Verità e diversità

Le difficoltà dell'ecumenismo

Mah...
di Giovanni Cavalcoli
Un rischio del dialogo ecumenico attuale, che da tempo stiamo correndo, è quello della reticenza nei confronti della questione della verità. Si punta molto nell'esaltare la diversità, nel deplorare quell'uniformismo che disprezza il diverso; s’insiste sull'amore, sulla collaborazione, sulla reciprocità, sulla ricerca dell'unità, su ciò che si possiede in comune e che è condiviso, sullo spirito di pace e concordia, sulla necessità di evitare contrasti e conflitti. 
Imparare gli uni dagli altri, conoscersi meglio, perdono e apprezzamento reciproci, camminare assieme. Ma la questione della verità e del torto non viene
fuori. Si direbbe che tutti siamo nella verità. Nessuno è nell'errore. Si parla ancora sì di "contrasti", ma poi pare che li si possa ridurre a legittime "differenze". E tutto finisce lì con un "volèmose bene".
Perchè questa reticenza nel trattare della questione della verità? Su cosa ci si può accordare, se non sulla verità? Su cosa si fonda l'apprezzamento del diverso, se non sul fatto che entrambi sono nella verità? Come è possibile la collaborazione, la reciprocità, la concordia, l'amore, se non come messa in pratica del vero bene? Come si può camminare assieme, se non verso una medesima meta che sia un vero valore?
La Chiesa corregge gli erranti senza bisogno di essere essa stessa corretta. Similmente il medico cura il malato, ma non ha bisogno che il malato lo curi. Il maestro insegna allo studente; ma lo studente non fa scuola al maestro. Ebbene, in un certo ecumenismo, i cattolici hanno dimenticato questo loro compito di essere luce del mondo. 
A causa di un modo malinteso di porsi sul piano dei fratelli separati, troppo presi dalla coscienza, pur giusta, che siamo tutti peccatori e che in ognuno di noi nel contempo c'è del bene, dimentichiamo di rappresentare la Chiesa cattolica, "colonna e sostegno della verità" (I Tm 3.15) e quindi il dovere di condurre i fratelli dalle tenebre alla luce, alla pienezza della verità, colmare le lacune delle loro dottrine, dissipare i loro equivoci, correggere i loro errori, guarire le malattie del loro spirito.
Alcuni cattolici si fanno scrupolo di ciò, come se il porsi in questo atteggiamento fosse presunzione, arroganza, complesso di superiorità, violenza alla coscienza del fratello. Riducono l'universalità e la sublimità della dottrina della Chiesa alle modeste dimensioni della loro personalità particolare, fallibile e limitata. 
Non sbagliano nella coscienza della loro povera umanità, che li mantiene umili e modesti, ed anzi questo è un accorgimento in sè utile e necessario per evitare appunto presunzione ed arroganza. Sbagliano tuttavia nel trascurare la loro responsabilità di cercare almeno le vie per condurre il fratello alla verità e liberarlo dall'errore.
È vero che l'errante è diverso dal verace, il malato dal sano. Ma quale docente sensato lascerebbe lo scolaro nell'errore per rispettare la sua diversità? Quale medico coscienzioso trascura di curare il malato per rispettare la sua diversità? È vero che il fungo sano è diverso da quello velenoso, ma quale persona di buon senso mangerebbe quello velenoso per fare esperienza del diverso? Così l'opposizione tra dogma ed eresia non è solo questione di diversità, ma dell'opposizione che separa il vero dal falso.
C'è chi tace agli eretici il loro errore per non irritarli. E ci sono effettivamente certi eretici che si irritano, se vien fatto loro notare il loro errore. Io sono d'accordo con quell'ecumenismo che si astiene dal mostrare ai fratelli i loro errori temendo di irritarli. Ma finchè con carità non si riesce a renderli disponibili ad accettare la correzione, che cosa si conclude? Il tirare per le lunghe nel tacere l'errore non può creare nel fratello la convinzione che il cattolico ha scoperto di sbagliare nel condannarlo e che aveva ragione il fratello? 
Quando il Papa, con gesto di grande carità ed umiltà, è andato a far vista ai Valdesi, qualcuno di loro ha chiesto perdono alla Chiesa cattolica? O si sono limitati ad accogliere forse con una punta d'orgoglio il fratello pentito, anzi la Chiesa pentita? Da notare che il Papa ha chiesto perdono, ma non ha perdonato ed anzi ha ricordato come ancora i contrasti persistono, s'intendono evidentemente i contrasti dottrinali, noti da secoli. Dunque c'è ancora un conto in sospeso.
