Caro Professor Pasqualucci,
ho ricevuto in dono dall’editore Solfanelli il suo libro alquanto impegnativo Unam Sanctam. Studio sulle deviazioni dottrinali nella Chiesa Cattolica del XXI secolo. Il titolo è accattivante, perché effettivamente oggi queste deviazioni esistono e sono gravi ed insidiose, ed hanno molto successo, come per esempio il diffuso modernismo rahneriano, che ho confutato nel mio libro Karl Rahner. Il Concilio tradito, pubblicato nel 2010 da Fede & Cultura.
Mi aspettavo quindi una critica di questo genere, estremamente utile, urgente e necessaria, per guarire una
piaga incancrenita, per sfatare un falso progresso teologico, per abbattere un idolo nefasto, per disingannare molti spiriti, che da decenni sono illusi dal rahnerismo, con immenso danno per la Chiesa e per le anime, soprattutto se tale impostura è diffusa o appoggiata o tollerata da vescovi o teologi.
Sennonchè nel suo libro ho trovato o meglio ritrovato, perché conosco il suo pensiero da diversi anni, un’accusa di deviazione dalla verità, ossia di falso o di truffa non ai modernisti, ma allo stesso Magistero della Chiesa, che si espresso nel Concilio Vaticano II.
Invece di questa continua ed ingiusta requisitoria contro il Concilio, avrebbe fatto bene ad attaccare a fondo i modernisti, che fraintendono il Concilio ad usum delphini, lo falsificano, e traggono da esso pretesto per le loro eresie, mentre il Concilio non ha nessuna colpa e semmai è precisamente il rimedio contro il modernismo, per un cattolicesimo sanamente moderno.
Certo, le sue accuse non sono aperte, le manca questa audacia, ma già il fatto di sospettare di falso o l’insinuare che la dottrina del Vaticano II abbia smentito la Tradizione, negando l’infallibilità della dottrina conciliare, non è cosa degna di un cattolico, quale so che lei vuole professarsi, e mi ricorda piuttosto l’atteggiamento di Lutero, benché su sponda opposta. Atteggiamento che ritroviamo nei modernisti, i quali elogiano bensì il Concilio, ma lo interpretano in senso modernista, il quale modernismo, come già rilevava S.Pio X, non è che una ripresa della presunzione di Lutero di correggere la dottrina della Chiesa in base ad una sua soggettiva interpretazione della Bibbia.
Mi dispiace doverglielo dire, caro Professore, anche se ciò potrà sorprenderla, ma il suo modo di concepire e discernere la verità cristiana assomiglia terribilmente a quello di Lutero, anche se lei non se ne rende conto e non ha certo questa intenzione, con la differenza che mentre Lutero pretendeva di rifarsi direttamente alla Scrittura, lei vorrebbe,come fanno i lefevriani, far capo direttamente alla Tradizione e in base a questo contatto diretto, correggere gli errori del Vaticano II. Ora, per il vero cattolico il contatto con Scrittura e Tradizione non è immediato, ma è mediato per espressa volontà di Cristo (“chi ascolta voi, ascolta me”) dal Magistero vivo della Chiesa, nella fattispecie dalle dottrine del Vaticano II, che appunto ci interpretano, ci esplicitano e ci spiegano il patrimonio della divina rivelazione contenuto nella Scrittura e nella Tradizione.
La conoscenza della Parola di Dio, che la Chiesa acquista gradualmente nei secoli, soprattutto ad opera dei Concili, è andata soggetta ad un continuo chiarimento, progresso, miglioramento ed approfondimento. Ogni nuovo Concilio contiene quindi delle novità dottrinali e non solo il Vaticano II. Per questo non ci dobbiamo adombrare o scandalizzare di queste novità, le quali non ci fanno affatto deviare dalla verità del Vangelo, ma ce lo fanno conoscere meglio.
La Chiesa è maestra della Verità ed indica la via della salvezza. Essa non sarebbe santa, come lei pur sembra riconoscere, se non svolgesse questa funzione, guidata dallo Spirito Santo. Essa invece di indica la via della verità e della salvezza. Dunque la Chiesa non può deviare dalla verità, non può abbandonarla, tutti i suoi insegnamenti che riguardano la salvezza a qualunque livello, definiti o non definiti, sono infallibili e non possono farci andare fuori strada né allontanarci dalla via della verità.
