In una di quelle orazioni funebri in cui gli accadde cosi spesso di esser la coscienza vivente del suo tempo, Bossuet pronunciò un giorno (nel 1685) una requisitoria ardente contro ciò ch'egli chiamava «l'intemperanza dello spirito». Quella dei sensi, egli diceva, non è l'unica, e forse neppure la più pericolosa e lusingatrice: anche l'intelligenza ha le sue vertigini e le sue tentazioni. « Un orgoglio che non può sopportare nessuna autorità legittima, uno stordimento volontario, una temerità che arrischia tutto»: tali erano, secondo lui, le cause profonde della rivolta luciferina alla quale
porta questa intemperanza. E il suo scopo, era lo scopo dell'uomo ribelle: «divenire l'unico oggetto delle proprie compiacenze, far di se stesso il proprio dio ». L'analisi era lucida: il vecchio vescovo conosceva le anime, e la propria epoca. E dinanzi alle prospettive che intravvedeva, non poteva trattenersi dal lasciar trasparire una dolorosa angoscia. Che sarebbe mai diventata la fede cristiana? Sarebbe stata capace di resistere agli assalti dell'orgoglio scatenato? Le porte dell'Inferno non sarebbero prevalse contro la Parola? All'amico Huet, vescovo di Avranches, egli scriveva anche: «Vedo prepararsi contro la Chiesa un grande combattimento».
(tratto da: D. Rops, Storia della Chiesa del Cristo, Vol. V/II, Roma 1961, p. 7
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