di Giovanni Cavalcoli
Famosa è rimasta l'osservazione fatta dal Maritain nel suo libro Le paysan de la Garonne del 1966, secondo la quale era risorto un modernismo così grave, che il modernismo dei tempi di S. Pio X era un semplice "raffreddore", se messo a confronto con la "polmonite" del modernismo che allora stava risorgendo. E sì che Pio X lo aveva definito nella famosa Pascendi come la "somma di tutte le eresie"!
L'osservazione del grande filosofo e teologo francese, più volte lodato dai Papi del postconcilio, per quanto
impressionante ed apparentemente esagerata e anacronistica, in realtà è giusta, estremamente illuminante e profetica, se rettamente intesa, per orientarsi e saper discernere e valutare nella drammatica, confusa e complessa situazione attuale della teologia e della Chiesa di oggi.
Infatti, a tutta prima il modernismo condannato da S. Pio X sembrerebbe un fenomeno storico ormai passato da tempo. Gli errori denunciati in quel documento non sembrano essere quelli di oggi. Alcuni poi sostengono che il Papa non seppe riconoscere le esigenze di ammodernamento o di attenzione alla modernità che erano proprie dei modernisti.
Per la verità, gli errori del modernismo denunciato da S. Pio X si risolvevano nel kantismo, nel fenomenismo positivista, nell'empirismo, nello storicismo e nel filoprotestantesimo. Ma quello di oggi aggiunge connivenze con molte altre ideologie, filosofie e religioni, come l'esistenzialismo, Hegel, Marx, Freud, il buddismo, la massoneria, lo gnosticismo e l'induismo, per non parlare che dei contatti principali.
Indubbiamente, considerando oggi in modo ampio, spassionato e oggettivo quella grande enciclica in base all'attuale tendenza del Magistero della Chiesa di mettere in luce i punti di contatto del cristianesimo col pensiero moderno, l'assenza del suddetto riconoscimento è evidente: il modernismo sembra risolversi in un cumulo di errori senza la minima luce di alcuna verità.
È vero che di fatto i modernisti manifestavano insieme a errori, istanze giuste di riforma, di progresso e di rinnovamento, che sono state recepite dal Concilio Vaticano II. Tuttavia nessuno ci impedisce di usare il termine nel senso negativo usato da S. Pio X e dal Maritain.
In questo senso, il modernismo dei tempi del Santo Pontefice e dei nostri ha come elemento essenziale e comune, che consente di usare il termine per entrambi i tempi, il fatto di essere il progetto e l'attuazione di un'assunzione, nel cristianesimo, della modernità considerata come regola assoluta di quell'ammodernamento o progresso del pensiero e della vita cristiani, dei quali oggi gli spiriti più amanti di progresso e di svecchiamento sentono l'esigenza.
Lo sbaglio del modernismo inteso in questo senso non sta tanto nella volontà di assumere il moderno o di essere moderni. Inteso bene, questo intento risponde a un preciso ed inderogabile dovere non dico di ogni buon cristiano, ma di ogni uomo ragionevole; è un moto spontaneo e un bisogno insopprimibile della vita umana migliorarsi o avanzare continuamente nella conoscenza della verità e nella pratica del bene.
La vita umana comporta il rapporto con valori immutabili e non negoziabili naturali e soprannaturali, di ragione e di fede, umani e divini, dei quali ci si deve impossessare con fedeltà, sempre meglio e sempre di più, raggiungendo mete sempre più elevate ed abbandonando magari con riconoscenza, quanto, in questa visuale, è invecchiato o ha fatto il proprio tempo o ha esaurito la sua funzione o ci si accorge che è sbagliato, pur essendosene serviti in precedenza in buona fede magari a lungo.
Il "moderno" in tal senso, ossia il progredito, il nuovo come sviluppo o esplicitazione dell'antico o del tradizionale, tale da conservare il perenne e anzi potenziarlo ed elevarlo con il migliorarlo, l'aumentarlo o l'approfondirlo, certamente è un valore.
