E i vescovi stanno a guardare

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di Giovanni Cavalcoli
Secondo Rahner il compito del Vescovo è quello di prendere atto della fede “reale” o “effettiva”espressa dal popolo di Dio, come espressione tematica o categoriale e “aposteriorica” della fede atematica trascendentale ed “apriorica”, che è comune ad ogni uomo (“esistenziale soprannaturale”) e quindi anche ai non cattolici espliciti e agli stessi atei, da cui il famoso concetto rahneriano del “cristiano anonimo” dovunque e sempre in grazia, per cui tutti si salvano e non esistono dannati nell’inferno  (buonismo trascendentale).
 Il vescovo, secondo Rahner, deve sforzarsi come può di capire questa fede e interpretarla rettamente, deve approvarla e sostenerla, deve quindi seguirla nel suo evolversi e nelle
sue espressioni storiche, dettate dallo Spirito Santo, deve tradurla in fede dottrinale, ufficiale e istituzionale. Ma è chiaro che il primato spetta sempre alla fede esistenziale dei comuni fedeli dotati del sacerdozio comune battesimale, infallibili nell’ascolto diretto dello Spirito Santo e nell’interpretazione della Parola di Dio, benchè i concetti dogmatici con i quali viene interpretata la detta Parola siano in continua evoluzione e relativi alle varie culture nelle quali si esprimono.
Il Concilio Vaticano II, come si sa, ha valorizzato, promosso e stimolato l’attività dei laici, dei religiosi, dei sacerdoti e dei teologi e di fatto da cinquant’anni a questa parte, numerosissime sono state e sono le iniziative di vario genere, alcune delle quali ottime, altre invece, purtroppo, e forse le più numerose, influenzate da concezioni antigerarchiche e populiste o demagogiche della Chiesa, - una certa “Chiesa dal basso”, una certa Iglesia popular,  o certi “gruppi spontanei” o “di base” degli anni ’70, o “movimenti carismatici” degli anni ’80 -, per cui queste iniziative hanno preso la mano ai vescovi, i quali, o ingenuamente sedotti o intimiditi davanti a tanta invadente, poderosa e a volte minacciosa effervescenza, non priva del resto di lati buoni, hanno finito per assumere (certo non tutti volentieri) il ruolo delineato sopra da Rahner, cedendo ad un’eccessiva indulgenza o tolleranza nei confronti degli errori e dei cattivi comportamenti che si stavano diffondendo.
 I vescovi, quando non sono “forti con i deboli”, sono diventati come dei notai che si limitano a registrare e a ufficializzare o al massimo tollerare la “fede” o sarebbe meglio dire le favole che maggiormente circolano tra i fedeli soprattutto quelle maggiormente divulgate dai mass-media e dagli istituti educativi e culturali, salvo poi a trattare duramente quei pochi che, fedeli alla concezione evangelica del pastore, osano ricordar loro la loro responsabilità.
Nel contempo il Concilio ha accentuato l’autonomia della Chiesa locale nei confronti di Roma e istituito, come sappiamo, le conferenze episcopali e i sinodi mondiali dei vescovi a regolare scadenza. Tale istituzione certamente in sé molto importante era destinata a rafforzare l’iniziativa e la responsabilità pastorale dei vescovi presi singolarmente o collettivamente, ma purtroppo in molti casi ha finito per creare una figura di vescovo conformista e opportunista, priva di una visione universale della Chiesa, chiuso nella sua diocesi o nella sua nazione, pronto a rendersi indipendente dal Papa, pur di non scontentare i propri confratelli più influenti o più stimati o la propria conferenza episcopale di orientamento nazionalista. 
Il sinodo mondiale, dal canto suo, ha assunto un tono dottrinale che in realtà non gli compete, dato che non si tratta neppure di un’assemblea conciliare, e i Papi hanno cominciato poco dignitosamente a fare i fanalini di coda dei sinodi, col limitarsi a convalidare e sancire le loro conclusioni, anche se poi esse non dicono niente di nuovo dal punto vista dottrinale nè lo potrebbero*. Ciò non è dignitoso per il Papa, il quale deve riprendere in mano il proprio ruolo di guida nei confronti dei vescovi.
