e non il contrario. Il cristiano modello oggi è il filantropo. Deve tornare a essere l’apostolo che evangelizza. «Vedo diocesi», scrive don Andrea, «dove si organizzano costosi festival, convegni su ogni argomento, assemblee dove il microfono viene dato ai pagani e nemici della Chiesa, presentati come profeti e maestri di quello che dobbiamo fare noi». Ecco che anche il catechismo «si limita a un blando richiamo ai valori antropologici e a un moralismo terzomondista che persino un extracomunitario troverebbe risibile e anti-storico».
A proposito di catechismo. Nel suo libro-manuale don Andrea si sofferma molto sul catechismo, sulla preparazione ai sacramenti, sulla liturgia. Il catechismo – dice – è fatto per chi ha già incontrato il Signore. La catechesi non è l’annuncio, viene dopo di esso. Prima di tutto bisogna suscitare l’atto iniziale di fede nei confronti di Gesù Salvatore. Bisogna pensare a fare il primo annuncio ai bambini e ai ragazzi, tenendo conto che il test per sapere se l’annuncio è arrivato a destinazione è vedere se il bambino (o adulto) adora Gesù, se si inginocchia davanti al Tabernacolo e Gli parla. Se questo c’è, allora la catechesi diventa un cammino di discepolato.
Don Andrea è anche contro la “pastorale del ricatto”, che è l’esatto opposto del primo annuncio: approfittare del fatto che i genitori vogliono battezzare il figlio per obbligarli a un certo numero di incontri. Anche qui: prima ci vuole la fede e la conversione, poi la Chiesa forma i suoi figli. Ci sono tanti tipi di parrocchie. C’è la Parrocchia Addams, dove tutto è in disordine e piuttosto lugubre; c’è la Parrocchia Social, brulicante di volontari, tutti con la barba, i sandali ai piedi e dove si fa un sacco di cose: lavoretti per il Terzo mondo, raccolte equosolidali, vendita di prodotti missionari; c’è la Parrocchia Milàn, dove i preti recitano la messa con l’i-Pad e si fanno progetti pastorali con organigrammi e votazioni in Consiglio pastorale; c’è la Parrocchia Asilo, dove si ospitano i bambini quando i genitori lavorano, si organizzano campi scuola e grest quando le scuole sono chiuse, si fanno feste di compleanno e si ospitano riunioni condominiali e comitati di quartiere.
Don Andrea cerca di costruire una parrocchia diversa. Il suo sogno lo esprime con chiarezza alla fine del libro: «Sogno una Chiesa tutta protesa a formare gli evangelizzatori. Dove tu vai a Messa una domenica e senti un’aria di famiglia; dove tutti si conoscono perché tutti condividono la passione per portare le persone all’incontro con Gesù e quelli che sono nuovi, lì per la prima volta, vengono accolti con un bel sorriso e comprendono subito che quella può essere la loro casa».
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