La funzione salutare dell’odio

Nell’attuale clima di dissidio nella Chiesa tra lefebvriani e modernisti, dove sono in pochi i cattolici che custodiscono l’integralità della fede in piena comunione col Magistero e col Papa e quindi conservano la carità, la calma e l’equilibrio, parlare di “funzione salutare dell’odio” sembrerebbe una provocazione, atta a esasperare i contrasti piuttosto che favorire la pace e la concordia.
I pochi cattolici in vera e piena comunione con la Chiesa di sempre, ma che cammina nella storia, quella Chiesa che estrae dal suo tesoro “cose antiche e cose nuove” (cfr. Mt 13,52), quei cattolici che vedono nella Chiesa il progresso nella continuità, sono continuamente bersagliati dalle due
fazioni opposte, che li accusano falsamente di doppiezza, e sono tentati di cadere nell’orbita dell’uno o dell’altro partito, che si presenta come la vera Chiesa in opposizione all’altro.
Il partito dominante, quello modernista, da tempo inganna ed addormenta i fedeli con la droga di un buonismo, che parla continuamente di amore, di pace, di dialogo, di pluralismo, di salvezza e di misericordia, ma che in realtà sbrana poi senza misericordia i pochi coraggiosi che osano rinfacciargli le sue eresie, la sua sete di potere, i suoi scandali, i suoi soprusi e le sue ipocrisie. 
Dunque sanno odiare anche loro - eccome! -, i grandi predicatori dell’amore e della mitezza evangelica! E sono tanto più perversi, quanto più “digrignano i denti e si consumano” (cfr. Sal 37, 12) nell’odio e nell’invidia contro gli umili, i giusti, i pii, gli onesti, i sapienti e i santi.
Il fatto è che non è possibile non odiare qualcosa. Il problema è di verificare che cosa odiamo e perché. È vero che oggi i buonisti, in nome dell’“amore”, asseriscono di rifiutare qualunque forma di “odio”, includendo in questo concetto qualunque forma di conflitto bellico, di uso della forza, di confutazione stringente, di condanna severa e definitiva, di sanzione penale, fino a negare i castighi divini e l’esistenza stessa dell’inferno, nell’idea che in fondo siamo tutti buoni, salvi, perdonati e in buona fede, per cui qualunque idea o qualunque religione o principio morale, anche quelli più contrari tra di loro, vanno rispettati, in quanto manifestazioni della coscienza di ciascuno. 
Per i modernisti tutto va bene, all’infuori del Magistero preconciliare e il Concilio Vaticano II va bene, ma nell’interpretazione dei rahneriani, che ne sono stati i “protagonisti”, dato che Rahner, come mi disse un giorno un noto Gesuita, è stato l’“icona del Concilio”.
Ma è possibile odiare l’odio in modo assoluto? No certamente, perché ci si smentisce da sé nel momento in cui ad ogni modo si esercita l’odio. Tanto vale accettare questo principio fondamentale che non odiare è impossibile. L’unico problema è quello di stabilire o sapere chi o che cosa o perché o quanto o come dobbiamo o possiamo odiare.
Evidentemente si deve odiare il falso e il male. È questo il principio fondamentale della morale, che consegue al principio fondamentale del pensiero e del linguaggio, per il quale si deve affermare il vero e rifiutare il falso. Questo principio è espresso da Cristo col famoso precetto evangelico “il vostro parlare sia sì, sì, no, no. Il resto appartiene al diavolo” (Mt 5, 37).