Se qualcuno dovesse avere questa impressione per alcune non chiare dottrine del Magistero, deve chiedere spiegazioni alla Chiesa stessa o ai buoni teologi, deve sforzarsi di capire, perché in tal caso, se egli nutre il sospetto che la Chiesa sbaglia, stia pur certo che chi sbaglia è lui. Dunque, come disse Papa Benedetto XVI, “progresso nella continuità”. Per questo, la invito a leggere, se non l’ha già fatto, il mio libro “Progresso nella continuità”, pubblicato da Fede & Cultura nel 2011.
L’assunto del suo libro, allora, in fin dei conti, caro Professore, lo riconosca, non è “deviazioni dottrinali nella Chiesa”, ma deviazioni dottrinali della Chiesa, il che per un cattolico è assolutamente inaccettabile. Il fatto che il Concilio non abbia di proposito definito nuovi dogmi, non significa che quando tratta di fede o di morale possa contenere errori, stando ai criteri di valutazione di gradi di autorità delle dottrine stabiliti dall’Istruzione pontificia Ad tuendam fidem del 1998).
Le condizioni dell’infallibilità del Magistero fissate dal Concilio Vaticano I si riferiscono solo al grado massimo dell’infallibilità. Ma ciò non vuol dire che non esistano gradi inferiori, che devono comunque ricevere il nostro assenso incondizionato (“religioso ossequio della volontà”), anche se non si tratta di fede teologale.
Solo il campo della pastorale o delle disposizioni disciplinari o delle leggi canoniche può andar soggetto ad errori, mutamenti, abolizioni, soppressioni o correzioni. Ma quando il Papa o il Magistero della Chiesa a qualunque livello di autorità, definendo o non definendo, insegnano su ciò che si riferisce direttamente o indirettamente alla divina rivelazione, come abbiamo in certi documenti del Vaticano II, è illecito pensare o anche solo sospettare che essa ci inganni o possa sbagliarsi o farci anche solo involontariamente deviare dalla via della verità, sì che essa abbia bisogno di esservi richiamata o riportata sulla retta via in forza di un riferimento o alla Scrittura o alla Tradizione o alla ragione o alla scienza o non importa a che cosa.
E’ la Chiesa stessa e nessun privato singolo o in gruppo, laico o ecclesiastico, di qualunque grado gerarchico, escluso il Papa, che può correggere autorevolmente supposte deviazioni dottrinali nella Chiesa. Ai teologi è consentito un ampio spazio di critica delle deviazioni di altri teologi, o anche di prelati infedeli, ma sempre nella sottomissione al Magistero.
La Chiesa, dal canto suo, ha il criterio, la facoltà e il dovere di correggere gli errori in ultima istanza; ma nessuno può presumere di correggere la Chiesa come tale, dall’esterno o dall’interno, dall’alto o dal basso, quasi che possa esistere un’autorità infallibile umana o religiosa migliore o superiore, capace di individuare e correggere supposti errori dottrinali della Chiesa, nei quali essa dovesse essere caduta. Certo, molte ideologie nel corso della storia hanno avuto ed hanno questa pretesa, ma con ciò stesso si squalificano da sole e si condannano con le loro stesse mani.
Se ci sono nel Concilio passi imperfettamente o male espressi, che si prestano all’equivoco o interpretabili in un senso eterodosso, evidentemente vanno rettamente interpretati, cosa che del resto lo stesso Magistero si è premurato di fare, come ha fatto in questi cinquant’anni, soprattutto considerando che abbiamo avuto due Papi Santi, come Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II.
Dunque lei, invece di coltivare pertinacemente gravi sospetti, speciosi quanto infondati, avrebbe dovuto citare gli interventi del Magistero, per esempio il Catechismo della Chiesa Cattolica, che ci aiutano a capire e ad apprezzare e chiarire quanto nel Concilio può suscitare dubbi e perplessità.
Lei, col credere che il Concilio sia influenzato dai modernisti, finisce per portare acqua al loro mulino, i quali appunto sostengono che il Concilio professa le loro idee nella linea di Rahner e compagni. E’ questa invece una grave calunnia. Per cui, alla fine, voi lefebvriani insieme con i modernisti, finite per rinnegare la dottrina di vostra Madre l’Unam Sanctam, con la pretesa di farle da maestri, anzichè esserne umili e docili discepoli. Con quale risultato? Con quali prospettive?
Le suggerirei piuttosto di prendere in considerazione come modello di saggezza l’esempio della vita e delle opere del Servo di Dio il teologo domenicano Padre Tomas Tyn (1950-1990), che seppe conciliare da vero cattolico la stima per il Magistero postconciliare con quello preconciliare. Christus heri, hodie et semper!
Con viva cordialità
P.Giovanni Cavalcoli,OP
Fontanellato, 4 maggio 2014
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