L’universalità del pensiero di San Tommaso d’Aquino


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Com'è noto, il Concilio Vaticano II raccomanda in due luoghi il pensiero di S.Tommaso d’Aquino. Nel decreto sulla formazione sacerdotale si dice infatti: “gli alunni” (delle scuole ecclesiastiche e dei seminari) “imparino ad approfondirli” (= i “misteri della salvezza”) “e a vederne il nesso per mezzo della speculazione avendo S.Tommaso per maestro”[1].Inoltre, nella Dichiarazione sull’educazione cristiana si prescrive che si promuova la ricerca relativa alle singole discipline scientifiche, filosofiche e teologiche, “in maniera che se ne abbia una sempre più profonda comprensione e, indagando molto accuratamente le nuove questioni e ricerche poste dall’età che si evolve, si colga più chiaramente come fede e ragione si incontrino nell’unica verità seguendo le orme dei Dottori della Chiesa, specialmente S.Tommaso d’Aquino”[2].Queste ampie, speciali e
circostanziate raccomandazioni a favore di un teologo sono cosa del tutto nuova nella storia dei Concili, nella quale, se in passato si segnalano dei teologi, è per condannarne gli errori. Raccogliendo invece qui parola per parola ne verrebbe fuori un ampio e utile commento, che però è già stato fatto in altre occasioni da illustri studiosi e per il quale qui non abbiamo lo spazio. Basteranno tuttavia alcune osservazioni.A questo punto però dobbiamo osservare francamente che queste raccomandazioni fatte a favore dell’Aquinate non paiono combaciare esattamente con l’orientamento generale del Concilio, il quale, com’è noto, evidenzia la necessità che oggi la Chiesa si apra ai valori del pensiero moderno, pratichi l’inculturazione della fede calandola nella varietà delle culture mondiali, superando un certo eurocentrismo od occidentalismo che fino ad allora aveva caratterizzato il volto della teologia cattolica, ricordando che il cristianesimo trascende ogni cultura e da essa è indipendente.Inoltre c’è da segnalare nello stesso Magistero pontificio postconciliare una progressiva mitigazione e rarefazione dell’accentuata esaltazione del pensiero dell’Aquinate presente per esempio nell’enciclica Aeterni Patris di Leone XIII del 1879, passando attraverso la Lettera Lumen Ecclesiae di Paolo VI del 1971 al Padre Vincent De Couesnongle, Maestro dell’Ordine Domenicano, fino all’enciclica Fides et Ratio del Beato Giovanni Paolo II, dove S. Tommaso non appare più emergere tra gli altri Dottori, benchè ampiamente lodato, per giungere all’attuale Pontefice che, almeno finora, non ha dato segni di particolari preferenze per l’Aquinate.
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Con tutto ciò, S. Tommaso non ha perduto il suo titolo di Doctor Communis Ecclesiae, datogli da Pio XI, e la sua dottrina è tuttora particolarmente raccomandata anche dal Diritto Canonico, che non fa che riprendere le disposizioni del Concilio. Come interpretare e valutare questo indubbio mutamento nell’atteggiamento dei Sommi Pontefici del postconcilio?È assai noto come in questi ultimi decenni la maggioranza degli ambienti teologici è giunta alla persuasione che la raccomandazione di S. Tommaso fatta dal Concilio sia tutto sommato assai marginale rispetto all’orientamento generale del medesimo Concilio di cui sopra, e debba considerarsi quasi un residuo, tra le novità conciliari, di una impostazione preconciliare ormai superata, rimasta nel Concilio in certo modo per forza di inerzia.Questi teologi, senza disprezzare il Dottore Angelico, tranne alcuni estremisti modernisti, ritengono però che oggi come oggi non abbia più validità un riferimento preferenziale a lui, perché il suo pensiero non è più visto come espressione di una cultura universale, ma di una particolare cultura legata al medioevo europeo, e a nozioni proprie del mondo greco-romano, un mondo di pensiero, che si ritiene non più in grado di monopolizzare una nuova cultura cattolica mondiale che si sta formando, per impulso del Concilio, dall’apporto originale e peculiare delle varie culture e religioni extraeuropee.Si è diffusa la convinzione che l’operazione di recupero del pensiero antico attuata da S.Tommaso al fine di interpretare il dato rivelato, debba essere rifatta utilizzando il pensiero moderno; sennonché però tale operazione nei teologi contemporanei di tendenza modernista non è stata condotta con quel metodo che la Chiesa stessa raccomanda e che fa appunto riferimento al pensiero dell’Aquinate, come prescrive lo stesso Concilio.