 Ma non ogni odio è buono. Esiste un odio doveroso e quindi salutare, che dà gioia e fa bene, e un odio proibito, cieco e malvagio che rode il fegato e manda all’inferno. Il primo è un odio buono, da coltivare; il secondo, un odio cattivo, da fuggire. È quindi fondamentale, lo ripeto, non un rifiuto assoluto dell’odio, che è cosa impossibile ed ipocrita, ma scegliere con sapienza che cosa odiare e come odiare. L’odio diventa cattivo e a sua volta odioso, quando è odio per la verità, per la bontà, per Dio, per la virtù. Odiare la virtù è peccato, odiare il peccato è virtù. Anche l’evangelico “odio per il mondo”, chiaramente non va inteso come odio per il mondo come tale, che è buono e creato da Dio, ma odio per il peccato che c’è nel mondo.
Ed è chiaro che quanto più grande è il bene amato, tanto maggiore dovrà essere l’odio per ciò che si oppone al bene amato. Per questo, se Dio è sommo Bene, tanto maggiore dovrà essere nel cristiano l’odio per ciò che si oppone a questo Bene, come l’eresia, l’ingiustizia e il peccato. 
In questo senso Cristo dice in modo apparentemente paradossale di essere venuto a portare una “spada”: è la spada che colpisce appunto chi odia l’amore e la pace. E così pure il “fuoco” (Lc 12,49) che Egli dice di essere vento a portare sulla terra, certamente è il fuoco dell’Amore, ma, come sappiamo, il fuoco nella Scrittura è anche simbolo di ciò che distrugge la malizia e quindi del giusto odio contro il male.
L’odio, per la Bibbia, è anche una virtù divina. Comprendo con ciò di dire una cosa insolita e che forse può scandalizzare. Eppure è così. In diversi passi la Scrittura insegna che Dio odia, naturalmente odia il male, il peccato e l’ingiustizia: “Dio odia il male” (Gdt 5,17); “l’Altissimo odia i peccatori” (Sir 12,6); “il Signore odia ogni abominio”(Sir 15,13); “hai odiato l’iniquità”(Eb 1,9; Sal 44,8). 
Naturalmente non si tratta della passione dell’odio, dato che Dio è purissimo spirito e non ha passioni. Questo “odio” significa semplicemente che Dio, con un atto della sua volontà, respinge, rifiuta, non vuole, proibisce il male. Ma a questo punto, come osserva S. Tommaso, in Dio non c’è neppure la passione dell’amore e, in quanto la misericordia suppone uno stato emotivo di sofferenza, in tal senso non si può parlare in Dio neppure di misericordia. 
Si tratta di tutte espressioni metaforiche, che certo hanno un significato altissimo, purchè intese bene. L’amore di Dio, anzi Dio stesso come Amore significa l’infinita bontà divina e che Dio è purissimo atto d’amore sussistente; e la misericordia significa la volontà che Dio ha di sollevare i miseri e di salvare i peccatori.
Ma se l’uomo deve imitare Dio, ecco che la Bibbia invita l’uomo ad odiare, naturalmente ad odiare il male: “Odiate il male, voi che amate il Signore” (Sal 97, 10); “io odio ogni via di menzogna” (Sal 119, 104); “odio il falso e lo detesto” (Sal 119, 163); “temere il Signore è odiare il male” (Pr 8, 13); “il giusto odia la parola falsa” (Pr 13,5). La Bibbia tuttavia è severissima contro chi odia i buoni: “Chiunque odia il proprio fratello è omicida” (1 Gv 3,15). E Cristo, com’è noto, predica l’amore per i nemici (Mt 5,44), ma evidentemente non in quanto nemici, ma in quanto creature per le quali Cristo ha dato il suo sangue.
Senonchè però l’“amore per i nemici” diventa nella predicazione e nell’omiletica buoniste l’opportunistico o pavido o ingenuo cedimento, se non proprio il consenso o connivenza nei confronti delle ingiustizie e delle imposture dei furbi e dei potenti, quando invece si tratta di tutt’altra cosa, ossia della sapiente capacità si saper trovare lati positivi ed amabili anche nelle persone più cattive e peccatrici.
