Ecumenismo e matrimonio

Card. Kasper, fuori dai cardini
di Giovanni Cavalcoli
In una recente intervista concessa ad Andrea Tornielli dal Card. Kasper in rapporto all’attuale sinodo dei Vescovi sulla famiglia, il Porporato ha avanzato, seppure in tono interrogativo, la seguente proposta: «la dottrina della Chiesa non è un sistema chiuso: il Concilio Vaticano II insegna che c’è uno sviluppo, nel senso di un approfondimento possibile. Mi chiedo se sia possibile in questo caso” (intende dei divorziati risposati civilmente) “un approfondimento simile a
quello avvenuto nell'ecclesiologia: anche se quella cattolica è la vera Chiesa di Cristo, ci sono elementi di ecclesialità anche fuori dai confini istituzionali della Chiesa cattolica. In certi casi, non si potrebbero riconoscere anche in un matrimonio civile degli elementi del matrimonio sacramentale? Per esempio l'impegno definitivo, l’amore e la cura reciproca, la vita cristiana, l’impegno pubblico che non c’è nelle coppie di fatto?”.
Tale proposta mi pare difettosa e quindi inaccettabile per due motivi.
Primo, quando ci sono delle questioni morali o pastorali o giuridiche, non si tratta di “approfondire”, ma di applicare nel modo migliore possibile, ammettendo, se è il caso, delle eccezioni alla norma comune, in nome o di una superiore giustizia, tradizionalmente chiamata dai moralisti “epicheia”, che potrebbe tradursi anche con “equità” - quella che Cristo chiama giustizia “superiore a quella degli scribi e dei farisei” (Mt 5,20) -, per la quale non si dà una violazione della legge morale naturale o divina, ma al contrario una superiore e più prudente applicazione cogliendo lo spirito della legge al di là della lettera. 
Esempio di questa superiore giustizia, strettamente connessa con la carità, è l’atteggiamento di Gesù nei confronti della legge del sabato, che pure era sacra e prescritta da Mosè, ma alla quale Gesù non si perita di soprassedere, in certi casi urgenti che interpellavano la sua carità e la sua compassione per le sofferenze umane.
L’approfondimento riguarda invece la dottrina o il sapere speculativo, come può essere la scienza, il dogma, la teologia, la dottrina della Chiesa, perché qui non si tratta di escogitare una soluzione pratica, come invece è il caso dei divorziati risposati, ma di capire meglio, di far avanzare il sapere, di dedurre nuove conclusioni teoriche. 
Un conto è sapere meglio, un conto agire meglio. Nel campo del sapere occorre andare al “fondamento”, da cui l’espressione “approfondire”; nel campo dell’azione bisogna invece, grazie all’applicazione di un’idea pratica conforme alla legge, si tratta di realizzare meglio, magari in modi eccezionali o straordinari, l’obbiettivo o fine proposto dalla legge.
Per questo, il richiamo del Cardinale al Concilio è fuori luogo. È vero che il Concilio approfondisce, chiarisce e spiega taluni aspetti dell’ecclesiologia o del rapporto dei cattolici con i non-cattolici, per cui è vero che esso insegna che al di fuori dei confini visibili della Chiesa Cattolica e quindi anche in formazioni cristiane non-cattoliche, esistono elementi di cristianesimo che noi cattolici abbiamo in comune con loro, per cui è vero che questi fratelli separati, nella misura in cui vivono questi valori che abbiamo con loro in comune, partecipano della pienezza della verità e della santità che si trova soltanto nella Chiesa Cattolica, e anzi, se sono in buona fede, appartengono già senz’altro, benchè senza saperlo, alla medesima Chiesa Cattolica, per cui possono salvarsi, dato che al di fuori di essa non c’è salvezza.
La messa in luce consapevole, metodica e concordata con i fratelli non-cattolici dei comuni valori di fede che tuttora sono restati o che essi hanno recuperato, nonostante il loro passato distacco e la loro attuale separazione dal cattolicesimo, è il compito primario dell’ecumenismo promosso dal Concilio, il quale peraltro, nel famoso documento Unitatis redintegratio, si premura di indicare, seppure sommariamente e non in modo completo, i principali punti dogmatici o di fede che noi cattolici abbiamo in comune con loro. In ciò, trattandosi di dottrine, certamente il Concilio ci dà un insegnamento sicuro.