Tuttavia, affinchè sia veramente un valore e non una sovversione o un tradimento o una falsificazione o una decadenza, bisogna che il moderno sia riconosciuto, stabilito e determinato in base a criteri giusti, saldi, sicuri ed incorruttibili, così come la crescita della costruzione di un edificio o di un'impresa, per essere affidabile, per essere un compimento e perfezionamento, garanzia di futuro e non illusione o spreco di tempo, dev'essere basata su solide e ben verificate fondamenta, per non correre il pericolo che a un certo punto tutto crolli e occorra rifare tutto daccapo.
L'errore, insidia o illusione del modernismo sta nel voler costruire il moderno e voler progredire o rinnovare o riformare non utilizzando una modernità vagliata alla luce della sana ragione e del Vangelo, ma voler determinare o stabilire una ragione e una fede sulla base e col criterio di una modernità, nella quale non si sono separati pregi e difetti appunto alla luce della ragione e della fede.
In poche parole: invece di regolare il mondo moderno sulla base del Vangelo, si pretende di regolare il Vangelo sulla base del mondo moderno. Il modernismo come idolatria del moderno. Questo è il modernismo di ieri e di oggi, al di là delle innegabili differenze accidentali, come eresia e come fenomeno deprecabile e nefasto, quali che siano gli orpelli e i pretesti con i quali viene coperto, astuti espedienti nell'uso dei quali i modernisti sono abilissimi artisti.
La modernità alla quale si rifanno i modernisti è soprattutto quella fondata da Cartesio nel campo della ragione e da Lutero nel campo della fede. Nel '600, a cominciare da Leibniz, i protestanti si accorsero dell'affinità del concetto di coscienza in Lutero e in Cartesio e, volendo, benchè contro l'espressa proibizione di Lutero, dare un fondamento filosofico alla fede luterana, pensarono di utilizzare Cartesio.
Infatti, tanto il concetto luterano di coscienza, quanto quello cartesiano non implicano la relazione della coscienza a una realtà esterna, oggettiva, ma la relazione con Dio, che pur continua a esser visto oggettivamente e realisticamente, come esistente indipendentemente dall'io, tende a risolversi nella pura immanenza ed interiorità, sicchè si insinua un virus idealistico e soggettivistico, che, ulteriormente sviluppato dagli idealisti tedeschi dei secoli successivi fino ad Hegel, trasformerà la coscienza o "autocoscienza" in un Assoluto autoreferenziale (cogito) e Dio in una semplice produzione interiore o ideale della coscienza (Husserl).
Il Concilio Vaticano II, come si sa, ha avuto un esplicito e formale intento di progresso, avanzamento, rinnovamento della teologia e della vita cristiana, mediante l'utilizzo dei valori della modernità, non certo ottenuto con criterio modernistico, ma ovviamente sulla base e con il criterio del dogma cristiano e della divina Rivelazione, custodita dalla Scrittura e dalla Tradizione (vedi il mio libro Progresso nella continuità).
Accusare quindi, come fanno alcuni, di modernismo le dottrine del Concilio, senza escludere il Magistero pontificio postconciliare, sino a quello del Papa attuale, è del tutto fuori luogo e incompatibile con un vero cattolicesimo e un'autentica appartenenza alla Chiesa. È importante invece rendersi conto della continuità degli insegnamenti conciliari con la Tradizione , riconoscendo in essi non un rottura, ma, al contrario, uno sviluppo e un'esplicitazione.
Occorre inoltre smetterla di identificare progressismo e modernismo. Si fa solo il gioco dei modernisti e si scredita il vero progresso. Infatti gli stessi modernisti si sono coperti finora con questo titolo onorevole di "progressista" per celare e far passare le eresie del modernismo. Al contrario, un sano progressismo in reciprocità con un sano tradizionalismo, sono una benedizione per la Chiesa e preziosi fattori di concordia e di reciproca collaborazione per la costruzione del Regno di Dio.
Così similmente il "tradizionalismo" recentemente condannato dal Papa nel suo discorso al sinodo dei vescovi non ha niente a che fare con quell'amore per la Tradizione che sa vederla in armonia col Concilio, ma con quel falso tradizionalismo che al contrario vorrebbe accusare di modernismo il Concilio e tutti i Papi del postconcilio.
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