Come tutte le passioni, anche l’odio è una passione che occorre imparare a regolare secondo ragione e con prudenza. Dio stesso, che è un Dio “geloso”, secondo l’insegnamento biblico, è sommo Maestro di quest’ odio necessariamente connesso con l’amore e motivato dall’amore.
  L’odio infatti può essere eccessivo o troppo scarso. È eccessivo in chi non si limita ad odiare il peccato, ma odia anche il peccatore. È troppo scarso nei buonisti, i quali, per non avere noie ed accontentare il mondo, con la scusa della misericordia e che bisogna amare il peccatore, finiscono per amare o quanto meno per non essere abbastanza severi verso il peccato.
Chi si abbandona alla passione dell’odio, diventa una bestia feroce o un demonio: chi invece per una malintesa carità, suggestionato o gabbato dai buonisti, frena qualunque moto di sdegno o di ira, anche per una causa giusta, finisce col frustrare la libera realizzazione delle proprie energie combattive e per rivolgerle contro se stesso, e creandosi angosciosi quanto sterili sensi di colpa o cadendo in stati depressivi.
Certamente occorre non lasciarsi trasportare dall’impulso dell’odio e dell’ira, onde evitare gli incresciosi sfoghi della rabbia e del rancore, che sono peccati contro la giustizia e la carità. L’ira ha più il carattere di uno scoppio o di un’esplosione momentanea, una specie di temporale; l’odio invece è covato a lungo nell’animo ed è un’ira prolungata e a volte purtroppo implacabile, se il nostro animo non è disposto per orgoglio al perdono. In ogni caso, si tratta di attaccare un nemico o di difendersi da esso. 
Occorre però, secondo l’insegnamento evangelico, non confondere l’azione nemica che certo va odiata e combattuta, con la persona del nemico, anche se indubbiamente essendo questa persona, nella sua malvagità, la causa responsabile  e volontaria dell’azione, non può in certo modo,  sotto questo aspetto non diventare anch’essa oggetto del nostro odio. Ma è molto importante, nel contempo, come insegna Cristo, pregare per i nemici e per la loro conversione, e nel contempo sopportarli, se non c’è per il momento modo di difendersi e di liberarsi di loro.
L’esercizio saggio dell’odio contro il male è cosa molto delicata e di non facile attuazione. Spesso siamo troppo suscettibili, puntigliosi, permalosi, semplicisti, orgogliosi e ingiustamente sbrigativi, senza ascoltar ragione: facciamo di tutte le erbe un fascio e tendiamo e demonizzare l’avversario senza voler riconoscere i nostri torti. Sono errori gravissimi, che occorre evitare assolutamente o rimediare quanto prima, seguendo i precetti del Vangelo e sull’esempio di Cristo e dei santi.
L’odio non controllato infatti, intorbida lo sguardo e impedisce un giudizio oggettivo, che invece in queste circostanze è più che mai necessario. Di conseguenza, la volontà non calcola né modera bene le sue forze, per cui si rischia di passare alla violenza e alla vendetta. Occorre invece controllarsi, mirare bene all’obbiettivo da colpire e saper scegliere le giuste circostanze, dando alla volontà l’energia della quale si ha bisogno, né più né meno, altrimenti l’azione rischia di fallire o di essere controproducente, rischiamo di dare un colpo e di riceverne dieci e soprattutto e si rischia di passare dalla parte del torto, o, come dice la Scrittura, di ripagare il male col male. A che pro?
Occorre calcolare bene le forze nemiche, così da evitare di averne paura se invece possono essere affrontate e vinte, e parimenti da evitare di esporci irragionevolmente, se invece sono prevalenti, In linea di massima, occorre vincere la paura, farsi coraggio, disprezzare le forze  nemiche; ma occorre anche in altre circostanze non provocare un nemico troppo forte ed è meglio sopportarlo offrendo a Cristo per lui la propria sofferenza. 
