I mascalzoni che vogliono mistificare l’oratore pro famiglia

di Giuliano Ferrara | 24 Giugno 2015 Il Foglio
La polizia del pensiero ha beccato Kiko Arguello, oratore della manifestazione contro l’ideologia del gender di sabato scorso, e lo ha arrestato. La discussione sul femminicidio c’entra fino a un certo punto. Il succo è l’abc del sentimento cristiano sul delitto, la colpa e il castigo di vivere senza Dio. Cialtroni.

Kiko Arguello in piazza San Giovanni durante la manifestazione di sabato scorso per la famiglia.
La polizia del pensiero ha beccato Kiko Arguello, oratore della manifestazione contro l’ideologia del gender di sabato scorso, e lo ha arrestato. Certe manifestazioni bisogna sporcarle subito, sennò il politicamente corretto
(religiosamente corretto) rischia di essere calpestato da centinaia di migliaia di persone pacifiche e serene che rivendicano il diritto a brindare alla propria coscienza prima ancora che agli interpreti untuosi della compassione francescana del Papa. Prima che lo impicchino, siano consentite a noi non manifestanti ma non obnubilati dalla crociata anticristiana due parole due.

ARTICOLI CORRELATI  L'origine della famiglia  Piano col tormentone “femminicidio” Kiko ha detto, in sintesi e in verità (guardatevi il clip in rete se non ci credete), solo e soltanto questo: “Quelli che uccidono le donne e i bambini, secondo la cultura corrente, lo fanno per abuso di potere maschile sulla donna, nell’ambito di un dualismo uomo-donna che è l’origine del male, per cui vai pure con la cultura Lgbt e distruggi la famiglia criminogena. Noi cristiani di piazza la pensiamo altrimenti. Secondo me il maschio restato senza Dio, senza fede, senza messa, senza comunione, si spersonalizza, perde il suo essere, e ricerca idolatricamente questo essere nel feticcio dell’amore femminile. Se si sente abbandonato dal feticcio sostitutivo della fede e dell’essere inserito in una visione trascendente della realtà, piomba nell’inferno, e crede di sanare la disperazione dell’abbandono con un atto di violenza derivante dalla perdita di questo essere”. E’ questo un discorso prettamente cristiano, è la eco delle pagine di Feodor Dostoevskij sul delitto, la colpa e il castigo di vivere senza Dio (senza Dio tutto è possibile). E’ l’abc del sentimento cristiano della cosa in materia. E’ perfino imbarazzante doverlo ricordare.

Può essere che la tirata di Arguello contro le sociologie e le ideologie del gender, che si inseriscono nella discussione sul femminicidio, sia sbagliata. Può essere che l’accento debba cadere di più e in modo più preciso sul delirio di potenza maschile in un mondo in cui l’aumento di valore e di partecipazione della donna alla vita civile e familiare è sentito come una sfida all’ego impazzito del maschio.

Può essere tutto quello che volete. Ma mistificare l’autentica vocazione di quel discorso e suggerire abusivamente, una specie di cattolicidio, che l’oratore pro familia sia in realtà uno che nega il significato profondo della vita di ogni donna, di ogni femmina, a petto della violenza che la colpisce, è una mascalzonata senza ulteriori aggettivi, una cosa inqualificabile, una resa all’ignoranza e all’irragione del più rozzo e poliziesco ideologismo.

Non si è obbligati a conoscere il pensiero o la sensibilità religiosa. Ma si è tenuti a rispettarne il senso grammaticale e sintattico, il suo dipanarsi in una legittima oratoria cristiana di fronte a un popolo di fedeli. Altrimenti si è fuori dalla procedura democratica e liberale, si entra in una zona ad alto rischio di intolleranza e di rigetto violento delle idee e delle identità. E che i deformatori non si chiamino laici, non ne hanno il diritto: il primo giornale che ha attaccato Arguello come “seminatore di zizzania” è lo pseudo-episcopale e pseudo-papista Avvenire normalizzato dopo la stagione ruiniana, un bollettino burocratico dell’insignificanza al servizio della menzogna.

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