Caro dottor Gnocchi,
sono in procinto di partire per le vacanze e vorrei portarmi un libro che mi faccia bene e mi faccia star bene. Sto cercando in libreria qualcosa che mi permetta di non perdere la speranza anche se mostra magari la crudezza della situazione in cui viviamo. Che cosa mi può consigliare?
Grazie e un caro saluto
Maria Luisa Anselmi
Cara Maria Luisa,
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metto le mani avanti dichiarando fin dall’inizio che il libro di cui le voglio parlare è edito da Fede & Cultura nella collana “I libri del ritorno all’Ordine” ideata lo scorso anno da Mario Palmaro e dal sottoscritto. Però, prima di ritenere questo consiglio uno spot interessato, mi segua fino in fondo. Anzi, mi faccia avere un recapito e le farò mandare una copia gratuita: se poi non la deluderà, ne comprerà a sua volta una da regalare. Sto parlando di un’opera preziosa e deliziosa che si intitola “Quella cara vecchia pipa. Le piccole cose, le favole e la tradizione in Gilbert Keith Chesterton”.
L’autore, che ha la sventura di essere uno degli amici a cui voglio più bene e di cui apprezzo l’intelligenza inattuale e dunque sempre utilissima, ha il pregio di essere tra i
pochissimi che parlano di Chesterton conoscendolo davvero, direi essendogli intimi. Un tratto raro in tempi in cui spuntano come funghetti velenosi piccoli chestertoniani improvvisati intenti a dimostrare che il vecchio GKC era uno che la pensava come loro e, solo per questo, aveva capito tutto.
pochissimi che parlano di Chesterton conoscendolo davvero, direi essendogli intimi. Un tratto raro in tempi in cui spuntano come funghetti velenosi piccoli chestertoniani improvvisati intenti a dimostrare che il vecchio GKC era uno che la pensava come loro e, solo per questo, aveva capito tutto.
In questo povero panorama, Trevisan compie l’operazione opposta, perché dice di aver scoperto di essere lui a pensarla come il vecchio GKC. Quindi non si vede costretto a strane e pericolose operazioni paraintellettuali tese a dimostrare che Chesterton va letto perché aveva anticipato questo o quell’evento ecclesiale, questo o quel personaggio ecclesiale, questo o quel fondatore di movimento ecclesiale. Insomma, non è costretto a dire che uno dei più originali intellettuali cattolici del Novecento sarebbe una sorta plagiatore in anticipo.
Nelle 192 pagine di “Quella cara vecchia pipa”, cara Maria Luisa lei troverà uno scrittore e un cattolico di una freschezza tale da mostrare che con tutto o quasi quello è venuto dopo di lui proprio non aveva nulla a che fare. E proprio qui sta la sua attualità.
zztrchsrtnIl merito di Fabio, non posso continuare a chiamare per cognome un amico fraterno, sta nel mostrare questa originalità, che è quella della tradizione. La prego di voler leggere questo che è abbastanza lungo da illustrare il concetto.
“Lo stesso pellegrinaggio terreno del cristiano che un tempo era sentito come luogo di espiazione dei peccati in questa valle di lacrime” scrive Trevisan “non era più vissuto come un sacro esilio dal mondo, come conseguenza di quella che Chesterton avvertiva quale “Tradizione della Caduta” derivata dal peccato d’origine. Ora l’uomo moderno non cercava più, come Innocenzo Smith, di ritornare a casa; quella casa che era memoria della Casa del Padre dove il Creatore aveva posto originariamente Adamo e Eva. Quell’uomo, come il teologo modernista, se ne stava nel Cortile, né dentro né sufficientemente fuori. In quella posizione “fuori luogo” non poteva accorgersi né della bellezza né della Verità di quella Casa. Spesso si dice all’avventore o al pellegrino che bussa alla nostra porta di decidersi se entrare in casa o di starsene fuori: difficilmente si consiglia di stare in mezzo ai due avvertimenti (né dentro né fuori). Questo era quanto sollecitava Chesterton: “Io mi propongo di dimostrare che la posizione che meglio permette di vedere il Cristianesimo, quando uno non ci sia dentro, è quella di esserne fuori. I critici del Cristianesimo generalmente non ne sono fuori; sono piuttosto su un terreno neutro, in tutti i sensi della parola. Sono pieni di dubbi sui loro stessi dubbi. Le loro critiche hanno assunto un tono curioso, come di provocazioni confusionarie e analfabetiche”.
A distanza di quasi cent’anni l’affermazione del grande scrittore londinese appare ancora di straordinaria freschezza; uno stuolo di teologi, vaticanisti, scrittori e giornalisti cattolici si trovano in quella strana posizione, ovvero nel Cortile dei Gentili a dialogare con i non credenti, pieni di dubbi sui loro stessi dubbi, facendo del pettegolezzo anticlericale, separando una Chiesa gerarchica da una Chiesa autenticamente evangelica (rappresentata ovviamente da loro). Rispetto alla tradizione religiosa i “teologi del dubbio” hanno un atteggiamento di reazione: potremmo definirli ironicamente dei reazionari progressisti. Si sono posti nell’ottica modernista di non poter vedere!”
