di Pierfrancesco Nardini
Con la riscoperta di s. Tommaso è chiaro che il dovere fiscale deriva da un obbligo di coscienza, perché si radica nel diritto di natura, ossia nell'idea che debba essere finalizzato al bene comune. Ciò significa, però, che ogni suddito o cittadino - almeno in linea di principio - è in grado di comprendere se un tributo sia 'giusto' o meno (c. d. giustizia legale). In questo senso, un tributo è giusto o ingiusto non solamente in base alla sua entità, al 'peso' che grava sul cittadino o se è equamente distribuito, ma anche in base a chi lo istituisce e soprattutto, alle finalità per cui è stato istituito. I teologi morali elencano alcune condizioni generali affinché un tributo sia giusto. La dottrina cattolica è molto esigente in proposito. Basta che una di queste condizioni manchi, o ci sia anche solo il fondato sospetto che manchi, che il tributo è da considerare ingiusto e non deve essere pagato. Addirittura si commette peccato se lo si paga!
1) AUTORITÀ LEGITTIMA
La prima condizione è la legitima auctoritas: un tributo dev'essere pagato solo ad un'autorità legittima. Ma cosa rende legittima un'autorità secondo il
pensiero cattolico? Non basta il fatto di essere rappresentativa in termini liberal-democratici: ciò che è decisivo non è la forma di Stato, ma le finalità che l'autorità persegue, se queste sono indirizzate al bene umano e divino o meno.
2) TRIBUTO PROPORZIONATO
La seconda è la proportio tributi: il tributo, cioè, non deve chiedere ai cittadini più di quanto è necessario alla realizzazione del loro bene. Questa condizione si è enormemente sviluppata e - direi - complicata nello Stato sociale novecentesco (welfare state), che ha ampliato enormemente il suo campo d'azione, fino a trasformarsi talvolta in un sistema gravosissimo per la cittadinanza, senza essere più in grado di assolvere in modo efficiente ai compiti che si era posto. Qui vale il limite di un principio di sussidiarietà rettamente inteso.
3) GIUSTIZIA DISTRIBUTIVA
C'è poi la condizione della aequalitas in personis. Questo è il campo della cosiddetta 'giustizia distributiva': quando un tributo è distribuito in modo 'eguale' tra cittadini? Si devono tenere presenti le differenti ricchezze dei cittadini per adeguare ad esse l'entità del tributo, tenendo però anche conto di quanto il tributo incide sull'insieme dei beni del cittadino; per questo la dottrina cattolica - p. Luigi Taparelli ne è un esempio - ha fatto suo il principio della progressività delle imposte, un principio che è stato recepito anche dalla nostra Costituzione.
4) IL TRIBUTO NON DEVE ESSERE ECCESSIVAMENTE GRAVOSO
Il gesuita Noldin aggiunge un'ulteriore condizione, lo iustus modus: il tributo non deve essere percepito dai sudditi come eccessivamente gravoso.
5) LA GIUSTA CAUSA
Infine, la iustitia causae: questo è un tema veramente scottante e oggi praticamente rimosso tra i cattolici: come si è detto, il tributo deve avere come fine il bene comune, che ha alla sua radice il bene umano cattolicamente inteso. Solo una concezione liberale e laicista - che rende incomunicabili vita religiosa e vita civile - può pensare che un cattolico sia tenuto a pagare delle imposte ad uno Stato che finanzia una sanità che pratica aborti o eutanasia, una scuola pubblica che insegna dottrine anticristiane o uno Stato sociale che riconosce e assiste coppie omosessuali.
Nel leggere queste sue risposte e nel comprendere meglio alcuni aspetti della questione, viene però spontaneo chiedersi quali siano i margini di miglioramento che porterebbe l'applicazione nell'attuale società dei criteri di politica fiscale indicati nella teologia morale.
La dottrina sociale e la filosofia politica della Chiesa cattolica non propongono un particolare modello istituzionale, valido in ogni tempo e luogo. Nei secoli e nei millenni la Chiesa ha avuto a che fare con imperi burocratizzati, dotati di sistemi giuridici altamente sviluppati, regni barbarici semitribali e sistemi feudali, realtà comunali di democrazia diretta, signorie, repubbliche aristocratiche, monarchie assolutistiche, regimi parlamentari, dittature ecc. [...] La dottrina cattolica del 'dovere fiscale' e dei suoi limiti si è sviluppata nei secoli perché la Chiesa si è sempre dovuta rapportare a ordinamenti pubblici storicamente condizionati, cioè imperfetti, che spesso tendono a ledere quelli che sono stati definiti i "diritti divini nell'ordine sociale"; anzi, addirittura, in casi estremi, gli ordinamenti politici tendono a sostituirsi ai doveri nei confronti del Creatore, e si autointerpretano come autorità ultime, come "chiese secolari", come è successo con i sistemi totalitari statalisti del novecento e come continua a succedere con quelli umanitaristi ed ecumenisti dei nostri giorni. Non ci sono però soluzioni definitive, solo possibili miglioramenti. Punto di partenza per un miglioramento del sistema fiscale - per l'alleggerimento di una pressione fiscale avvertita, almeno in Italia, in modo diffuso oramai come insostenibile -, sarebbe l'introduzione nel nostro ordinamento pubblico di un autentico principio di sussidiarietà - non quello falso, assistenzialistico, introdotto sul finire degli anni '90 del secolo scorso con la riforma del Titolo V della Costituzione che ha contribuito ad aumentare enormemente la spesa pubblica -, che deve essere centrato sulla famiglie, sul rispetto della proprietà privata e sull'autosufficienza economica degli enti locali e autonomi che dovrebbero finanziare con beni propri non dico i servizi e le politiche economiche, ma almeno il loro funzionamento interno. E' chiaro che questo non è più il campo di studio di una dottrina etico-sociale del dovere fiscale, ma riguarda una scienza dell'amministrazione, delle politiche economiche e dei servizi pubblici, ripensata interamente in chiave sussidiaria.
