Saruman, prototipo dell'Anticristo 'cattolico' |
di Giovanni Cavalcoli
La diffusa tematica attuale circa la Chiesa in dialogo col mondo ci fa dimenticare che per certi aspetti la Chiesa è anche in lotta col mondo, ed in tal senso Cristo ci incoraggia nella lotta, quella che Paolo chiama “buona battaglia”, dichiarando di avere “vinto il mondo”.
La diffusa tematica attuale circa la Chiesa in dialogo col mondo ci fa dimenticare che per certi aspetti la Chiesa è anche in lotta col mondo, ed in tal senso Cristo ci incoraggia nella lotta, quella che Paolo chiama “buona battaglia”, dichiarando di avere “vinto il mondo”.
Che significa la vittoria di
Cristo sul mondo? Non si tratta di uccidere il nemico, ma di sottometterlo al
regno di Cristo o perché si conquista per amore il suo cuore liberandolo dal
giogo del peccato e di Satana, o perché vien messo in grado di non nuocere ai
santi, si tratti di dannati o si tratti di demòni. Questa prospettiva è ben
illustrata dall’Apocalisse.
Si tratta sia di una guerra di
difesa – difendere la Chiesa dalle
insidie e dagli attacchi di Satana –, che di
una guerra di conquista o di liberazione – sottrarre il mondo al dominio di
Satana e conquistarlo al suo legittimo Signore, Cristo.
Per tutto il corso della storia
Cristo e la Chiesa sono combattuti da nemici irriducibili, soprattutto le forze
sataniche. I nemici umani vanno e vengono, sono oscillanti: ora chi è amico
diventa nemico e chi è nemico diventa amico.
La battaglia contro il nemico è
motivata dall’amore più che dalla giustizia. Al nemico che si arrende a Cristo
è fatta misericordia. Invece il nemico ostinato sino alla fine è castigato con
la pena eterna. La battaglia cristiana è motivata da un sostanziale amore per il
nemico. Non si tratta di ucciderlo, come ho detto, ma di uccidere in lui quel
peccato che lo rende schiavo e nemico dei buoni mutando in buona la sua cattiva
volontà. È in fondo l’opera della conversione.
Il cristiano non aggredisce di
sua iniziativa. Di per sé è uomo di pace e di conciliazione. Egli tuttavia viene
comunque attaccato dai nemici del regno di Cristo. Egli allora si può difendere
lottando, ma anche soffrendo, resistendo, offrendo e pregando. Scorgendo l’esistenza
di uomini schiavi del peccato e dolenti sotto questo giogo iniquo, il cristiano
può prendere l’iniziativa di aggredire i nemici dell’uomo oppresso e schiavo
della colpa, che sono gli stessi suoi peccati, consenziente il medesimo peccatore,
il quale, si suppone, si lascia liberare. Non sempre è possibile però la vittoria
o per debolezza di forze o per resistenza del nemico.
Il nemico non va né disprezzato
né temuto, ma bisogna valutare esattamente le sue forze ed anche i suoi lati
buoni ed agire di conseguenza, facendo leva sul positivo per distruggere il
negativo. Un segno della stoltezza del nemico è il disprezzo che ha per la
causa di Cristo. Ma ciò lo conduce alla rovina.
È saggio rinunciare alla lotta
se le forze nemiche sono soverchianti, aggredire invece se c’è speranza di
vittoria. Occorre in questo caso essere ben convinti delle proprie buone
ragioni e della gravità del torto dell’avversario. Ciò infonde coraggio,
decisione ed efficacia. Occorre cercar di persuadere il nemico, altrimenti si
deve spaventarlo. Il nemico audace non si spaventa, ma ciò costituisce la sua
disfatta.
Questa consapevolezza della
Chiesa di dover combattere il mondo, che del resto si è sempre accompagnata
dalla pari coscienza di dover evangelizzare e salvare il mondo con la grazia di
Cristo, è sempre stata presente nella Chiesa ed ha creato nei secoli passati una
forte unità e collaborazione delle diverse forze in questa difficile e rischiosa
guerra contro un nemico sempre accanito e insidioso.
