di Giovanni Cavalcoli
Il recente intervento Del Santo Padre che ha commissariato i Francescani dell’Immacolata per la questione della Messa Tridentina ripropone in modo serio ed urgente il problema di una regolamentazione della celebrazione di questo rito in coordinamento col rito nuovo.
Non possiamo che apprezzare il comunicato web di un rappresentante del benemerito Istituto religioso, nel quale si dichiara la piena adesione alle disposizioni del Papa. Sembra
di trovare nell’ingiunzione della S. Sede un restrizione alle disposizioni del Motu Proprio di Benedetto XVI peraltro solo in riferimento alla prassi dell’Istituto suddetto e non di carattere generale. Ciò non deve stupire, perché il Papa su questa materia, che è puramente disciplinare, può benissimo mutare a suo arbitrio le decisioni di un Papa precedente.
Ho una grandissimo stima per i Francescani dell’Immacolata, che conosco bene da alcuni anni, in particolare, oltre a nutrire una profonda venerazione per il Fondatore, il Padre Stefano Manelli, sono amico ed ammiratore del loro teologo Padre Serafino Lanzetta, mente acuta, fedele al Magistero, che unisce la mitezza francescana a una coraggiosa critica di sapore domenicano agli errori modernisti, Religioso austero di un orientamento sanamente tradizionalista, ma rispettoso delle dottrine del Concilio Vaticano II, ammiratore del Servo di Dio Padre Tomas Tyn, del quale seguo la Causa di Beatificazione, un grande teologo domenicano vissuto nel secolo scorso, devoto sia della Messa Tridentina che di quella di Paolo VI.
Non so esattamente che cosa abbia provocato l’intervento dell’autorità, suppongo che esista qualche motivo ragionevole e sono certo che se ci sono equivoci o malintesi essi saranno chiariti. So che questi Francescani si avvalevano del permesso di Benedetto XVI dato alle comunità religiose di celebrare quotidianamente la Messa vetus ordo. Seguiamo con attenzione questa vicenda con affetto e fiducia per questi Fratelli, che indubbiamente stanno subendo una dolorosa prova, ma sono sicuro che presto le cose si chiariranno.
Considerando la drammatica questione nel suo aspetto generale, bisogna esprimere il fervido voto che i vescovi, al di fuori di qualunque parzialità indegna del loro alto ufficio, facciano il possibile affinchè ogni fedele abbia la possibilità di scegliere la Messa che preferisce. I conservatori devono apprezzare anche la Messa nuova, mentre i modernisti devono cessare l’ostracismo.
È comprensibile che il novus ordo abbia la prevalenza negli ambienti ecclesiali più ufficiali, nelle parrocchie, negli uffici ecclesiastici, alla S. Sede, nelle basiliche romane e pontificie, nelle fondazioni, negli enti e negli istituti religiosi, diocesani e pontifici di ogni genere, forma e grado. Se il Vaticano II ha voluto riformare la Messa, ne ha avuto un motivo, anche se questo tipo di riforme possono essere fallibili o rivedibili. Molte volte il rito della Messa nel corso della sua lunga storia è stato mutato per adattarlo a varie circostanze.
La cosa fondamentale che tutti, conservatori o innovatori devono tener presente, è che la Messa è sempre la Messa, novus ordo o vetus ordo sono quindi una cosa accidentale, secondaria e contingente, che non intacca l’unica immutabile essenza della Messa e che quindi non deve dividere gli animi e creare esclusivismi o antagonismi. Bisogna che tutti abbiano l’apertura di mente, che poi è schietta fede, di andare al di là delle differenze e delle preferenze personali e vedere nella Messa, quale che ne sia il rito legittimo, dovutamente celebrata, l’unica immutabile Messa istituita da Nostro Signore Gesù Cristo.
Volendo, per esprimere questo concetto, fare un paragone che potrebbe sembrare irriverente data l’elevatezza dei valori in gioco, prendiamo un fatto materiale molto facile da intendere. Infatti è dalle cose materiali che noi comprendiamo le differenze con quelle spirituali e divine. Ebbene, che ne direste se uno sostenesse che l’unica pasta legittima sono le fettuccine mentre un altro sostenesse che l’unica pasta legittima sono i maccheroni? Qui abbiamo il ridicolo, al quale però nel caso della Messa si aggiunge il tragico.