In che modo si potrebbe riversare questa dottrina sull'attuale sistema fiscale italiano?
Una lettura dell'attuale sistema fiscale italiano alla luce della tradizionale dottrina cattolica ci porterebbe in molti casi a delle gravi conclusioni: in effetti, su molti punti le leggi che impongono dei tributi si presentano come ingiuste.
1) Anche a voler tralasciare il tema della legitima auctoritas - ci si potrebbe chiedere legittimamente se governi non direttamente voluti dal popolo italiano, come i governi Monti, Letta o Renzi, abbiano il diritto di incidere in modo così vistoso sui risparmi dei cittadini - non è possibile non soffermarci sul problema della proprtio tributi...
2) Per mantenere in piedi un sistema welfarstico spesso inefficiente e farraginoso - si pensi al nostro sistema pensionistico -, e pagare gli interessi sui debiti accumulati negli anni a seguito di una spesa pubblica irresponsabile, oggi lo Stato - direttamente o attraverso l'ampia sfilza di enti locali - si rifà sul cittadino e lede chiaramente quel diritto di proprietà che Leone XIII riconosceva come un diritto naturale da tutelare, garanzia di autentica libertà; ma anche le imposte sulle attività imprenditoriali e commerciali sono diventate insostenibili, con la conseguenza che spesso l'imprenditore deve scegliere se evadere in parte il fisco o chiudere e licenziare così i suoi dipendenti.
3) C'è poi la condizione della aequalitas in personis: dov'è la giustizia nel tassare gli immobili delle scuole cattoliche paritarie che svolgono un importante ruolo sussidiario - come di recente ha ricordato bene Giuseppe Rusconi nel suo saggio L'impegno (Rubbettino, 2013) - e non quelli di proprietà delle fondazioni bancarie? [Per le forti pressioni mediatiche il governo Monti ha poi cambiato idea e ha incluso i beni delle fondazioni bancarie tra quelli da tassare, N.d.R.]
4) Per quanto riguarda poi lo iustus modus, è sano un sistema fiscale che a causa dell'aumento delle imposte sulla casa costringe molti anziani a dover vendere l'immobile di proprietà nel quale vivono?
5) Tutto ciò, però, ha un riflesso sulla iusta causa che ha a che fare con il bene comune di una società nei suoi molteplici aspetti: l'eccesso di imposte sulle attività imprenditoriali, industriali e agricole – di recente è stata introdotta l'IMU anche sui terreni agricoli –, lede chiaramente il bene economico-sociale di una nazione; anche l'aumento vertiginoso delle imposte sugli immobili rappresenta un danno per il mercato degli immobili e per l'imprenditoria edile. Le imposte sugli immobili delle scuole cattoliche portano all'aumento delle rette che fanno perdere studenti o chiudere l'istituto, con un danno in generale per il bene della formazione. C'è poi un danno nei confronti del bene storico-culturale, derivante dall'attuale sistema tributario, di cui si sa poco: l'IMU ha in buona parte rivisto il regime di favore che la vecchia ICI stabiliva per i beni immobili vincolati. Un proprietario che conserva a sue spese un castello o un palazzo, se è costretto a vendere, oggi lo fa probabilmente frazionando l'immobile, con un danno per il patrimonio storico-artistico di una località, che è anche un danno per il mercato turistico! Da ultimo, dall'attuale sistema fiscale deriva un danno collettivo che non è solo economico, ma strettamente morale, perché legato a quello che il teologo Santiago Ramirez chiama il 'bene comune trascendente' (Dio): un cattolico deve chiedersi con lucidità e coraggio se non sia immorale - come già dicevo - finanziare un sistema sanitario pubblico che permette l'aborto - e oggi sta per negare anche la possibilità dell'obiezione di coscienza per i medici antiabortisti -, o un sistema scolastico che indottrina i bambini con l'ideologia gender o un ordinamento pubblico che è in procinto di riconoscere le c.d. 'unioni civili' tra omosessuali; bisogna chiedersi se di fronte a tutte queste leggi chiaramente anticristiane non ricorrano gli estremi per una forma di disobbedienza fiscale organizzata.
Nota di BastaBugie: per approfondire può essere interessante la lettura del seguente articolo di Antonio Socci
I CATTOLICI E LE TASSE DI UNO STATO SANGUISUGA
Lady Fisco sostiene che il cattolicesimo produce evasori... ma è piuttosto lo Stato il parassita che viola il patto sociale!
Fonte: Confederazione Civiltà Cristiana, 01/05/2015
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