Certi Ordini religiosi, come ad
esempio i Gesuiti, hanno concepito se stessi come un vero e proprio esercito
sotto la guida del Papa, con forte accentuazione dell’obbedienza, dell’iniziativa,
della compattezza, del coraggio e della disciplina come appunto può avvenire in
una formazione armata per una guerra di questo mondo.
L’Apocalisse e Cristo stesso
nelle sue profezie escatologiche ci dicono che sarebbe illusorio pensare che l’evangelizzazione
che pur va proposta al mondo intero sino alla fine dei secoli possa avvenire in
modo sereno, pacifico e indolore, senza sforzo, senza intoppi e senza ostacoli,
come la diffusione di un dolce balsamo da tutti accolto e da tutti atteso, e ottenere
a un certo punto l’adesione da parte dell’intera umanità, sicchè la Chiesa non
abbia più nemici, ma possa limitarsi ad un tranquillo e beneducato dialogo col
mondo, simile all’amabile conversazione di un gruppo di amici attorno al tavolo
di un caffè.
Altri oggi ritengono che la Chiesa
debba rinunciare alla pretesa di render cattolici tutti gli uomini di tutte le
religioni della terra, anche perché comunque, secondo la teoria rahneriana,
tutti, benchè inconsciamente, sono in grazia di Dio e quindi di fatto appartengono
almeno invisibilmente alla Chiesa. In questo senso la Chiesa non avrebbe più nemici
da vincere né avrebbe bisogno di difendersi o conquistare il mondo a Cristo
sotto la guida del Papa, in quanto tutte le altre formazioni umane sarebbero
comunque espressioni diverse di un comune cammino “atematico” e “trascendentale”
dell’umanità verso Dio.
Così Rahner, in base a questi
presupposti, viene a mancare contro il voto di obbedienza al Sommo Pontefice, voto
notoriamente legato alla professione religiosa ignaziana, alla quale Rahner
come Gesuita era legato. Infatti la concezione rahneriana della fede come
esperienza atematica trascendentale priva la professione di fede della sua
certezza ed oggettività concettuale assicurata in ultima istanza dal Vicario di
Cristo come supremo Custode dell’ortodossia della fede.
Da qui la totale assenza, nel
pensiero rahneriano, dell’aspetto combattivo della vita cristiana, pur così
caratteristico della tradizione e della spiritualità ignaziane, per la
promozione di un dialogismo e un pluralismo teologici relativisti ed
opportunisti, che tolgono all’azione cristiana la sua convinzione, il suo
mordente e la sua energia, quindi la sua capacità di attacco e di difesa contro
i pericoli e le insidie morali e dottrinali, nonché il suo slancio missionario teso
alla conquista del mondo a Cristo.
Nel passato invece la Chiesa,
ben consapevole della sua opposizione contro le potenze del male, ha combattuto
lotte durissime ed eroiche, anche contro gigantesche formazioni scismatiche
ereticali, che da lei si sono staccate, ma nell’insieme i combattenti trovavano
luce, conforto e incoraggiamento reciproco nella consapevolezza della loro
concordia e nella convinzione salda di combattere tutti assieme
disciplinatamente sotto i medesimi capi per la giusta causa.
Indubbiamente sono sempre esistiti
all’interno della Chiesa militante elementi che avevano intelligenza col
nemico, finti alleati che in realtà stavano dalla parte degli avversari, spie
che svelavano i piani segreti e favorivano le forze ostili. È sempre esistito,
diremmo oggi, il “fuoco amico”.
Ma soprattutto a partire dal
periodo immediatamente seguìto al Concilio Vaticano II, che pure si era proposto
come missionario, sono sorte all’interno della Chiesa forze sedicenti
“progressiste”, che meglio sarebbe chiamare “moderniste”, le quali hanno
cominciato col scendere a patti con i nemici della Chiesa sotto vari e speciosi
pretesti, che tutti conosciamo e che da molti anni sono noiosamente ed
ipocritamente riproposti per gli ingenui di turno.