È successo invece che praticamente si è riprodotto lo stesso errore dei modernisti già condannati da S. Pio X, ossia di assumere la modernità acriticamente e in blocco o con scelte arbitrarie, non vagliata, come si sarebbe dovuto, alla luce dei princìpi tomisti, così da evidenziare ciò che veramente è compatibile con la fede e ciò che invece in nome della fede va respinto.Non molti hanno fatto questo saggio vaglio critico, come il Maritain, il Garrigou-Lagrange, il Gilson, il Fabro, lo Zacchi, il Toccafondi, lo Spiazzi, il Congar, lo Journet, il Boccanegra ed altri. La cosa strana è come mai, se sono stati condannati i modernisti da S. Pio X, non lo sono ancora quelli dei nostri giorni, se non in minima parte, ben più diffusi e pericolosi di quelli dei tempi di S. Pio X. Questo fenomeno non costituisce affatto una realizzazione del modo di far teologia promosso dal Concilio, come credono i modernisti, ma bensì una sua falsificazione.Ciò vuol dire, a mio avviso, che siamo di fronte ad una debolezza nello stesso Magistero della Chiesa, ovviamente non un difetto di dottrina, ciò per un cattolico sarebbe impensabile, giacchè il Magistero resta sempre infallibile e in ciò continua come è normale a svolgere la sua missione, ma si tratta un’inerzia o una desistenza pastorale, causata ora da una mancanza di discernimento, ora da opportunismo, ora da rispetto umano, ora da acquiescenza al mondo, ora da timidezza nei confronti degli avversari, ora da falso irenismo o ecumenismo. Il timore per non dire l’angoscia che si prova a volte è di un indebolimento della fede negli stessi pastori. Io credo che il Papa dovrebbe invitare anzi esortare caldamente i vescovi ad essere più convinti, più zelanti, più coraggiosi, più vigilanti, più capaci di confutare l’errore e di proteggere il gregge dai lupi. Non dovrebbero avere eccessivi riguardi, in gravi frangenti, nei confronti di confratelli nell’episcopato carenti nella dottrina o nella comunione ecclesiale, a richiamarli fraternamente ma con parresìa, alla fedeltà al loro sacro ministero di maestri della fede e di custodi del gregge di Cristo nell’obbedienza al Magistero della Chiesa e al Vicario di Cristo.Perché l’evangelica correzione fraterna, atto di grande carità, non dovrebbe poter avvenire nell’occasione opportuna, con discrezione, nelle dovute forme e nei dovuti modi, anche tra vescovo e vescovo? Perché un vescovo zelante, coscienzioso, avveduto e fedele dovrebbe sempre tacere nella sofferenza? Non appare così come connivente? E i fedeli che diranno? Che faranno? Non sente le loro grida? Non avverte il loro turbamento? Non nota dall’altra parte la sicumera dei gradassi e degli stolti sedotti dall’errore e dal vizio morale? Non si tratta certo di assumere i toni arroganti e inesorabili di nuovi discepoli di Lutero contro Papa, vescovi, e cardinali, ma tra l’evitare questo e non far nulla, celandosi in una massa grigia apparentemente unita e composta, ci corre molto.Certo questo lo si fa per i vescovi lefebvriani; ma perché non lo si fa nei confronti dei vescovi modernisti o che accondiscendono ai modernisti o li lasciano fare, modernisti che sono a volte addirittura dei finti cattolici e degli apostati? Certe grandiose e nobili controversie del passato che hanno visto un Agostino contro i vescovi donatisti o un Atanasio contro i vescovi ariani o S. Cirillo contro Nestorio o un Bossuet contro Fénelon o S.bAlfonso Maria de’ Liguori contro Giansenio, perché non potrebbero esistere anche oggi come segno di franchezza, amore per la verità e lealtà verso Roma, senza continuare a coprire finti concordismi? Perchè non mettere le carte in tavola piuttosto che rischiare di essere dei sepolcri imbiancati?Quando non capita disgraziatamente che ci sia addirittura qualche pastore che esce dal sentiero della verità, bene che vada i buoni hanno paura dei nemici, temono di esporsi e si tengono defilati, mantengono bensì una fede ortodossa, ma fiacca e sterile, incapace di difendersi e di difendere. Ma intanto il gregge di Cristo, privo di una guida sicura e coraggiosa, corre serio pericolo di sbandarsi e di essere in balia dei più seri pericoli. Come è attuale il richiamo ai pastori fatto dagli antichi profeti e in genere dai santi riformatori nella storia della Chiesa!Con la disaffezione per il pensiero di S. Tommaso Doctor Communis, così dotato di senso dell’universalità oggettiva, si è perso questo amore per la verità come bene comune, lumen publicum, come diceva S. Agostino, si pensa che la libertà sia lasciare ciascuno pensare come vuole, costruirsi una religione per proprio conto ed esser legge a se stesso, senza regole universali ed oggettive, obbligatorie per tutti, la legge non è più “uguale per tutti”. Con la scusa del pluralismo culturale, dell’ecumenismo e della diversità, si diffondono l’individualismo e la prepotenza, che