Qui, cara Maria Luisa, potrei fermarmi, ma voglio trascriverle un altro passo del libro di Fabio e poi le spiego il perché:
“Per questo motivo Wayne, il magnifico eroe di Notting Hill, chiese al droghiere, al farmacista, al rigattiere, al barbiere, al negoziante di giocattoli e così via di insorgere contro i soprusi e l’arroganza dei grandi negozi e del grande capitale: “Guerra per la bellezza, guerra per la società, guerra per la pace” erano i suoi motti patriottici. Egli contrastava lo spirito di un’epoca cupa e oppressiva, la cui “pace sciagurata” era più atroce di una guerra cruenta; egli rilevava lo scarto tra una “libertà” ostentata teoricamente ma tradita nei fatti: “Nella nostra civiltà moderna la libertà di parola sta a significare, in pratica, che siamo tenuti a parlare di cose irrilevanti. Non dobbiamo parlare di religione, perché è illiberale … Bisogna che qualcuno sopravvenga a infrangere questa curiosa indifferenza, questo strano egoismo, questa strana solitudine”. Sembrerebbe, quello descritto dal Napoleone di Notting Hill, un quadro della situazione in cui stiamo vivendo, incluso il disfacimento della famiglia e della sacralità domestica alla quale assistiamo, spesso non raccapezzandoci, giorno dopo giorno. Dobbiamo tuttavia rispondere a degli interrogativi per poter comprendere l’urgenza nel dare risposta ad un pericolo, allora incombente, ora riscontrabile maggiormente a più livelli. Perché la difesa di quel “piccolo è bello” aveva a che fare strettamente con la famiglia? Perché il Re umorista ed il pazzo patriota iniziarono un’epopea che si collegava alle tradizioni del passato, con gli stemmi araldici, i gonfaloni, le insegne dai colori vivaci, il simbolismo sacro? Chesterton nel saggio: “Ciò che non va nel mondo” del 1910 rispondeva ai nostri quesiti in questo modo: “I grandi ideali del passato sono falliti non perché sono vissuti troppo, ma perché non sono vissuti abbastanza. L’umanità non ha superato il Medioevo. Piuttosto, si è ritirata da esso disordinatamente. L’ideale cristiano non è stato tentato e trovato manchevole ma è stato trovato difficile e per questo lo si è lasciato intentato”. Non si doveva avere paura del passato, non si poteva distogliere lo sguardo da quei vecchi ideali, da quei sani e antichi principi, primo fra tutti il principio della vita domestica: “La casa ideale, la famiglia felice, la sacra famiglia della storia … è attaccata da coloro che non l’hanno mai conosciuta o da coloro che non sono riusciti a realizzarla”. La difesa della famiglia, della piccola proprietà e della sacralità domestica diventavano un tutt’uno, in quanto conforme ad un principio teologico: “Dio è colui che può creare dal nulla. L’uomo, si può dire, è colui che può creare da qualsiasi cosa esistente. In altre parole, mentre la gioia di Dio consiste nella creazione illimitata, la gioia peculiare dell’uomo è la creazione limitata, la combinazione di creazione e limiti”. Chi è nemico dei propri limiti è nemico di Dio e di tutto ciò che di piccolo e bello vi è nel mondo, dal focolare domestico ai preziosi oggetti che vi dimorano, dalla piccola proprietà che ci dà da vivere alla tavola imbandita dei beni locali che ci alimentano”.
Questo è uno dei passi a cui sono più affezionato perché raggiunge l’intimo della spiritualità di Chesterton. E questo basterebbe a metterlo in evidenza. Ma c’è un’altra ragione per cui conviene farlo. In questi giorni, l’editore Lindau, che pubblica in Italia molte opere di Chesterton, sta usando come spot per “Il Napoleone di Notting Hill” il fatto che il romanzo è stato citato da Matteo Renzi. L’operazione, che si qualifica per il suo fiato corto, cortissimo, quasi asmatico, può avere magari anche un risvolto augurale. Se Renzi ha letto con attenzione Chesterton può darsi che, prima o poi, si renda conto che tutto ciò che sta facendo come politico non ha proprio nulla di cattolico.
In ogni caso, per quanto mi riguarda, continuerò a leggere il vecchio GKC non perché lo ha citato il presidente del consiglio, ma perché è un amico di Fabio Trevisan. E a vacanze terminate, cara Maria Luisa, spero anche suo.
Alessandro Gnocchi
Sia lodato Gesù Cristo
da Riscossa Cristiana, martedì 8 luglio 2014
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