Diversa e minore autorità hanno invece le disposizioni o direttive della Chiesa sia conciliare che postconciliare circa l’attuazione pratica dell’ecumenismo e in particolare la condotta che i  cattolici devono tenere nei confronti dei fratelli separati. Qui il Magistero non è garantito dall’infallibilità, come invece lo è nel campo dottrinale, per cui non è escluso che nel corso delle attività ecumeniche, la Chiesa emani norme o direttive meno prudenti o addirittura errate, che quindi occorre o modificare o completare o abrogare o correggere.
In secondo luogo, il paragone fatto da Kasper tra il sacramento del matrimonio e l’ecclesiologia del Concilio non tiene. Infatti, se sono possibili diversi gradi di appartenenza alla Chiesa, non ha senso parlare di gradi d’attuazione dell’essenza di un sacramento, come si esprime Kasper, quando parla di “elementi del matrimonio sacramentale”, che potrebbero trovarsi nel matrimonio civile, accessibile quindi anche alle coppie di fatto. Infatti, gradi di partecipazione si possono avere solo rispetto a un tutto, del quale si possa avere una parte più o meno grande.
La Chiesa potrà semmai, nella sua materna prudenza e amorevole attenzione ai casi umani più diversi e difficili, studiare una forma di riconoscimento, se non canonico, almeno pastorale, di queste coppie al fine di aiutarle convenientemente nel loro cammino di fede.
Ora, il sacramento, per sua essenza, così come l’ha voluto Cristo, risulta sì da un insieme di fattori (materia, forma, soggetto e ministro), ma essi costituiscono un insieme indivisibile, per cui o ci sono tutti, oppure basta che ne manchi uno e il sacramento non c’è o è invalido.
Un sacramento può essere ricevuto o amministrato più o meno bene, lecitamente o illecitamente, in circostanze più meno favorevoli o fruttuose - pensiamo per esempio alla differenza tra matrimoni ordinari e matrimoni misti -; ma il sacramento in se stesso è sempre quello, ha una sua precisa immutabile e immodificabile identità, senza alcuna possibilità di abbuono o di sconto di qualche elemento essenziale, senza che venga meno il sacramento stesso.
Gli aspetti del matrimonio esemplificati da Kasper sono indubbiamente reali, ma non servono affatto a dimostrare la sua tesi, perchè essi, per quanto almeno implicitamente, concorrono a formare il sacramento, per cui, mancando certi altri elementi essenziali, non hanno in ultima analisi nulla a che vedere col sacramento, che, come ho detto, non si può assumere né amministrare in parte, ma solo nella sua essenziale interezza, risultante appunto da tutti gli elementi essenziali, così come, per costituire la natura umana, non basta un’anima qualunque, ma occorre un’anima spirituale che dia forma a un corpo materiale.
Diverso invece è il caso della Chiesa, la quale è una realtà sociale molto complessa, fatta di un insieme di valori dottrinali e morali, materiali e spirituali, naturali e soprannaturali, tra di loro distinti e di per sé disgiungibili, nonchè di componenti umane individuali e collettive - i fedeli sotto la guida dei pastori -, i quali, benchè tutti concorrenti alla costituzione del tutto, possono essere entro certi limiti separabili tra di loro, in modo tale che alcuni possono essere presenti ed altri mancare, senza che per questo venga a mancare totalmente l’essenza della Chiesa, sicchè possono esistere diversi gradi di essere Chiesa e di appartenenza e di comunione ecclesiale, da un massimo, che è quello del cattolico, ai gradi inferiori decrescenti sino all’infimo, al di sotto del quale non c’è più Chiesa, ma semmai una qualunque società umana.
Né dunque il matrimonio civile, né le convivenze di fatto possono assolutamente assumere o essere rivestite da una “parte” del sacramento, cosa che, come si è detto, non ha senso. Ciò che invece è possibile, come è ben noto, in linea di principio, è abbinare matrimonio civile e matrimonio religioso in una medesima coppia, ciò che già si fa in molti casi.
Quanto invece alle convivenze di soggetti legati a un precedente matrimonio cristiano o di divorziati risposati, è cosa saggia attendere le proposte del sinodo e la decisione finale del Santo Padre.
Da buoni cattolici, come abbiamo accettato finora la normativa vigente, così siamo pronti ad accettare con uguale obbedienza eventuali modifiche, senza le vane preoccupazioni dei conservatori o la faciloneria irresponsabile dei modernisti, entrambi propensi a credere - i primi, angosciati, i secondi, esultanti - che la Chiesa abbandonerà la dottrina dell’indissolubilità del matrimonio, forse in base a uno sconsiderato perdonismo a 360°, che non sarebbe altro che una presa in giro della dignità dell’uomo e della donna e della bontà divina.

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