portano alla fine al terribile homo homini lupus di hobbesiana memoria.Così si sono persi oggi spesso l’idea o l’ideale di una cultura universale frutto della ragione, che possa fare da supporto, presupposto o introduzione alla superiore universalità del messaggio cristiano. Si parla facilmente delle culture, ma non sembra interessare o addirittura essere possibile il valore della cultura, nell’ampiezza sconfinata del concetto, senza particolari restrizioni o parzialità.Anche quando non si riduce il cristianesimo a una religione tra la altre progettando una futura religione sincretistica o supermercato delle religioni, che risulti dal contributo di tutte, e si mantiene la convinzione dell’universalità ed unicità del cristianesimo, si pensa che tale universalità si cali o debba calarsi direttamente nella molteplicità empirica delle culture senza la mediazione razionale della cultura come tale.Il rischio allora è duplice: primo, quello di perder di vista i valori universali, oggettivi e immutabili, “non negoziabili” della cultura, come educazione della ragione al sapere e della volontà alla virtù, funzioni umane essenziali e necessarie, le quali si esprimono nei valori universali dell’esperienza, del senso comune, del sapere storico e positivo, della scienza, dell’arte, della tecnica, dell’antropologia, della psicologia, della gnoseologia, della morale naturale, della filosofia, della logica, della metafisica, della religione e della teologia naturale.Invece, a causa di questa trascuratezza, sfiducia o scetticismo nei confronti dell’universale, anche il particolare e il molteplice finiscono per ridursi ad un ammasso caotico e disordinato di fattori casuali in contrasto o senza comunicazione tra di loro, un bellum omnium contra omnes, privi come sono di un principio di unità che sarebbe assicurato dall’immanenza dell’universale nel particolare.La pretesa invece del particolare, tipica dell’occamismo e dell’esistenzialismo, di dominare da solo la scena del reale espellendo l’universale come “astratto” e irreale, porta proprio esattamente alla distruzione del particolare. Con questa mentalità il sapere perde ogni universalità e spirito sistematico o di sintesi per diventare, bene che vada, pura erudizione, semplice collezione di nozioni particolari e contingenti slegate tra di loro, o, come dice S. Tommaso, “un contare i sassi del torrente”. Il saggio diventa un collezionista di farfalle o di francobolli.Il secondo rischio, alla fine, è quello, nonostante ogni intenzione contraria, di togliere al cristianesimo la sua vera universalità e di restringerlo o di immiserirlo in realtà in una molteplicità scollegata e disordinata di forme particolari e parziali, ognuna delle quali, pur ritenendosi “universale”, viene in realtà ad essere privata dell’universalità propria della fede e della verità cristiana. Infatti la verità di fede suppone e non esclude la verità umana, naturale e razionale. Il molteplice, lo ripeto, per quanto insieme di dati concreti, ma non unificato dall’universale, non si afferma, ma si distrugge e al limite diventa impossibile. Le culture esistono solo se esiste la cultura. Ma appunto il Doctor Communis, per espresso riconoscimento della Chiesa e di un’illustre schiera di dotti e di santi nel corso dei secoli e per gli immensi frutti di cultura e di bene che ha prodotto, mantenuto e difeso, ha sempre eminentemente svolto questa funzione e ancor oggi è chiamata a svolgerla, finchè non sorgerà un genio di universalità superiore all’Aquinate. Il pensare, per esempio come fanno alcuni, che un Rahner sia il nuovo S. Tommaso, me lo si lasci dire, è semplicemente ridicolo, se non fosse per certi aspetti tragico. La storia del tomismo nei secoli è una sequela di alti e bassi: si prova ad abbandonare Tommaso per seguire altre strade; ci si accorge dei guai che ciò procura; si torna a S. Tommaso; di nuovo ci si stanca di lui e lo si abbandona; e il ciclo ricomincia. Oggi abbiamo abbandonato Tommaso e vediamo, se abbiamo gli occhi per vedere, in quale situazione ci troviamo. È ora di ritornare all’Aquinate.Perché infatti il pensiero di S. Tommaso, almeno nei suoi princìpi e tesi fondamentali, non dovrebbe andar bene anche per i Cinesi, gli Indiani o gli Africani, con tutto il rispetto per gli elementi originali della loro cultura? Non siamo sempre davanti ad esseri umani dotati di ragione e volontà? E la ragione e la volontà non funzionano forse essenzialmente sempre allo stesso modo in tutti gli individui umani? Come ogni uomo nasce con 32 denti e non con 33 o 31, così nasce con quella ragione che è fatta come è fatta e che lo caratterizza come essere umano, Europeo o Indiano o Cinese che sia.