Come ho avuto occasione di dire in altre circostanze e come molti altri meglio di me hanno detto e ripetuto, le due forme di Messa si completano a vicenda, rispondono ad esigenze diverse, pur nella sostanziale identità ed uguaglianza della loro unica immutabile essenza.
La Messa vetus ordo favorisce l’elevazione dello spirito, accentua l’aspetto del sacrificio, la simbologia mistica del sacro, del mistero e della trascendenza, il celebrante appare di più come mediatore delle realtà celesti; la Messa novus ordo sottolinea il sacerdozio del popolo di Dio e la sua partecipazione attiva, l’aspetto comunitario ed escatologico del banchetto messianico, la chiarezza dei segni, dei linguaggi e dei simboli adatti alle varie culture, l’orientamento ecumenico, l’aspetto festoso: tutte cose lecite e sante che evidentemente non possono esser espresse tutte assieme in un unico rito perché per alcuni aspetti si escludono a vicenda, così come un medesimo soggetto non può aver simultaneamente gli occhi neri ed azzurri, né può essere contemporaneamente maschio e femmina.
Questa vicenda dei Francescani dell’Immacolata è un ulteriore segnale dell’urgenza che la S. Sede organizzi meglio con apposite e dettagliate disposizioni di luoghi, tempi, forme, modalità e persone il rapporto che deve esistere tra le due forme di Messe, onde evitare ingiustificati esclusivismi del tutto contrari allo spirito cattolico e al rispetto dovuto al Sacrificio di Cristo.
Il paragone che è stato fatto da alcuni con altri riti, come per esempio quello Ambrosiano o Uniate o Armeno o Copto non regge, perché in tal caso abbiamo tradizioni locali secolari e consolidate, mentre nel nostro caso abbiamo due forme del Rito Romano, cosa che non è mai successa in tutta la storia della Chiesa Romana, e che non contribuisce all’immagine tradizionale dell’unità della Chiesa Romana proprio in un settore così delicato qual è la liturgia.
La diffusa antipatia dei vescovi nei confronti del vetus ordo già così favorito da Benedetto XVI è anche questa una conturbante stonatura che incrina l’immagine della comunione ecclesiale e il prestigio degli stessi vescovi, segno a mio avviso di una più profonda crisi di tipo dottrinale, pastorale e spirituale che sta tormentando e sconvolgendo la Chiesa ormai da decenni per un malinteso modo di attuare la riforma del Concilio Vaticano II.
La radice ultima e profonda del male è dottrinale, è una crisi di fede, così come il principio originario della salvezza è la verità di fede, e questo male è il rinato modernismo che, non dovutamente represso, gradatamente si è diffuso nella Chiesa fino a raggiungere oggi posti di potere persino nella S. Sede. Da qui la riforma in atto di Papa Francesco, riforma che dovrà essere sì di carattere amministrativo e finanziario, ma soprattutto morale, spirituale e dottrinale, giacchè il falso concetto di liturgia che è alle origini dell’attuale disordine liturgico è precisamente da rintracciare in un falso concetto di sacro, di religione, di sacerdozio, di sacramento, di Chiesa, discendente a sua volta da un falso concetto della redenzione, della rivelazione, della fede, della grazia, dell’uomo, della morale e del rapporto stesso dell’uomo con Dio, come è possibile constatare per esempio, se si fa la dovuta attenzione, nella teologia di Karl Rahner.
La soluzione ventilata da alcuni sarebbe che il Papa istituisse un nuovo rito della Messa, che abolisse gli altri due, un rito che tornasse a essere unico e che raccogliesse in una sapiente sintesi le qualità e i pregi propri dell’uno e dell’altro oggi esistenti, ma ciò incontrerebbe a mio giudizio la difficoltà segnalata sopra ed inoltre per una riforma così importante forse occorrerebbe un nuovo Concilio.
Nel frattempo è assolutamente necessario che cessino le opposizioni testarde, faziose e unilaterali tra sostenitori dei due riti e che vi sia mutuo rispetto e reciproca comprensione sotto la vigilanza di un episcopato che recuperi il prestigio che gli compete sotto la guida del Vicario di Cristo.
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