Questi finti fratelli, male
interpretando il Concilio, si sono presentati come miti agnellini, intenti al
dialogo a tutto campo, pacifisti, moderati, tolleranti, aperti, innovatori,
progressisti, moderni, liberali, comprensivi, misericordiosi. Eppure essi fanno
il doppio gioco, conducono una guerra sporca, sleale, sottile e subdola contro i
veri fedeli guardandosi bene dal combattere la buona battaglia contro i veri
nemici della Chiesa. Sono lupi travestiti da agnelli.
Ma questi falsi fratelli hanno
acquistato, soprattutto nel corso di questi ultimi anni, tanto prestigio e
tanto potere, che ora i veri cattolici non devono subire solo gli attacchi dei nemici
esterni e aperti, ma anche quelli che provengono dall’interno, da tali falsi
fratelli. Non necessariamente tutti questi nemici interni si rendono conto del
danno che fanno, magari persuasi di condurre la buona battaglia, perché frastornati
e ingannati dalle forze sataniche.
A questo punto per i buoni, per
i “figli del regno”, la buona battaglia diventa pesantissima, logorante ed estenuante,
per il calo e l’incertezza delle forze, per la difficoltà di sapere chi è veramente
alleato e chi non lo è, per il timore di tradimenti improvvisi, d’infedeltà e di
tranelli, per il fatto di ricevere ostacoli o contrarietà da coloro stessi che
dovrebbero guidarci, per l’incomprensione che ci viene dai compagni di lotta, e
per la necessità di guardarsi non solo dai nemici dichiarati, ma anche da
questi falsi fratelli, che oggi hanno raggiunto posti di comando e frenano
seriamente l’azione del Papa e dei suoi collaboratori, avendo raggiunto insidiosamente
le immediate vicinanze del trono di Pietro.
Certamente la Chiesa non è solo
quella terrena, militante, immersa nelle oscurità e nelle ambiguità della
storia, sempre bisognosa di purificazione, ma anche e soprattutto quella celeste,
esistente da duemila anni, gloriosa e trionfante, pura da ogni compromesso col
male, assolutamente concorde nella lotta contro il nemico, forte di doni
soprannturali che possono produrre anche il miracolo e vittorie improvvise e
schiaccianti col castigo del nemico. Questa Chiesa intercede efficacemente e
compattamente per quella terrena e assiste i fedeli nella lotta.
Ciò dev’essere di grande
conforto, ma richiede un’elevazione ed un rafforzamento costanti della visione
e della energia dello spirito, che non sono sempre facili, e tuttavia sono
assolutamente necessari per non soccombere e non rischiare di passare dalla
parte del nemico.
Indubbiamente occorre essere
molto cauti nel discernere e valutare chi sono quelli che Cristo chiama “figli
del maligno”, perchè, ammesso che possano essere individuati con certezza, essi
possono sempre convertirsi a Cristo, come del resto i “figli del regno” quaggiù
sono sempre esposti ad intiepidirsi, a crollare ed a tradire. Inoltre in
ciascuno di noi quaggiù perenne è la lotta tra l’aspirazione al cielo e le
seduzioni del mondo.
Oltre a ciò la lotta va intesa
innanzitutto in termini spirituali come lotta contro il peccato, contro le
eresie, contro i vizi e contro le potenze sataniche. Non si tratta solo di
aggredire ma anche di sopportare, coltivando la speranza e vincendo lo
scoraggiamento, guardando l’esempio di Cristo e dei santi, senza lasciarsi
sconcertare dall’apparente trionfo dei malvagi.
Bisogna ricordarsi che Dio
stesso permette queste apparenti vittorie degli empi per mostrare a suo tempo
la potenza della sua giustizia e della sua misericordia e per ricordarci che il
modo cristiano di vincere, la potenza cristiana della vittoria è la vittoria
della croce.
La buona battaglia non è tanto
condotta da forze umane in base a calcoli umani, ma è la lotta stessa
imprevedibile e possente di Dio contro il male. Da soli non riusciremmo a cavarcela.
Il nostro compito è sì quello di impiegare tutte le risorse umane, ma soprattutto
di porci al servizio di Dio e di essere strumenti e spettatori della sua vittoria.
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