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Diversamente, come sarebbe conservata l’uguaglianza umana e come non cadremmo nel razzismo?E chi meglio di Tommaso, per secolare riconoscimento di tutti i migliori filosofi, illustra le funzioni della ragione e della volontà, sia pure in mezzo a tanti altri di valore che hanno trattato l’argomento? Nessuno si fa scrupolo di divulgare in tutto il mondo un trattato di anatomia o di neurologia o fisiologia umana o di medicina. E perché allora la Summa Theologiae non dovrebbe andar bene anche per quelle culture di cui sopra? Il pregio di Tommaso è dato inoltre dal fatto ben più importante, riconosciuto dalla Chiesa, che nessuno meglio di lui formula e illustra in concetti adatti i dogmi della fede[3], mentre si è già fatta la prova con altri pensatori e si è visto che non è raro che le loro categorie deformino il dogma e conducano all’eresia o quanto meno non siano di così valido aiuto quanto lo sono le nozioni che ci offre Tommaso.Dobbiamo pertanto ricordare che in forza della sua universalità che abbraccia ogni uomo, il cristianesimo dispone anche di un modello universale di cultura, che si esprime nelle varie culture. Esistono infatti valori culturali universali ed immutabili, fondati sulla natura umana, e che quindi sono alla base della formazione di ogni uomo, quale che sia il popolo al quale appartiene.Il cristianesimo è garante di questa universalità. Certamente questi valori s’incarnano in modalità diverse e particolari. Tuttavia, come ho già detto, non esisterebbero le culture se non esistesse la cultura, una cultura universale, morale ed intellettuale, comune all’intera umanità, che è la base comune alle varie culture e consente il dialogo tra di esse. Su di essa si fonda il senso dell’uguaglianza umana, mancando questo senso, si dà spazio a ogni disuguaglianza, egoismo, discriminazione e sopraffazione.Come ho già detto, i diritti umani, la religione, la scienza, lo sport, l’arte, la filosofia, sono valori culturali universali, che tutti gli uomini capiscono ed apprezzano, al di là delle differenze tra di loro di mentalità, lingua, indole, gusti, inclinazioni. L’universalità del Vangelo suppone l’universalità della cultura. È importante pertanto, nell’opera educativa, formare tutti al senso dei valori culturali oggettivi e universali, altrimenti ci si chiude nei particolarismi che sono principio di conflitti e di ingiustizie tra i vari popoli e le vari culture.Come pure ho già detto, non si può concepire la cultura come una semplice collezione caotica o casuale delle particolari culture con una mentalità occamistica, che non sa riconoscere l’universale, altrimenti nascerebbe un’accozzaglia d’idee e forze in contrasto tra di loro, un bellum omnium contra omnes. La pace e la giustizia nella società sono garantite solo dal rispetto della cultura universale, sia pure incarnata nelle sue varie forme particolari. E il cristianesimo è particolarmente deputato a proteggere i valori universali della cultura.Il primato magisteriale di S. Tommaso ovviamente non riguarda tutte le discipline teologiche e tanto meno il pensiero cristiano nella sua globalità e nei suoi molteplici piani, aspetti, forme e modi di essere. Come sempre ha precisato la Chiesa fino all’ultimo Concilio, Tommaso è raccomandato specificamente nel campo della filosofia speculativa e della teologia dogmatica nella loro impostazione sistematica, in quanto al servizio dell’interpretazione del dato rivelato.Non c’è dubbio che in altri campi del sapere cristiano la Chiesa stessa presenti altri modelli, come un S. Gerolamo nell’esegesi biblica, un S. Gregorio Magno nella teologia pastorale, un S. Bernardo, un S. Bonaventura, una S. Teresa d’Avila o un S. Giovanni della Croce nella teologia mistica, un S. Roberto Bellarmino o S. Pietro Canisio nell’apologetica, un S. Alfonso de’ Liguori nella morale, un S. Alberto Magno nelle scienze, e così via. È evidente inoltre che il valore permanente della dottrina del Dottore Angelico tocca solo la sostanza del suo pensiero, i “princìpia et pronuntiata maiora”, come si diceva nel vecchio Diritto Canonico (can.1366, §2), mentre