Liberarsi da un oppressore non è facile. Se è possibile e se possiamo ottenere giustizia perché qualche giusto ci difende, bisogna approfittarne e provvedere; altrimenti è meglio desistere restando nella pace accontentandosi della propria buona coscienza,  sapendo che Dio permette le prove per il nostro progresso spirituale.
I buonisti, dal canto loro, vorrebbero ignorare il principio fondamentale del pensiero e della morale. Si vantano di amare tutto e tutti, tanto i buoni che i cattivi, magari ricordandoci che “Dio fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Mt 5,35), ma a sproposito, giacchè lì Cristo si riferisce  alla divina tolleranza, con la quale Dio attende pazientemente la conversione di tutti e mettono completamente da parte gli insegnamenti apocalittici su Cristo Giudice alla fine del mondo.
Così i buonisti giungono a respingere come ingenua, semplicistica o manichea la distinzione fra buoni e cattivi (e quindi tra beati e dannati), o a rimandare sine die il dovere dell’autorità civile ed ecclesiastica di far giustizia e separare, per quanto possibile, il grano dal loglio, con la scusa che il giudizio ultimo spetta a Dio, perché a sentir loro tutti sono buoni, ma è solo questione di diversi punti di vista o di diverse scelte, nelle quali ognuno ha diritto, a loro dire, di scegliere quello che vuole “secondo coscienza”. 
Essi pertanto si dicono contrari alle condanne assolute, e definitive[1], come fa per esempio la Chiesa quando condanna gli eretici, perché, dicono, se ci mettiamo dal punto di vista del cosiddetto “eretico”, scopriamo che si tratta semplicemente di una verità diversa, che Roma, nella sua ristrettezza mentale, non ha capito[2]. 
Essi, portando sempre avanti lo spauracchio di Galilei, che non c’entra assolutamente niente[3], sostengono che la Chiesa, dovrebbe astenersi dal condannare, per non essere successivamente costretta a riconoscere d’aver sbagliato. 
Così i buonisti sono maestri nel servizio a due padroni. Infatti per loro non solo il bene è bene ma anche il cosiddetto “male” è bene. Sono discepoli di Spinoza ed Hegel. È, secondo loro,  solo questione di punto di vista. Dobbiamo accettare anche il punto di vista degli altri, per il quale può essere bene ciò che per noi è male. Questa, secondo loro, sarebbe l’apertura al dialogo promossa dal Concilio.
Ma Cristo non è esattamente su questa linea, quando ci avverte perentoriamente: “Nessuno può servire a due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro o sarà affezionato al primo e disprezzerà il secondo. Non potete servire a Dio e a mammona” (Mt 6,24). 

Insomma, l’odio, se ben indirizzato, regolato e motivato, è una cosa buona e salutare, fa necessariamente da pendant all’amore. È la controprova del vero amore. Chi non sa odiare ciò che si oppone all’amore, non sa amare, a meno che questo amore non sia disonesto, nel qual caso va odiato. Certamente occorre in ogni caso odiare il male, si tratti di un bene falso o di un vero male. L’odio condannato dalla ragione e dalla fede è l’odio per il bene, l’odio per Dio. Quest’odio manda all’inferno. L’altro, ben moderato, e ben motivato come odio per ciò che si oppone a Dio, manda in paradiso.

NOTE
1. Rahner è di quest’avviso, naturalmente per difendere i suoi interessi.
2. Schillebeecxk, dopo la condanna ricevuta da Roma, ebbe l’audacia di affermare che “Roma non capisce la mentalità degli Olandesi”.
3. Maritain racconta che cosa è successo veramente nell’affare Galileo in De l'Église du Christ. La personne de l'Église et son personnel, Paris, Desclée de Brouwer, 1970. Vedi anche l’analisi dei fatti in Charles Journet, L'Église du Verbe Incarné, Essai de théologie spéculative. Tomes I-III, Paris, Desclée de Brouwer, 1941, 1951, 1969.


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