 Molti oggi, sia cattolici che non-cattolici, dopo ormai tanti decenni di un ecumenismo equivoco, nel quale non si sono mai ricordati agli eretici i loro errori, si sono fatti la convinzione che ormai la Chiesa si sia accorta di aver sbagliato nel condannare gli scismatici greci, gli hussiti, i luterani, i calvinisti, i valdesi, gli anglicani, gli idealisti, i  massoni, i comunisti, i teilhardiani, e via discorrendo, fino a giungere ai modernisti e ai lefevriani. 
Eppure il documento conciliare sull'ecumenismo, l'Unitatis redintegratio, insegna chiaramente qual è il fine ultimo dell'ecumenismo: condurre i lontani alla piena comunione con la Chiesa Romana: ad essa "bisogna che siano pienamente incorporati tutti quelli che già in qualche modo appartengono al popolo di Dio" (n.3). 
Il voto del Concilio è che, "superati gli ostacoli che impediscono la piena comunione ecclesiastica, tutti i cristiani, in un'unica celebrazione dell'eucaristia, si riuniscano nell'unità di quell'una ed unica Chiesa, che Cristo fin dall'inizio donò alla sua Chiesa, e che crediamo sussistere, senza possibilità di essere perduta, nella Chiesa cattolica" (n.4).
Il che vuol dire che l'ecumenismo dovrebbe recuperare il rapporto con l'apologetica e con l'evangelizzazione. Questi due rami della teologia pastorale non hanno solo il fine di introdurre al cattolicesimo i non credenti, ma anche i credenti delle altre religioni e i cristiani non-cattolici. 
La presa di coscienza di ciò che unisce e dei valori comuni è un obbiettivo non facile e laborioso, è certo dovere assoluto, è una grande conquista, una grande gioia donata dallo Spirito Santo. Ma non ci si può adagiare in questa situazione. Una volta raggiunto questo obbiettivo, quando è raggiunto, e questo è un grande risultato dell'ecumenismo di questi cinquant'anni, non bisogna, come si suol dire, "dormire sugli allori", come se, una volta preso atto di ciò che già ci unisce, il nostro compito di cattolici fosse finito; chè al contrario è solo l'inizio. 
Non dobbiamo avere paura di dichiarare apertamente, nei dovuti modi e nelle dovute circostanze, ai fratelli separati, che noi vogliamo averli con noi nella Chiesa Romana. Altrimenti tutte le cortesie, i complimenti, gli abbracci e gli incontri ecumenici diventano una bella messa in scena, per non dire un'ipocrita commedia.
 Tale convergenza è solo la base indispensabile che deve offrire ai cattolici l'opportunità e le condizioni per aiutare e stimolare, con ogni pazienza, prudenza e sapienza, i fratelli separati ad apprezzare e ad accogliere quei valori della cattolicità, che ad essi mancano e che in passato hanno abbandonato. Così similmente il medico si accosta al malato cominciando col verificare il suo stato di salute e le risorse delle quali il malato è in possesso, onde poter far leva su di esse per avviare la cura.
Che diremmo di un medico che indugiasse irragionevolmente nel rilevare le risorse positive rimaste nel malato e non si decidesse mai ad avviare la cura per rispettare la "diversità" del malato che vuol restare malato? Certo la malattia è cosa ben diversa dalla salute; ma chi non vede che è una diversità da eliminare? Così certo l'eresia è cosa diversa dal dogma: ma va rispettata una diversità di tal genere? 
L'eresia è semplicemente una diversa opinione o è un morbo dello spirito che va curato? Il difetto fondamentale di un ecumenismo sbagliato è il confondere il diverso con l'anormale o ponendo vero e falso, bene e male, virtù e vizio come legittime espressioni della diversità. Se è brutta cosa l'indifferentismo nel campo della salute fisica, molto peggio è l'indifferentismo, denunciato già dai Papi del sec. XIX, nel campo religioso e dogmatico.
L'identità non nuoce alla diversità, ma la fonda. Infatti, la diversità non è che la molteplicità dei modi di realizzare concretamente una data identità: nel caso, l'essere cattolico. Il cattolico che nel dialogo col lontano mostra chiaramente, con modestia e santa fierezza, la propria identità, senza farla pesare, ma anche senza ambiguità, dà prova di lealtà e coraggio e, se l'interlocutore non è prevenuto, si attira la sua simpatia e la sua ammirazione. Quante volte ho fatto questa esperienza! 