tante sue tesi, soprattutto in campo giuridico, liturgico, esegetico e cosmologico, sono state superate o abbandonate per il progresso del sapere e il mutare delle circostanze.Certe tesi di S. Tommaso, d’altra parte, restano semplici opinioni non universalmente vincolanti la scienza teologica, come per esempio il motivo dell’Incarnazione o l’esperienza mistica come perfezione normale della vita cristiana e requisito della santità. Invece i princìpi e le tesi fondamentali della sua filosofia vincolanti, per disposizione di S. Pio X, per il docente cattolico, sono esposti nelle famose XXIV Tesi preparate dal Padre Gesuita Guido Mattiussi, ed approvate dalla Sacra Congregazione per gli Studi nel 1914 (Denz.3601-3624).È chiaro però che questa perenne sostanza del pensiero di S. Tommaso va accresciuta e rivestita in molti casi di nuove forme ed espressioni desunte sia dalle diverse culture, sia dalle conquiste successive del progresso del sapere. Tommaso è stato un formidabile polemista, che ha confutato molti errori del suo tempo e dell’antichità, ma è chiaro che non poteva prevedere certi errori della modernità, che pure possono e devono essere confutati alla luce dei suoi princìpi e del suo metodo.D’altra parte è vero che nei suoi princìpi sono implicitamente contenuti conseguenze e sviluppi che solo la modernità avrebbe raggiunto; ma tali valori moderni vanno riconosciuti dal vero discepolo dell’Aquinate, anche se non sono esplicitamente presenti nel testo tomista, perché diversamente attuerebbe un tomismo da museo, che non farebbe buona pubblicità a Tommaso e sarebbe contrario al suo stesso metodo, così sanamente aperto al nuovo, pur nella fedeltà alla tradizione e ai valori immutabili della ragione e della fede. Per esempio non ha senso il “tomismo” di certi tomisti contrari alle dottrine del Vaticano II, solo perché le novità di quest’ultimo non si trovano nella Somma Teologica di S. Tommaso.Il Concilio non dimentica Tommaso ma è chiaro che lo propone come modello in un modo nuovo, insieme con altri valori della tradizione cattolica e delle culture mondiali, conformemente all’impostazione generale del Concilio di assumere i valori della modernità in un linguaggio comprensibile all’uomo moderno.

In altre parole, come ho detto e ripetuto, la sostanza del tomismo ha un carattere di oggettività, perennità e universalità più volte riconosciute dalla Chiesa, per cui nella situazione culturale attuale, nella quale appare urgente la necessità di ricomporre il tessuto sociale ecclesiale e civile lacerato da contrapposizioni ideologiche radicali e conflitti politici e morali, che rischiano di portare l’umanità ad una rinnovata spaventosa barbarie, l’universalità del tomismo, congiuntamente alla superiore universalità del messaggio evangelico proposto dalla Chiesa, sono i mezzi migliori per realizzare un vero pluralismo nell’unità, nella concordia e nella comunione sotto lo sguardo di Dio.Per questo, esprimo l’auspicio che il Papa, Pastore universale della Chiesa di Cristo e voce universalmente riconosciuta, che interpreta le aspirazioni e i bisogni di tutti gli uomini di buona volontà, specie i più poveri, voglia continuare la tradizione dei suoi Predecessori, in linea con il dettato del Concilio, sia pure in modo adatto ai tempi, di proporre l’Aquinate come Dottore Comune della Chiesa, maestro d’umanità e modello di virtù per l’uomo del nostro tempo.



NOTE


[1] Decreto Optatam totius, n16.
[2] Dichiarazione Gravissimum educationis, n10.
[3] Diverse tesi della teologia tomistica sono state canonizzate come dogmi dalla Chiesa: per esempio, l’anima come forma corporis nel Concilio di Viennes del 1312, la persona divina come relazione sussistente nel Concilio di Firenze del 1442; l’immortalità dell’anima nel Concilio Lateranense V del 1513; la composizione di materia e forma nel sacramento, la transustanziazione eucaristica e le quattro cause della Redenzione nel Concilio di Trento, la distinzione tra sapere naturale e sapere di fede e la dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio nel Concilio Vaticano I del 1870.

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