L’inconveniente più grave che è seguìto a tutto ciò, salvi restando gli aspetti positivi, è che è venuta meno la collaborazione tra Papa e vescovi nell’insegnamento e nella difesa della dottrina della fede. Naturalmente questa funzione non si è per nulla estinta e dobbiamo riconoscere il grande zelo col quale per esempio il Card. Ratzinger ha assolto al suo ufficio alla Congregazione per la Dottrina della Fede per vent’anni, e tanto meno possiamo ignorare i numerosi interventi di Papi e di buoni vescovi, non escluse le conferenze episcopali e i sinodi mondiali. 
Ma come ormai notano da molti anni gli osservatori attenti, l’autorità ecclesiastica a tutti i livelli, dal Papa ai singoli vescovi, non è per niente in grado di controllare una complessa situazione dottrinale e di conseguenza morale, disciplinare e liturgica, che è sfuggita di mano e divenuta ormai ingovernabile, con gravissimo danno dei fedeli. Spesso e volentieri il dato teologo o vescovo o il dato profeta o veggente si ribellano al Magistero, che viene o ignorato o disprezzato.
 Che fanno i vescovi? Stanno a guardare, ma con quale animo? Possono essere contenti? No certamente. Non si tratta di guardare uno spettacolo piacevole, ma, sia pur in mezzo a fatti positivi, un processo di dissoluzione e di disintegrazione della Chiesa, processo che certo si fermerà, perchè la Chiesa è incrollabile. Tuttavia Dio non le risparmia le prove e le dà i mezzi per superarle. 
I mezzi ci sono: bisogna che i vescovi con un umile e coraggioso slancio di fede nel loro stesso carisma, riprendano in mano la situazione. In fondo il gregge di Cristo, frastornato dai mestatori e dai ribelli, non aspetta altro. Il pastore è stato percosso e le pecorelle si sono smarrite. Ma Dio farà mai mancare i buoni pastori? Per nulla!
Il mondo cattolico dispone tuttora, grazie a Dio, almeno nei paesi democratici, di numerosi mezzi di comunicazione, d’insegnamento, di azione pastorale, di predicazione: dai pulpiti ai convegni di ogni tipo, dalle parrocchie alla scuola, dalla stampa a internet, dalle case editrici ai siti web, dai contatti con movimenti e associazioni a quelli con i privati, dalle sale per conferenze alle piazze. 
E i temi di possibili e auspicabili interventi di specifica ed esclusiva competenza del vescovo sono numerosissimi ed urgenti. Non sto neppur ad elencarli. Che un vescovo intervenga alla festa del kiwi o allo spettacolo pirotecnico o all’incontro con i buddisti o al concerto di beneficenza può esser certo simpatico e avvicinare il vescovo alla gente. Resta però da avvicinare la gente a Cristo.
Come mai i vescovi si sentono o compaiono così poco laddove solo loro sarebbero i più qualificati a parlare? Non basta “essere tra la gente”; bisogna vedere che cosa si fa tra la gente. Perché poi lasciare ai laici, per quanto competenti e di buona volontà la discussione o ancor più la decisione o la sentenza su argomenti di fede e di morale dove invece così importante e insostituibile, per mandato dello stesso Cristo, è la parola del pastore?
NOTA:
*Papa Francesco vuol renderli partecipi della sua autorità dottrinale, probabilmente per averli come aiuto nella soluzione degli attuali problemi dottrinali. C’è però a mio modo di vedere da avanzare il timore che il sinodo diventi una specie di Concilio periodico a scadenza fissa e c’è da chiedersi se la cosa non sia troppo artificiosa e poco pratica. Lo sviluppo dottrinale e i problemi annessi non si possono programmare, ma dipendono da fattori imponderabili legati alla divina Provvidenza.

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