Ciò che nuoce ad A non è B, ma è non-A. Se tu mangi gli spaghetti, mentre io preferisco i maccheroni, non ho obiezioni. Ma se vedo che ti accingi a mangiare funghi velenosi, mi sento in dovere di avvertirti. Perchè mai il cattolico non dovrebbe far presente all'eretico che si trova nell'eresia? O preferisce dire a Dio come Caino: "Sono forse il custode di mio fratello?".
Certo, prima di avvertire il fratello che sbaglia, dobbiamo noi per primi cercare di essere nella verità in piena comunione col Magistero della Chiesa. E poi dobbiamo essere sicuri che il fratello sbaglia. Ma le eresie di Pietro Valdo o di Meister Eckhart o di Jan Hus o di Lutero o di Calvino o di o di Severino o di Leonardo Boff o di Teilhard de Chardin, checchè ne dicano i modernisti, sono note da tempo. Se qualcuno le fa sue, non possiamo tergiversare.
Se il male dello spirito è un semplice "diverso", perchè non sarebbe un semplice "diverso" anche il male fisico? O forse che la verità vale solo per le cose materiali e non per quelle dello spirito? Forse che ci sono certezze oggettive solo nel campo fisico e non in quello dello spirito? Forse che solo la salute fisica è sottoposta a leggi e non quella dello spirito? 
Questi sono purtroppo i termini di un inconcludente e sterile ecumenismo, che da cinquant'anni batte il passo sempre sullo stesso posto, come un soldatino sempre in attesa che gli si dia l'ordine di marciare che non arriva mai, accontentandosi di vaghe aspirazioni pacifiste, di una serie infinita di preghiere allo Spirito Santo "per l'unità dei cristiani", che a un certo punto sembrano tentare Dio. Al che viene in mente il saggio detto popolare "aiùtati che Dio ti aiuta". Coraggio, muoviamoci!
Indubbiamente, questo paragone del medico non ha un valore assoluto, perchè, come ho detto, è evidente che anche noi cattolici abbiamo i nostri difetti morali e possiamo avere lacune nella nostra preparazione dottrinale, per cui non si può assolutamente escludere che abbiamo da imparare dai non-cattolici sia sul piano dottrinale che morale. 
Ma allora, come ho detto, questo non toglie il primato della Chiesa Romana, che indegnamente rappresentiamo e quindi non possiamo identificarci sic et simpliciter con la pienezza della verità e della santità che essa deve annunciare e comunicare a tutti i popoli. Il cattolico non è il cattolicesimo, ed egli stesso, prima di farsi maestro degli altri, deve avere la massima cura di possedere in pienezza a mezzo di costanti verifiche presso il Magistero della Chiesa, quella verità cattolica della quale si vanta di essere discepolo e seguace.
Per quanto poi riguarda l'ecumenismo praticato dai non-cattolici nei nostri confronti, si ha l'impressione che spesso gli interlocutori non siano per nulla interessati non dico a farsi cattolici, ma neppure ad avvicinarsi a Roma, mentre sembrano o si illudono di godere da parte della Chiesa cattolica, di una specie di tacito avallo o consenso a che essi, al di là di tutte le volontà e speranze di unità costantemente dichiarate da ambo le parti, conservino le loro idee in contrasto con Roma, quasi si tratti di normali diversità ormai legalizzate, similmente al Francescano che, trattando col Domenicano, non si aspetta assolutamente che il Domenicano lo esorti ad entrare nel suo Ordine. 
Sorge così l'equivoco, già denunciato dal Beato Pio IX, che cattolici e protestanti siano normali "diversità" all'interno della medesima Chiesa di Cristo, diversità che non vanno tolte, ma rispettate, dimenticando che in realtà il problema di fondo è quello della verità e che questa non può convivere con l'eresia. 
La convivenza tra le persone va rispettata e promossa: è un esercizio di carità e mutua sopportazione. Dobbiamo lasciare che il grano sia mescolato al loglio; il che non vuol dire che non dobbiamo distinguere l'uno dall'altro. Ma non è tollerabile la coesistenza del vero col falso. Sani e malati sono certo diversi, ma sarebbe meglio che non ci fosse questa "diversità" e che possibilmente fossimo tutti sani, benchè in modalità diverse. 
L'autentica, costruttiva e sana diversità si pone nell'orizzonte del vero e del bene, non nella coesistenza di vero e falso, di male e di bene. Concludiamo con l'aureo detto di S. Agostino: In necessariis, unitas; in dubiis, libertas; in omnibus, caritas.

