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di Giovanni Cavalcoli
Dio è perfettissimo, bontà
infinita e onnipotente. Conduce a buon fine ogni cosa, che Egli crea appunto
perché tutto sia perfetto e giunga a Lui come a fine ultimo e sommo bene,
specialmente l’uomo creato a sua immagine. Nulla si può opporre alla sua onnipotente
volontà: tutto ciò che Egli vuole si compie ed egli non vuole altro che il
bene, la perfezione e la felicità di tutte le sue creature. Per la sua
misericordia egli rimedia a ogni male e vuole salvare tutte le sue creature.
Può anche impedire il peccato infondendo la sua grazia affinché l’uomo resti
unito a Lui e giunga alla beatitudine.
È dunque logico pensare che
tutte le sue opere siano buone, complete e perfette. Non pare possibile ammettere
che in qualcuna di esse, almeno nella sua sorte finale, possa trovarsi qualche
difetto o che qualcuna possa esser frustrata nel raggiungimento del suo fine
ultimo e quindi resti eternamente difettosa, imperfetta, disgraziata, frustrata.
Tutta la storia dell’universo
pare debba risolversi in bene, sia pure dopo molte traversie, rischi e
pericoli. Pare infatti che Dio possa e debba rimediare al male dappertutto, per
quanto questo male sia grave. Non è Egli più potente del male? Può permettere
che anche una sua sola opera resti eternamente imperfetta, incompleta,
difettosa o fallita o a lui contraria e ribelle?
Può esistere accanto al
paradiso un’eterna “discarica” di rifiuti e d’immondizie? Non ci sarà in
paradiso un inceneritore che tolga per sempre ogni scarto e ogni bruttura? Infatti
il termine gehenna vuol dire proprio
questo: “deposito di rifiuti”. Solo pensando a un’eterna e definitiva restaurazione
o ricomposizione o riconciliazione di tutte le cose, pare doversi immaginare un
universo degno di Dio, ossia creato, salvato e governato da un Dio saggio,
buono, giusto, potente e misericordioso. Che diremmo infatti di un artista che
non sapesse correggere un’opera riuscita male? Che diremmo di un medico che non
guarisse un malato che pur dovrebbe saper curare?
Non si vede infatti come qualche
creatura, in se stessa buona perché creata da un Dio buono, possa fallire il
suo fine ultimo ed essere eternamente infelice, frustrando la volontà divina,
che del resto è onnipotente, per cui non si vede come questa volontà potrebbe
essere annullata dal male o da forze avverse finite e creaturali.
Tutte queste riflessioni furono
proprie del grande teologo e biblista del sec .III, Origene, che però in ciò è
stato condannato dalla Chiesa. Dobbiamo chiederci perché.
Qui ci troviamo davanti ad una verità
di fede che più di altre pare contraria alla ragione. Infatti sappiamo che,
nonostante tutte queste considerazioni apparentemente molto sagge ed oggi sentite
da molti, tuttavia la Chiesa continua a presentare come verità di fede - e su
ciò non può cambiare - non solo l’esistenza dell’inferno come mera possibilità
di dannazione, ma anche l’esistenza effettiva
di dannati nell’inferno ad una pena eterna[1].
Oggi c’è una schiera di teologi
ed esegeti che si arrampicano sugli specchi per annullare l’imponente
testimonianza a favore dell’esistenza di dannati dell’inferno che ci viene
dalla Scrittura, dalla Tradizione e dal Magistero, ma la loro fatica è vana,
anzi dannosa, perché tutto ciò che nega la verità di fede non salva, ma conduce
appunto a quella dannazione che quegli irresponsabili vorrebbero negare.
Ma anche restando su di un
piano di semplice ragione o teologia naturale, non è difficile constatare come la
convinzione dell’esistenza di dannati sia comune a tutte le religioni superiori
in forza di un elementare senso di giustizia,
per il quale si assegna alla divinità il compito di premiare i buoni e di castigare
i malvagi.
Ci vuole la rozzezza barbarica,
ammantata di buonismo, di certi sedicenti progressisti odierni per confondere il
giusto castigo con la crudeltà, per cui il Dio che fa giustizia non sarebbe “buono”
ma crudele, ignorando che è proprio l’esigenza della vera bontà che fa scaturire
la giustizia, quando ci si trova davanti al peccatore ostinato, orgoglioso e
impenitente.
Tuttavia è vero che questa
semplice considerazione non risolve tutti i problemi. Il Dio cristiano si
rivela molto più buono, potente e misericordioso del Dio percepito dalla
semplice ragione naturale, benché il peccato appaia cosa assai più grave di
quanto possiamo concepire in base alla semplice etica naturale.
