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di Marco Mancini
L’assioma Ecclesia semper reformanda ha assunto nel tempo la sua validità anche nel cattolicesimo. Al n. 43 di Gaudium et Spes, i padri conciliari hanno affermato che “benché la Chiesa, per la virtù dello Spirito Santo, sia rimasta sempre sposa fedele del suo Signore e non abbia mai cessato di essere segno di salvezza nel mondo, essa tuttavia non ignora affatto che tra i suoi membri, sia chierici che laici, nella
lunga serie dei secoli passati, non sono mancati quelli che non furono fedeli allo Spirito di Dio. E qualunque sia il giudizio che la storia dà di tali difetti, noi dobbiamo essere consapevoli e combattere con forza e con coraggio, perché non ne abbia danno la diffusione del Vangelo”. Nel corso della storia. Dunque, la Sposa di Cristo, mediante il contributo di uomini santi e l’intervento del Magistero, è stata soggetta a rinnovamenti, profondamente legati, però, non bisogna mai dimenticarlo, alla salvaguardia e alla custodia della Verità contenuta nel Vangelo. I pontificati di san Pio X e quello attuale di Papa Francesco, pur se distanti dal punto di vista temporale, presentano delle affinità riguardo al desiderio di entrambi di apportare delle riforme in alcuni settori della Chiesa. San Pio X, con il motto Instaurare omnia in Christo, avrebbe voluto ricristianizzare non solo la società, “in cui si cercava di sostituire agli insegnamenti del Magistero ecclesiale, in materia di fede e di morale, le nuove verità del pensiero moderno, tra cui molte dichiaratamente atee”, e riportare Cristo al centro della vita di molti chierici, che a causa delle novità proposte dal modernismo, erano giunti ad intendere la comunità ecclesiale soprattutto in senso sociologico, distorcendo così anche la dimensione cristologica. “Si entra nella Chiesa non attraverso appartenenze sociologiche, bensì attraverso l’inserzione nel corpo stesso del Signore, per mezzo del battesimo e dell’Eucaristia. La Chiesa di Cristo non è un partito, non è un’associazione, non è un club: la sua struttura non è democratica ma sacramentale, dunque gerarchica” . La visione modernista della Chiesa al tempo di Pio x e quella neo-modernista dell’età contemporanea, sotto l’influsso delle correnti positiviste, scientiste, umanitariste e antropocentriste, tendono ad una concezione progressista dell’uomo e della fede, proponendo una Chiesa fondata sull’evoluzionismo dogmatico e sull’indipendenza dall’assillante munus docendi del Magistero ecclesiale. Sia allora, che attualmente, queste concezioni sono state, da Pio X, e sono tuttora contrastate da Papa Francesco. Pio X contro l’adesione di molti membri del clero del suo tempo alle nuove istanze ideologiche, ribadì l’importanza della circolarità tra teoria (fede creduta) e prassi (fede vissuta) nel pensiero cristiano. Il binomio carità-verità è infatti al centro dell’insegnamento cristiano: amore e verità sono infatti strettamente legati tra loro, anzi, l’amore senza la verità sarebbe cieco. “Solo nella verità, la carità risplende e può essere autenticamente vissuta. Senza la verità la carità scivola nel sentimentalismo” . L’agire della Chiesa, dunque, deve essere sempre in relazione con la dimensione dogmatica. San Pio X, ha sempre tenuto in un rapporto di reciprocità dialettica queste due dimensioni, infatti, pur facendo della carità (aiuto verso gli indigenti- misericordia verso i peccatori- istruzione agli analfabeti) il perno della sua azione pastorale, quando le circostanze lo hanno richiesto, non si è tirato indietro a tener ferme e a riproporre le verità di fede su cui il cristianesimo si sorregge. Alla stessa stregua, anche Papa Francesco, pur ribadendo che il messaggio centrale di Gesù è la misericordia e definendosi come “ il vescovo della Chiesa di Roma che è quella che presiede nella carità tutte le altre chiese”, non ha esitato ad ammonire i pastori del gregge (vescovi e sacerdoti) esortandoli a rimettere Cristo al centro della loro missione e a lasciarsi convertire da Lui. Per far questo ha invitato le guide delle comunità ecclesiali, a non lasciarsi risucchiare da compiti esclusivamente burocratici e, tra questi, anche l’assolutizzazione della riflessione teologica a scapito dell’azione pastorale, che hanno portato la Chiesa ad ammalarsi di autoreferenzialità, in una sorta di “narcisismo teologico”, ma, anzi, a uscire verso le periferie, ritornando al contatto diretto col popolo mediante l’annuncio gioioso del Vangelo. Anche Pio X, mediante la lotta al modernismo e la riforma della curia, ha impedito che nella Chiesa diventassero dogma le nuove correnti di pensiero e ha rinnovato l’istituzione ecclesiastica salvandola da un sistema ipertrofico verso cui si era orientata. Il contatto diretto col popolo, le carezze sulle gote dei bisognosi, l’amore per i poveri, la vicinanza verso i migranti ( italiani per Pio X - di altre nazionalità per Francesco), il riconoscimento dell’importanza dei sinodi come forma di comunione ecclesiale e dei sani valori dello sport (il calcio per Francesco – le Olimpiadi per Pio X), l’amore verso l’uomo e il creato, insieme ad una forte presa di posizione contro l’autoreferenzialità della Chiesa, contro il liberismo sfrenato e il marxismo, oltre ad una simpatia per la spiritualità salesiana e francescana, sono tutti elementi che accomunano i due pontefici. Ma ciò che li lega maggiormente, nonostante orientamenti teologici ed ecclesiologici diversi, è il grande amore per la figura di Cristo come il Buon Pastore, che “umile e povero, accoppia l’attenzione per il prossimo con il disinteresse per se stesso. Lo scopo del Pastore è quindi lo stesso della Chiesa: redimere l’uomo dal peccato e far trionfare in lui la grazia” . Proprio come il Buon Pastore anche i sacerdoti devono curare con amore e con i sacramenti il gregge di Cristo. Ecco che, allora, anche il tentativo di riforma di Francesco, si fonda sul desiderio di restaurare l’amore di Cristo e per Cristo in tutte le cose, dando sì molta importanza all’azione, ma non dimenticando mai che questa, non può essere staccata dai contenuti evangelici e da quanto disposto dal Magistero nel corso dei secoli. “ Restaurare un edificio non è abbatterlo per farne un altro, è rinnovarlo, conservandolo e preservandolo” . Ogni tentativo di riforma deve avere dunque questo fine: di migliorare da un lato, di correggere e custodire dall’altro.
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