1 commento:

Anonimo ha detto...

S. Ignazio di Antiochia:
Conviene procedere con la mente del vescovo, come già fate. Il vostro presbiterato ben reputato degno di Dio è molto unito al vescovo come le corde della cetra. Per questo dalla vostra .unità e dal vostro amore concorde si canta a Gesù Cristo. E ciascuno diventi un coro, affinché nell'armonia del vostro accordo prendendo nell'unità il tono di Dio, cantiate a una sola voce per Gesù Cristo al Padre, perché vi ascolti, e vi riconosca per le buone opere, che siete la membra di Gesù Cristo.........Nessuno s'inganni: chi non è presso l'altare, è privo del pane di Dio.Se la preghiera di uno o due ha tanta forza, quanto più quella del vescovo e di tutta la Chiesa! Chi non partecipa alla riunione è un orgoglioso e si è giudicato. Sta scritto:Dio resiste agli orgogliosi. Stiamo attenti a non opporci al vescovo per essere sottomessi a Dio. Chiunque il padrone di casa abbia mandato per l'amministrazione della casa, bisogna che lo riceviamo come colui che l'ha mandato. Occorre onorare il vescovo come il Signore stesso.........Vi sono alcuni che portano il nome, ma compiono azioni indegne di Dio. Bisogna scansarli come bestie feroci. Sono cani idrofobi che mordono furtivamente. Occorre guardarsene perché sono incurabili. Non c'è che un solo medico, materiale e spirituale,.........Gesù Cristo nostro Signore......Per gli altri uomini pregate senza interruzione. In loro vi è speranza di conversione perchè trovino Dio. Davanti alla loro ira siate miti;alla loro megalomania siate umili;alle loro bestemmie opponete le vostre preghiere; al loro errore sia saldi nella fede;alla loro ferocia siate pacifici, non cercando di imitarli; nella bontà troviamoci come fratelli, cercando di essere imitatori del Signore. E' meglio tacere ed essere, che dire e non essere. E' bello insegnare, se chi perla opera...........................Amen

Ci siamo spostati dopo 13 anni

Cari amici, era il 2 novembre 2009 quando prendevamo in mano questo blog e gli davamo una nuova vita, come "voce culturale ufficiale...