Tuttavia, nella visione
cristiana, in forza della più elevata concezione della persona, anche il libero arbitrio appare come cosa di maggior rilievo ed incidenza
nel campo del bene e del male, di quanto potremmo pensare sempre in base a considerazioni
meramente filosofiche. Ed è la riflessione su questa proprietà essenziale della
persona umana che ci fa da filo conduttore per far luce su questo mistero della
dannazione.
Ci sono peraltro alcuni punti
che riguardano Dio da tener presenti, alcuni dei quali sono già noti alla
semplice ragione, i quali, nonostante le apparenze contrarie, in realtà non vengono
meno e non devono venir meno per la loro assoluta e incontrovertibile certezza,
pena la falsificazione del concetto di Dio. In particolare, salvi gli attributi
in precedenza citati, occorre puntare l’attenzione sulla giustizia divina, che pure è già nota alla semplice teologia
naturale.
La giustizia ha stretto rapporto con il
dinamismo del libero arbitrio della creatura. In particolare bisogna dire che
la coppia bene-male è, in linea di principio, strutturale al libero arbitrio o, in altre a parole, alla bontà o normalità della creatura spirituale. Qui vale la concezione
hegeliana della dialettica, per la quale bene e male sono inscindibili e si
richiamano a vicenda. Dove invece Hegel ha sbagliato è stato il porre il male
anche in Dio, che invece è bontà
infinita e purissima.
Altra considerazione da fare,
legata alla precedente, è che non è male
che esista il male, sia perché ciò mette in luce la giustizia divina che castiga
i malvagi e sia perché Dio, nella sua onnipotente bontà e misericordia, ricava
dal male un bene maggiore di quello che ci sarebbe stato se il male non ci
fosse stato.
In terzo luogo bisogna tener
presente che col giudizio universale alla Parusia di Cristo alla fine del
mondo, cesserà per sempre il vero male che è il male di colpa, il peccato,
ossia i peccatori nell’inferno non peccheranno più, perché nell’al di là cessa
l’attività meritoria sia nel bene come nel male.
Resterà il male di pena che
però, essendo effetto della giustizia divina che è un bene, a sua volta è un
bene. Infatti il vero male della persona, come dice Cristo, non è quello che
viene “dal di fuori”, ossia il male di
pena, la sofferenza, il dolore, ma quello che viene “dal cuore”, dall’intimo,
ossia la cattiva volontà, la colpa, il peccato.
Da tutto ciò si ricava facilmente
che in fin dei conti la dannazione è un
bene, che quindi non compromette né la saggezza, né la bontà, né l’onnipotenza,
né la misericordia, né la perfezione delle opere di Dio, ma sottolinea invece
quella giustizia, oggi dimenticata dai buonisti, ed è per questo che essi non
capiscono le ragioni e la giustizia dell’inferno, come se la misericordia
escludesse la giustizia; invece esse vanno assieme perché la prima è quella che
salva, la seconda è quella che castiga i ribelli. Dio è pronto a fare a tutti
misericordia. Se esiste la giustizia punitiva, la colpa è solo dei peccatori, i
quali, come dice la Scrittura, “si scavano la fossa con le loro mani”.
Bisogna dunque dire che anche
l’eterno carcere infernale ha una sua ragion d’essere, ha un suo senso, un suo
ordine, una sua perfezione, una sua organizzazione, vorrei dire ha una sua
bellezza. Non è una puzzolente, ingombrante e abbominevole discarica, per
quanto brutto sia stato il peccato che ha condotto alla dannazione.
Ma non comporta nessun fallimento,
nessuna imperfezione nelle opere di Dio, perché la divina provvidenza è presente
con la sua bontà e la sua giustizia anche nell’inferno, e i dannati restano
nonostante tutto amati da Dio, che li ha creati, nonostante e al di là del
rigore delle pene.
L’inferno non testimonia nessun fallimento,
come alcuni credono, dell’opera della Redenzione, che in se stessa resta divina
e quindi perfettissima, ma rappresenta invece la dignità della persona umana, che
Dio lascia libera di scegliere il proprio destino, fosse pure in opposizione
alla sua santissima volontà.
Tuttavia c’è una logica
dell’agire: è giusto che chi fa il male sia punito. Neppure Dio può impedire
questa esigenza assoluta della giustizia perché altrimenti sarebbe ingiusto, e
sarebbe una bestemmia il solo pensarlo.
Dunque l’inferno nella storia
della salvezza ha un senso: completa l’opera della creazione con sue caratteristiche
proprie che non si trovano nella beatitudine; dà un senso al male pur togliendo
il peccato; rappresenta la dignità della persona libera davanti a Dio, attua la
giustizia divina insieme con la maggior misericordia.
Note:
[1] Vedi il mio libro L’inferno esiste. La verità negata, Edizioni Fede & Cultura,
Verona 2011.
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